FUNZIONE   PUBBLICA

RIVISTA  QUADRIMESTRALE

ANNO  IX  -  N.N.  2-3 / 2003

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Foto di copertina: Palazzo Vidoni.

Elaborazione grafica di Romualdo Chiesa


FUNZIONE PUBBLICA

 

Periodico della Presidenza del Consiglio dei ministri

Dipartimento della Funzione pubblica

Anno IX – N.N. 2-3/2003 – Nuova serie

Proprietà

- Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della Funzione pubblica, in persona del ministro per la Funzione pubblica, LUIGI MAZZELLA

Direttore responsabile

- MARIA CASTRIANNI – Capo dell’Ufficio stampa

Comitato scientifico

- GIACOMO AIELLO – Avvocato dello Stato – Consigliere giuridico

- ENRICO ARENA - Avvocato dello Stato - Capo dell’Ufficio legislativo

- SERGIO BARBANTI – Consigliere diplomatico

- FEDERICO BASILICA - Avvocato dello Stato – Capo del Dipartimento

- FRANCO CARINCI - Ordinario di diritto del lavoro

- ANTONIO CATRICALA' - Consigliere di Stato

- CARLO D'ORTA - Consigliere della Camera dei deputati

- RENATO GRIMALDI – Consigliere giuridico

- MASSIMO MASSELLA DUCCI TERI - Avvocato dello Stato - Capo di Gabinetto

- ROSARIO SCALIA - Consigliere della Corte dei conti  – Consigliere giuridico

Comitato tecnico di redazione

- RUGGIERO FERRARA - Direttore dell’Ufficio per la semplificazione delle norme e delle procedure

- ADRIANA JANIRI – Responsabile per la Comunicazione istituzionale

- PIA MARCONI - Direttore dell’Ufficio per l'innovazione delle pubbliche amministrazioni

- ANTONIO NADDEO - Direttore dell’Ufficio per le relazioni sindacali delle pubbliche amministrazioni

- FRANCESCA RUSSO - Direttore dell’Ufficio per la formazione  del personale delle pubbliche amministrazioni

- FERRUCCIO SEPE - Direttore dell’Ufficio per gli affari generali e per il personale

- FRANCESCO VERBARO – Direttore dell’Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni

Coordinatore

- ANTONIO BIGI - Dirigente dell’Ufficio legislativo

Coordinatore della segreteria di redazione

- ROMUALDO CHIESA - Funzionario dell’Ufficio stampa e documentazione

Ricerca giuridica ed elaborazione informatica

- ROSSELLA BOCCI, ROMUALDO CHIESA - Funzionari dell’Ufficio stampa e documentazione

Direzione e redazione

- Corso Vittorio Emanuele, 116 - 00186 Roma - Tel. 06.6899.7565, fax 06.6899.7196

Stampa e distribuzione

- Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato

 

 

Registrazione presso il Tribunale civile di Roma n. 263/86 del 18 maggio 1995.

 

Si autorizzano riproduzioni complete o parziali degli elaborati con citazione della fonte, con esclusione del caso in cui l’articolo contenga la clausola “riproduzione riservata” richiesta dall’autore.

La responsabilità delle opinioni espresse negli articoli firmati è assunta dagli autori.

SOMMARIO

 

Pag.

u   Editoriale di Maria Castrianni

7

 

 

 

 

u   Impegnarsi per una nuova amministrazione pubblica di Luigi Mazzella, ministro per la Funzione Pubblica

9

u   Un progetto politico da governare: la riforma della Pubblica Amministrazione di Learco Saporito, sottosegretario di Stato per la Funzione Pubblica

13

 

 

CONTRIBUTI  E  INTERVENTI

21

_______________________________________

 

u   Il coordinamento delle politiche comunitarie: problemi attuali e prospettive di riforma di Francesco  Astone, professore associato di diritto amministrativo

23

u   La definizione di nuovi strumenti e metodi per migliorare il rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadini di Federico Basilica, avvocato dello Stato, capo Dipartimento della funzione pubblica

46

u   Ruolo della “governance e politiche di inclusione di Giuseppe Cogliandro, consigliere della Corte dei conti

50

u   Rapporti tra pubbliche amministrazioni e imprese di Carlo D’Orta, direttore generale del CNIPA, Centro Nazionale Informatica Pubblica Amministrazione

55

u   Empowerment delle amministrazioni. La strategia di cantieri per un cambiamento tangibile di Pia Marconi, direttore dell’ufficio per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni

59

u   La competenza delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, dopo la legge n. 131 del 2003 di Rosario Scalia, consigliere della Corte dei conti

65

 

 

 

 

DOCUMENTI

105

_______________________________________

 

u   Convenzione tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica e il FORMEZ - Centro di formazione e studi- per l’attuazione del “Progetto a sostegno dell’informazione pubblica e della formazione del personale degli uffici stampa della pubblica amministrazione”.

107

u   Protocollo d’intesa tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica nella persona del Ministro per la Funzione Pubblica e il FIABA (Fondo italiano abbattimento barriere architettoniche)

113


 

u   Memorandum di intesa tra la Scuola superiore della Pubblica Amministrazione, Repubblica italiana e la Graduate School, United States Department of Agriculture

115

u   DPCM 12 settembre 2003: “Fissazione, per le amministrazioni provinciali e comunali, di criteri e limiti per le assunzioni di personale a tempo indeterminato per l’anno 2003

117

u   DPCM 12 settembre 2003: “Fissazione, per le amministrazioni regionali e per gli enti e le aziende appartenenti al servizio sanitario nazionale, di criteri e limiti per le assunzioni di personale a tempo indeterminato per il 2003.”

122

u   DPR 31 luglio 2003: Autorizzazione alle assunzioni di personale nelle pubbliche amministrazioni.”

125

 

 

ESPERIENZE AMMINISTRATIVE

131

 

_______________________________________

 

u   Alcuni esempi di “buone pratiche” nel piano di azione nazionale per l’occupazione dell’anno 2000

133

u   La valutazione delle politiche pubbliche: l’esperienza della Francia

147

 

RUBRICHE

157

 

_______________________________________

 

u   Risposte ai quesiti

159

u   Circolari

241

u   Giurisprudenza

255

u   Normativa

279

EDITORIALE

   di Maria Castrianni,

direttore responsabile

 Con questo numero si è ritenuto opportuno focalizzare l’attenzione su alcuni temi di notevole rilevanza politico-istituzionale: da un lato si sta vivendo l’impegno della Presidenza italiana dell’Unione europea con un forte senso di responsabilità dato che si è ritenuto condividere la tesi dell’elaborazione di una Costituzione degli Stati Uniti d’Europa; dall’altro, prosegue incessante l’azione di ammodernamento del sistema istituzionale da parte del Governo, in modo da renderlo il più coerente possibile con i principi posti dalla nuova Carta costituzionale europea.

 

Tutti i cittadini, così come il sistema delle imprese, avvertono l’esigenza di confermare i propri comportamenti, sia quelli che si esprimono secondo una prassi individuale, sia quelli che sono il risultato di processi decisionali di competenza dei diversi livelli di governo, ai nuovi principi costituzionali contenuti nella legge n. 3 del 2001 e che solo nel 2003 sono stati esplicitati in modifiche ordinamentali di indubbia rilevanza con la legge n. 131.

 

Con le riflessioni assicurate da studiosi dei diversi aspetti della funzione pubblica si è cercato di offrire al dibattito in corso un contributo sostanziale per lo sviluppo della comunicazione delle innovazioni istituzionali a quanti, nel nostro Paese e all’estero, siamo interessati a valutare i cambiamenti posti in essere .

 

Dall’altra parte le indicazioni di natura politica si dimostrano utili per fissare i traguardi che le pubbliche amministrazioni, ciascuna per la propria sfera di competenza e responsabilità, sono chiamate di volta in volta a perseguire.

 

Il volume intende, poi, rendere testimonianza della complessa attività di supporto che il Dipartimento della Funzione Pubblica ha assunto in questi ultimi due anni posizionandosi tra le istituzioni di coordinamento a seguito delle innovazioni istituzionali introdotte dalla legislazione, assicurando così il rispetto della “voluntas legislatoris” quale è ricavabile dal dibattito parlamentare sulle scelte strategiche che il Governo ha ritenuto di dover effettuare nel settore delle pubbliche istituzioni.



IMPEGNARSI PER UNA NUOVA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA*

 

 

 di Luigi Mazzella,

ministro per la Funzione pubblica

 

 

La Pubblica Amministrazione in Italia ha già cambiato pelle; lo dicono i sondaggi tra gli utenti dei servizi, lo dicono gli “Awards” conquistati a livello internazionale (ONU e OCSE), lo dice l’attenzione che ho riscontrato da parte di tutti i Ministri della Funzione Pubblica incontrati nei paesi europei e non solo europei.

 

L’introduzione delle nuove tecnologie informatiche ha migliorato la Pubblica Amministrazione.

 

L’efficienza, la qualità dei servizi, gli effetti delle politiche pubbliche non sono più quelle che un tempo attiravano strali critici o commenti ironici. Abbiamo un’Amministrazione che sa dialogare con la Società. Certamente non siamo all’optimum ma siamo sulla strada buona.

 

Il passo con cui le Amministrazioni pubbliche si muovono in direzione del cambiamento è divenuto deciso e sostenuto. Dai dati raccolti nelle indagini – presentati nei vari convegni sull’innovazione nella P.A. – emerge un quadro interessante.

 

Grazie al contributo determinante delle nuove tecnologie elettroniche, sono stati realizzati efficaci strumenti di gestione per recuperare efficienza ed al tempo stesso risorse adeguate. Per la definizione e per l’attuazione delle strategie di intervento sono stati immaginati supporti idonei ed efficaci.

 

Ed ancora: analisi di impatto, operazioni di monitoraggio del sistema organizzativo, assestamento del quadro gestionale, attraverso il cambiamento e l’adattamento anche di modelli “privatistici”, interventi volti a migliorare la qualità del lavoro sono strumenti ampiamente utilizzati nel settore pubblico come e forse più che in quello privato.

 

Per valorizzare le esperienze condotte dalle Amministrazioni pubbliche nel quadro dell’innovazione, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha avviato iniziative che sono state tutte coronate da lusinghiero successo.

 

Mi limito a citare la “Banca dati Buoni Esempi” ed i “Cantieri”, ideato, quest’ultimo, per “accompagnare” le singole Amministrazioni nei percorsi di adeguamento tecnologico e comunque innovativo.

 

Ben 80 Amministrazioni pubbliche che hanno elaborato soddisfacenti piani integrati hanno ricevuto riconoscimenti per le attività intraprese.

 

La presenza degli esperti dell’innovazione e della Comunicazione ai tanti Convegni sulla modernizzazione della pubblica amministrazione, è un segno evidente delle nuove potenzialità a disposizione del Sistema pubblico per affrontare i problemi legati al suo ammodernamento.

 

Forse è proprio sul piano della comunicazione che va recitato qualche “mea culpa”. Non tutto quello che si è realizzato è stato trasmesso alla collettività. Ancora non v’è nella opinione dei cittadini un’immagine del lavoro pubblico adeguata al ruolo che la P.A. effettivamente svolge.

 

Ovviamente, non tutto quello che in questo settore non va, dipende dalla pubblica amministrazione. V’è anche chi con spirito fazioso e forse anche interessato continua a soffiare sul fuoco di vecchie  critiche ed a  minimizzare il valore del servizio pubblico. E soprattutto il ruolo fondamentale cui la Pubblica Amministrazione, in generale, per lo stesso fatto di esistere, adempie, garantendo la tutela dell’interesse generale della collettività contro le spinte egoistiche e talora anarchiche presenti nella società.

 

Ricordiamoci che prima della nascita di una vera e propria Pubblica Amministrazione c’erano gli scontri furiosi degli interessi contrapposti dell’epoca feudale. Nessuno, quindi, oggi può pensare di ridurre oltre certi limiti la funzione pubblica, senza fare correre al paese il rischio della prevalenza di nuove “baronie” orientate al perseguimento di ben precisi interessi.

 

Sul piano comunicazionale, quindi, occorrerà procedere ulteriormente ad operazioni sistematiche e non episodiche di presentazione  dei risultati spesso veramente eccellenti delle singole specifiche unità operative pubbliche.

 

Ovviamente, anche in questo settore, le iniziative  non sono mancate.

 

La legge 150 del 2000 ha avviato una diffusa sperimentazione della comunicazione anche interna per il cambiamento sostanziale dell’Amministrazione. Si tratta di uno strumento legislativo particolare, suscettibile di ulteriori utilizzazioni.

 

Il rapporto con le Università al fine di orientare giovani laureati qualitativamente eccellenti verso il lavoro pubblico è stato felicemente avviato.

 

Si è programmato un premio per il migliore cortometraggio che metta in luce gli aspetti positivi del lavoro del pubblico dipendente come “cittadino al servizio di altri cittadini”.

 

Un’altra priorità assoluta resta quella di restituire motivazione e senso di appartenenza ai pubblici dipendenti.

 

L’applicazione alla Pubblica Amministrazione delle metodologie classiche nel mondo delle aziende (si pensi soprattutto al competitivo bench-marking) che hanno l’obbiettivo di identificare le realtà più innovative per copiarne gli aspetti salienti,  non deve mai essere intesa come strumento punitivo. E soprattutto non deve mai andare disgiunta né da una visione antropologica anche dei fenomeni dell’innovazione né da una visione etica dell’impegno del cittadino nel pubblico impiego.

 

Il pubblico dipendente, rispetto al dipendente privato, è bene ricordarlo, ha una funzione in più: salvaguardare l’interesse di tutti e contenere le spinte particolaristiche dei consociati. E’ un ruolo oggettivamente etico che gli impone di restare in posizione centrale di imparzialità e di neutralità quali che siano i processi evolutivi della Pubblica Amministrazione. Per valutare nel pubblico dipendente la sua idoneità al ruolo, la sua capacità di essere e porsi a differenza di ogni altro impiegato, al servizio esclusivo della Nazione e della collettività organizzata occorrono strumenti specifici alla Pubblica Funzione.

 

 Non potrei concludere questo mio intervento senza accennare ad un importante appuntamento che imporrà alla nostra Pubblica Amministrazione di cambiare ancora di più nel settore dell’innovazione. L’appuntamento molto importante, già scritto nella sua Agenda, è l’incontro “prossimo venturo”con il Digitale Terrestre.

 

Intanto, c’è da dire che due importanti iniziative già assunte renderanno particolarmente proficuo per i cittadini e per la P.A. questo incontro. La prima è costituita dal piano di e–Government elaborato dalla P.A. che con i suoi 138 progetti approvati e finanziati dal Governo, sembra essere stato fatto apposta per consentire alla quasi totalità degli enti locali di utilizzare al meglio il Digitale Terrestre, quando costituirà una realtà operante.

 

Avere un proprio spazio in rete, dando modo ai cittadini di aprire un dialogo con organi burocratici prima raggiungibili solo con molte difficoltà, rappresenta il “prius” per partire con il piede giusto nel recepire i vantaggi che deriveranno dalla ulteriore e rivoluzionaria innovazione tecnologica.

 

La seconda iniziativa riguarda TELE-P.A.-il primo TG on-line interamente dedicato a notizie ed informazioni della Pubblica Amministrazione e voluto dal Dipartimento per la Funzione pubblica. La testata si rivolge a tutti coloro che operano nella pubblica Amministrazione ma anche e soprattutto a cittadini ed imprese. Si tratta di un vero e proprio telegiornale quotidiano realizzato da giornalisti specializzati cui si affiancano rubriche di approfondimento particolarmente utili.

 

La televisione digitale terrestre per effetto del lavoro già avviato dalla P.A. si innesterà quindi su una rete già creata per rendere più agevole il dialogo con la P.A.

 

I cittadini potranno fruire di quei servizi interattivi che oggi stanno muovendo i loro primi passi su Internet attraverso un mezzo molto più semplice, diretto, immediato ed efficace di quanto non sia oggi il personal computer.

 

La televisione digitale terrestre sembra destinata a trasformare la vita dei cittadini: basterà accendere il televisore e sarà possibile, come oggi con il personal computer, navigare in Internet, mandare e mail, interagire con la Pubblica Amministrazione.

 

La moltiplicazione dell’uso delle tecnologie nel rapporto tra Pubblica Amministrazione ed utenti dei suoi servizi  servirà in questo caso anche a diminuire se non ad annullare il “digital divide” che oggi traccia un solco profondo tra chi sa fare uso del personal computer e chi invece no, vuoi per ragioni anagrafiche, vuoi per motivi culturali vuoi per difficoltà geografiche.

 

Le modalità di utilizzo dei televisori sono oggi patrimonio di tutti. Ugualmente sembrano destinate a diventarlo le applicazioni interattive connesse. Il digitale terrestre, data la semplicità di accesso  al mezzo televisivo, sembra destinato a consentire un agevole utilizzo di tutta una serie di servizi offerti a domicilio dalla pubblica Amministrazione.

 

Su questa linea di tendenza, paradossalmente il nostro paese, che oggi, sul piano della telecomunicazione, si trova in posizione arretrata rispetto ad altri paesi europei (per la limitata cablatura del territorio), può ritrovarsi in “pole position”. Non vi sono ammortamenti di impianto di cavi ad imporre attese. Si avvertirà, inoltre, come più urgente ed impellente il bisogno di superare il gap esistente.

 

In questa linea, il DPEF 2003-2006 ha puntualmente colto la grande opportunità che la situazione  offre all’Italia.

 

Esso, infatti, testualmente recita: “La transizione verso la televisione digitale terrestre costituisce un obiettivo di medio termine che richiede misure immediate di sperimentazione, indirizzo e sostegno in vista della scadenza del 2006. L’obbiettivo prioritario è quello di sostenerne la pubblica sperimentazione anche attraverso l’utilizzo del mezzo satellitare e di indirizzarla verso un modello di offerta di contenuti che ne faccia lo strumento universale per offrire ai cittadini i servizi resi dalla pubblica amministrazione (la telemedicina, la teleprenotazione, la posta, il fisco, i rapporti con le Amministrazioni locali).”

 

E più avanti il Documento aggiunge ancora: “ L’obiettivo strategico (del Governo) sarà quello di portare la banda larga nella quasi totalità delle sedi della pubblica amministrazione, aumentandone la copertura dall’attuale 20% al 90% circa, in coerenza con gli obiettivi previsti nel piano e - Europe 2005”.

 

Alcuni esempi interessanti di servizi della pubblica amministrazione effettuabili con il digitale terrestre sono stati illustrati nel COM-PA dell’anno scorso.

 

Altri certamente verranno illustrati nel corso di questa manifestazione, che interviene, mi sembra di poter dire conclusivamente, in un momento particolarmente importante e significativo per la pubblica amministrazione e per la sua comunicazione istituzionale.



UN PROGETTO POLITICO DA GOVERNARE

LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

 

     di Learco Saporito,

sottosegretario di stato per la Funzione pubblica

 

 

 

Nell’affrontare i temi della “grande riforma”, di quella che è considerata da tempo l’impresa più affascinante che possa essere intrapresa da un Governo, dai diversi livelli di governo, per ridare slancio alle politiche pubbliche che vanno gestite nell’esclusivo interesse dei cittadini, non possiamo fare a meno, oggi, di guardare ad esse da più angolazioni.

 

Da quella del decisore politico, da quella delle burocrazie, da quella del cittadino, da quella dell’impresa.

 

E il diverso approccio alla definizione delle linee-guida che devono presidiare i comportamenti dei responsabili dei diversi livelli di governo viene richiesto, peraltro, dal mutato quadro costituzionale dei poteri, dal sistema delle relazioni che la nuova Costituzione ha inteso disegnare tra il “centro” e la “periferia” del sistema delle istituzioni.

 

Dobbiamo abituarci, quindi, alla coesistenza di una pluralità degli ordinamenti, ferma restando la responsabile condivisione di alcuni principi fondamentali leggibili in Costituzione.

 

Del valore di questi principi fondamentali, purtroppo, ci siamo, a volte, dimenticati, affascinati – come lo siamo stati e come continuiamo, purtroppo, ad esserlo – che il miglioramento dei servizi pubblici sia conseguibile solo ricorrendo al “privato”.

 

Se si continua a ragionare in questi termini, si finirà per rendere un cattivo servizio all’intero sistema amministrativo nazionale.

 

Purtroppo, ci vuole un sostanziale coraggio morale per riprendere il filo di un discorso che è stato inquinato da un atteggiamento di acritica acquisizione di concetti, di metodi, di tecniche provenienti da discipline diverse dal diritto amministrativo.

 

Nel passaggio da un sistema che aveva avuto, fin dal 1993, la pretesa di ri-regolamentare il sistema del pubblico impiego a quello, invece, che sta nascendo dal nuovo testo costituzionale e che la “devolution”, sulla quale si sta discutendo ancora, con ragionate e ragionevoli prese di posizione, può ancor meglio ridefinire, si coglie un atteggiamento di sostanziale ripensamento dei confini tra l’area di competenza del legislatore e l’area di competenza rilasciata all’accordo privatistico (o pseudo-privatistico).

 

Non c’è alcun dubbio che per conseguire l’obiettivo del contenimento del costo del lavoro – obiettivo che ci viene correttamente suggerito dall’adesione al Patto di stabilità e di crescita (Trattato di Maastricht) – i Governi di centro-sinistra hanno pensato che sarebbe bastato costruire un “datore di lavoro” diverso dal Parlamento. Questa finzione giuridica – l’ARAN – è stata accettata dal Parlamento, ma alla distanza il sistema non ha retto: al posto della dirigenza, che avrebbe dovuto decidere nel rispetto del principio del buon andamento – che è la “sana gestione” delle risorse propria della cultura amministrativa europea, e anche di quella americana – hanno finito per assumere un ruolo determinante, nei luoghi dove si assicurano i servizi al cittadino, gli apparati sindacali.

 

E il modello di responsabilità dirigenziale non poteva che impallidire di fronte a un “potere forte”; un potere, tra l’altro, che si è venuto a riposizionare, in moltissimi casi, anche nel ruolo del datore di lavoro. In questo senso l’analisi sociologica fornisce il suo contributo di conoscenze sulla realtà amministrativa come si è venuta confermando.

 

L’avere lasciato al potere politico, poi, un ampio margine di discrezionalità riguardo al destino professionale della dirigenza, a tutti i livelli di governo, ha significato la perdita sostanziale della c.d. “indipendenza” di essa; la privatizzazione del rapporto ha finito per determinare una situazione di totale soggezione al decisore politico al potere in quel determinato momento storico.

 

Eppure ai parametri dell’efficienza, dell’economicità, dell’efficacia dell’azione amministrativa, che sono espressione del principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost., aveva fatto riferimento, agli inizi degli anni ’70, il d.P.R. n. 748… C’è da fare un grande sforzo per vederli effettivamente applicati nei luoghi di lavoro, oggi, a distanza di dieci anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 29/93.

 

Noi affermiamo, oggi, che quei parametri per diventare parte integrante del sistema comportamentale delle diverse burocrazie si possono rispettare inoculando nel sistema stesso un alto grado di consapevolezza delle emergenze esprimibili dall’utenza, consapevolezza che va nutrita da un sostanziale tasso di eticità che deriva dal principio di imparzialità nella resa dei servizi.

 

Né possiamo dimenticare che ai posti di responsabilità – così come avviene nella impresa privata, che, se malgovernata, chiude i battenti – debbano andare coloro che lo meritano…

 

Riscrivere i percorsi di carriera significherebbe dare una speranza di crescita professionale, significherebbe stimolare verso l’eccellenza tanti operatori pubblici. E non c’è dubbio che la legislazione regionale sarà in grado di operare su tale versante, rivelandosi attenta a un tema che sta diventando cruciale.

 

Altro punto di interesse è la disponibilità che le istituzioni pubbliche, nella loro veste di “datore di lavoro”, dimostreranno in ordine al tema della qualificazioni professionale dei propri dipendenti.

 

Sullo sfondo, e ancora alla luce della ridefinita sfera di competenza legislativa tra Stato e Regioni, e alla luce dei rapporti di supporto e di assistenza che le Province hanno nei riguardi degli enti locali, c’è da verificare se e in che modo le diverse agenzie nazionali di informazione, create dalla legislazione dei Governi di centro-sinistra, risultino compatibili con la potestà legislativa esprimibile in tale campo dalle Regioni stesse. C’è da verificare, ancora, se debba sussistere, in quest’area, un ruolo di compresenza del sistema universitario così come di quello autogenerato dallo stesso sistema degli enti territoriali.

 

Anche in questa materia tra Stato e Regioni, tra Stato ed enti locali c’è da marcare i rispettivi territori di intervento, nel rispetto del principio della sussidiarietà orizzontale, salvaguardando l’iniziativa privata.

 

Su quali temi si deve svolgere l’azione formativa, che deve assumere le caratteristiche di un progetto culturale continuo, non possiamo che concordare: come si realizza un’amministrazione pubblica più vicina al modello di amministrazione europea; come si amministra per raggiungere dei risultati; come si misura la soddisfazione degli utenti; come si possa conseguire un più alto grado di produttività gestionale; come il sistema dei controlli debba essere in grado di assistere il decisore politico a migliorare il sistema amministrativo nell’interesse esclusivo del cittadino, dell’impresa.

 

In sostanza, per realizzare questi obiettivi è necessario indicare i percorsi, individuare le risorse disponibili, acquisire la disponibilità al cambiamento.

 

E’ questo un progetto politico realizzabile; in questo senso sono, innanzitutto, da condividere i temi di base.

 

 

1. Amministrazione italiana e politica europea: legislazione e modelli da applicare.

 

L'Amministrazione italiana è ormai il terminale operativo dell'Ammini-strazione Europea.

 

Non c'è angolo della vita privata e pubblica italiana che non sia regolato in sede comunitaria: dalle dimensioni delle prese elettriche, fino al rumore del tosaerba.

 

L'Europa è una realtà, che ha unito le Amministrazioni e sta unendo le società. Per questo motivo le Amministrazioni devono avere la stessa capacità di reazione in tutti Paesi.

 

È questa una altra "sfida" per l'Amministrazione pubblica italiana.

 

Occorre, quindi, pensare ad innovare anche da questo versante. Innanzitutto, occorre che i funzionari siano preparati sotto il profilo linguistico.

 

In secondo luogo, tutte le Amministrazioni devono essere dotate di un ufficio responsabile dei rapporti con la Comunità e con le altre amministrazioni che ad essa fanno capo, con il compito di tenere informato della sua attività l'apposito Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

 

2. Dalla amministrazione “per atti” a quella anche “per risultati”.

 

L'Amministrazione italiana è attenta alle regole, alle procedure, ma continua a dimostrare una certa quale propensione ad ignorare il "prodotto".

 

Eppure ai cittadini interessano ambedue: sia il rispetto delle regole sia l'assicurazione del risultato. D'altra parte, le attese in genere del cittadino nei riguardi delle pubbliche istituzioni sono di due tipi: attese di "protezione" e attese di "produzione".

 

Le prime sono, come si è detto, di tipo difensivo: evitare, cioè, l'arbitrio e la discrezionalità delle pubbliche istituzioni. Le attese di produzione, invece, sono "pretensive" in quanto volte a prevenire tensioni: sanità efficiente e di qualità, pensioni ero­gate rapidamente, istruzione efficace e così via.

 

Per soddisfare questi due tipi di attese i cittadini si aspettano una Amministrazione con potestà autoritativa limitata e una Amministrazione erogativa efficace e rapida che li tratti come " clienti " e non come sudditi.

 

Per l'una e l'altra " Amministrazione " deve valere il principio del risultato.

 

Perché ciò si realizzi è bene che gli utenti possano formulare giudizi su questa o quella struttura amministrativa, prevedendo - sulla falsariga di quanto avviene in Paesi a democrazia avanzata - periodici controlli (interni-esterno) da svolgere nell'interesse dei cittadini-utenti.

 

 

3. L’utenza va posta in cima ai pensieri dell’operatore pubblico.

 

La legge 7 agosto 1990, n. 241, sul procedimento amministrativo, ha dettato principi e stabilito regole per i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini, introducendo e garantendo nuovi diritti dei cittadini verso le ammini­strazioni: emissione dei provvedimenti entro termini prestabiliti, motivazione degli stessi, libero accesso ai documenti amministrativi.

 

Questi nuovi diritti possono essere fatti valere nei riguardi delle Amministrazioni che esercitano poteri autoritativi (tale è il provvedimento di espropriazione). Mentre non sono esercitabili nei riguardi delle Amministrazioni che erogano servizi (ad esempio l'ospedale fornisce assistenza sanitaria).

 

Non essendo applicabile la legge 241, i rapporti fra le Amministrazioni che erogano servizi pubblici e i fruitori degli stessi devono essere regolamentati dalle Carte dei servizi pubblici.

 

Le Carte indicano uno standard qualitativo e quantitativo dell'erogazione di servizi. Negli standards è la garanzia per il cittadino di ricevere servizi qualitativamente elevati: contatto questo che è stato ripreso dall’art. 117, 2° c., lett. m), della nuova Costituzione (art. 3, legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

 

Su quali linee guida occorre mobilitare, in questo settore, gli operatori pubblici? Potremmo indicarne alcune, nella convinzione che altre e ben più interessanti proposte scaturiranno dalla voglia di innovare che ogni operatore pubblico ha.

 

Eccole:

 

a)  da un lato, riavviare il progetto, articolato per grandi aree istituzionali, della semplificazione dei procedimenti amministrativi nel nuovo contesto della codificazione di alcune materie, di alcuni settori della vita civile;

 

b)  dall'altro, moltiplicare, potenziandoli, gli sportelli dei cittadini quali centri informativi unificati della Pubblica Amministrazione e interfaccia unici in grado di dare contemporaneamente risposte diverse tra loro.

 

Il Parlamento, il Governo, il politico, il Sindacato devono riportare il cittadino-utente al centro della Pubblica Amministrazione.

 

Infatti, la crisi di fiducia nelle istituzioni, in Italia, non riguarda soltanto gli organi politici.

 

La rottura del circuito governanti-governati è figlia dell'instabilità dei Governi, della partitocrazia, della corruzione ed ha anche tanti padri: dalla sproporzione tra costo e rendimento dei servizi pubblici, allo squilibrio tra le Amministrazioni del Nord e quelle del Sud; dall'arbitrio amministrativo alle scuole scadenti, agli ospedali male organizzati, ai trasporti lenti.

 

A tanta disfunzione si può e si deve ovviare, con il consenso degli operatori, se si fa strada la consapevolezza che al primo posto nell’ambito delle pubbliche istituzioni debbano essere posti gli interessi degli utenti.

 

L'idea è questa: prendere la temperatura degli utenti ogni giorno, ponendoli in condizione di capire le leggi e le circolari che sono da scrivere "in italiano", con un lin­guaggio fondato sulla semplicità dello stile e sulla chiarezza dei concetti.

 

 

4. Decentrare il potere di decisione

 

Non basta parlare di autonomia gestionale; occorre, nei fatti, decentrare il potere decisionale, rafforzando le autonomie locali e le competenze regionali, restando al “centro” il potere di sollecitare e di controllare che le sperimentazioni di decentramento abbiano il successo che meritano.

 

Ma non basta. Per quanto riguarda i Ministeri, si deve procedere sulla strada della deconcentrazione. Non partendo però dall'analisi delle funzioni centrali da trasferire, bensì dalle attese dei cittadini. In merito, un ampio percorso è stato fatto.

 

Comunque, non è neppure sufficiente solo deconcentrare le funzioni. Occorre anche che chi ha responsabilità decisionali possa fare leva sulle risorse di cui senta il bisogno.

 

È necessario - sulla base delle esperienze maturate da chi vive la quotidianità - che si attui un serio programma di analisi dei capitoli di bilancio, in modo da verificarne l’utilità.

 

Oggi sono quasi seimila i capitoli del solo bilancio-madre, quello dello Stato, che assorbe meno della metà della finanza pubblica. Basti pensa­re, ad esempio, che negli Stati Uniti, con 280 milioni di abitanti, il bilancio di previ­sione del governo federale ha, dopo la riforma Mc Namara, molti meno capitoli di quanti se ne ha nel nostro Paese.

 

 

5. Costo ed efficienza della burocrazia

 

Ridurre il costo della burocrazia e migliorarne l'efficienza dev'essere il concetto filosofico sotteso alla riforma che viene proposta.

 

Occorre eliminare i livelli di gestione inutili. In Italia, esistono amministrazioni pubbliche che sono organizzate su diversi livelli di decisione, da quella centrale, a quelle sovraregionale, regionale, pluriprovinciale, provinciale, sovracomunale e comunale.

 

Occorre motivare il personale, impegnandolo soprattutto nella core mission della Pubblica Amministrazione che va riorganizzata in modo non più autoreferenziale ma per servire i cittadini.

 

A tale scopo sarebbe quanto mai utile riconvertire chi, oggi, si trova impegnato nei settori del lavoro strumentale per aumentare - senza costi aggiuntivi per l'Erario - il personale da adibire alla gestione dei problemi (o funzioni) finali, che sono quelli che interessano gli utenti.

 

 

6. Eguaglianza e merito

 

Questo concetto è stato posto in premessa: nella nostra società opinione diffusa è che dipendente pubblico sia sinonimo di inefficienza.

 

Per ribaltare questo luogo comune vanno individuate linee guida lungo le quali muoversi.

 

Intanto, dobbiamo smettere di rincorrere indiscriminatamente ed acriticamente il privato - cosa che ha provocato e sta provocando danni incalcolabili sui dirigenti e i quadri della Pubblica Amministrazione disaffezionandoli al proprio ruolo - nell'illusione che solo nel privato si trovino le professionalità per innovare.

 

L'esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che questo, nonostante numerosi tentativi, non è accaduto. Altro discorso è, invece, introdurre nel pubblico criteri e parametri propri del settore privato.

 

Occorre, invece, mettere ordine nel mondo complesso degli impiegati:

 

a) eliminando le forme di rapporto di lavoro a tempo determinato (precariato);

b) fondando la carriera sul merito, mediante ricorso a meccanismi di premi e sanzioni;

c) riunificando poteri che siano frammentati in modo da respon-sabilizzare il singolo sul risultato;

d) fissando parametri di produttività e di carichi di lavoro, sulla base degli atti e delle operazioni, ponderati con la loro complessità.

 

Imperativo categorico della riforma della Pubblica Amministrazione è che que­sto programma ambizioso non sia realizzato senza la diretta collaborazione dei destinatari della riforma stessa; anzi, essa va fatta con il loro contributo di idee, di progetti, di innovazioni.

 

Obiettivo fondamentale è quello di restituire dignità al pubblico impiego, guadagnando sul campo il posto perduto nella società dovuta all'insipienza e alla carica assistenziale e clientelare dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni.

 

Una prima considerazione va fatta in ordine al tema decantato della distinzione (non certo separazione) tra indirizzo politico e gestione amministrativa: non si illudano i riformatori che l'indirizzo politico si possa determinare in assenza di relazioni reci­proche con gli operatori.

 

Una simile concezione è errata sia nella quotidiana gestione ministeriale, dove l'indirizzo politico e le conseguenti direttive vanno, comunque, in qualche modo contrattate con gli operatori per la realistica valutazione degli obiettivi e delle risorse disponibili, sia nella determinazione degli indirizzi di politica generale del governo; fermo restando, naturalmente, che le grandi strategie politiche competono al vertice politico, che si esprime attraverso la strategia di partito e di maggioranza.

 

Tuttavia, è bene ribadire la illusorietà degli indirizzi politici attuativi delle direttive di alta amministrazione elaborati dal vertice politico senza che vi siano lo scambio costante e il confronto continuo con i referenti amministrativi (alta e media dirigenza).

 

Il coinvolgimento preventivo della dirigenza nelle scelte politiche, infatti, evita il pericolo della eterogenesi dei fini, per cui alcuni obiettivi strategici politici di fondo sono falliti per l'inadeguatezza degli indirizzi politici concreti, quando essi sono stati elaborati senza la collaborazione creativa della classe dirigente pubblica. Dobbiamo invece proporre e costruire all’insegna del criterio della fattibilità degli interventi.

 

Per restituire alla Pubblica Amministrazione e ai suoi dirigenti la dignità calpestata basterebbe, per dirla con una battuta, seguire a ritroso il cammino fatto dai Governi di centro-sinistra. E questo percorso va fatto perfezionando il disegno politico che è stato esplicitato ormai nella legge n. 145/2002.

 

 

7. La produttività gestionale si può conseguire.

 

Non bastano le leggi per cambiare i comportamenti.

 

Dal 1980 sono state emanate centinaia di leggi o di atti normativi in genere che dettano disposizioni sulla "produttività" della Pubblica Amministrazione senza che si assistesse a qualche incremento del livello produttivo della singola istituzione.

 

Continuiamo a riempirci la bocca di produttività, eppure gli osservatori stranieri si meravigliano perché la nostra Amministrazione non riesce a comunicare con i cittadini per posta o con il telefono, evitando loro di accedere agli Uffici.

 

Si calcola che dei 365 giorni che ci sono ogni anno, tra i 15 e i 20 ogni cittadino italiano li trascorre nei rapporti con le istituzioni pubbliche.

 

La scarsa produttività delle pubbliche istituzioni è da ricercare nello scarso impegno legato all'assenza di reali incentivi, alle procedure obsolete, all'eccesso di interferenze, alle gelosie, perché no?, tra amministratori.

 

Da qui la necessità di rendere il lavoro di ogni dipendente pubblico il più razionale possibile. E poi non è vero che i dipendenti pubblici in Italia sono troppi. In Francia, in Inghilterra, in Germania sono ancora più numerosi ma rendono meglio perché diversa è la distribuzione tra le varie funzioni rapportata agli obiettivi da conseguire nel modo più rapido e più economicamente conveniente.

 

Troppo spesso è accaduto che i fondi destinati alla produttività siano stati distribuiti tra i dipendenti "a pioggia", senza alcun criterio, mortificando e, quindi, demotivando chi lavora con dignità, con dedizione, con professionalità. Da qualche tempo, attraverso la contrattazione collettiva integrativa, ciò che era in principio destinato all’incremento della produttività, si sta utilizzando per remunerare gli avanzamenti di carriera. Non è forse questa una distorsione del sistema?

 

 

8. La formazione continua, uno strumento per creare cultura della sana gestione.

 

L'attività formativa si dimostra ancora alquanto generica. In effetti, essa serve ad aggiornare, ad acquisire nuove qualificazioni ma non ad aiutare i dipendenti, dato che manca la sperimentazione pratica. L’obiettivo dovrebbe essere “meno lezioni, più sperimentazioni”. Ed ogni intervento formativo sia eseguito dalla valuta­zione di rendimento e di risultato.

 

Abbiamo, nel nostro Paese, scuole pubbliche di formazione dei dipendenti pubblici che sembrano atteggiarsi come una qualsiasi Facoltà universitaria. Non servono. Così come non servono, ai fini di un corretto equilibrio con il sistema formativo pubblico, gli istituti privati che si atteggiano a centri universitari, con tanta teoria e poca sperimentazione gestionale.

 

Le risorse dedicate alla formazione, poi, sono ancora limitate.

 

Secondo gli standards internazionali, bisognerebbe dedicare alla formazione non meno del 2% del monte-salari. Se esso può apparire esagerato, si pensi che la Francia dedica alla formazione quasi il 6% del monte-salari.

 

Ai dirigenti deve essere affidato un vero e proprio potere di gestione così articolato: indicazione di obiettivi e di tempi; budget; poteri di spesa; controllo dei risultati.

 

Se tutto questo è già scritto nelle leggi, va anche detto che non ci sono, oggi, i luoghi dove apprendere a "essere dirigente", anche perché i contenuti dei corsi di quella che è la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, che si dimostra comunque fortemente disponibile al cambiamento, non riescono a suscitare l'interesse di chi deve frequentarli.

 

Occorre, allora, consentire alla dirigenza di scegliere corsi di formazione, anche ricorrendo ad agenzie private di formazione manageriale.

 

Si tratta di avviare un sistema di formazione permanente che va esteso alle qualifiche inferiori a quella dirigenziale (in particolare, alla vice-dirigenza) per entrare a far parte del sistema di investimento sulle risorse umane proprio di ogni organizzazione moderna e funzionale. Solo aprendo alla concorrenza in questo campo, si adegua la Pubblica Amministrazione all'evoluzione della società nazionale, delle stesse comunità locali.

 

 

9. Controllare è anche governare e amministrare

 

La legge 14 gennaio 1994, n. 20, così come, oggi, la legge 5.6.2003, n. 131, si sono proposte di incidere su un antico pregiudizio, ancora saldamente radicato nella cultura sia della dirigenza sia della dottrina amministrativistica sia dei controllori professionali: quello secondo cui il governare così come l'ammi-nistrare siano cose diverse dal controllare.

 

Oggi, svolgere attività di controllo significa, oltre che verificare la rispondenza dell'atto o provvedimento alla norma di legge (controllo di legittimità), anche dare un giudizio sulle tre E:

1. Efficienza,

2. Efficacia,

3. Economicità.

 

In questo senso, il secondo dei doveri di un dirigente pubblico è quello di sottoporre a monitoraggio (controllo) permanente l'attività dei suoi collaboratori.

 

Come fare? Anche sotto questo profilo, lo strumento della compartecipazione alla realizzazione dell'ambizioso progetto è la formazione. Da qui la necessità di predisporre dei piani di formazione/qualificazione di grande impegno.

 

Ma non basta controllare la legittimità dell'atto, vanno controllati anche i risultati dell'azione amministrativa. Occorre effettuare realmente i controlli dei costi e dei rendimenti, oltre che dei controlli di performance (in italiano, produttività), cioè di risultato.

 

Tutto ciò presuppone una avvertita disponibilità all'introduzione del calcolo economico come misura dell'azione amministrativa.

 

La verifica della soddisfazione degli utenti andrebbe fatta a campione, anche con l'assistenza di organismi esterni, quando sia necessario e sia previsto, ormai, dalla normativa comunitaria. Su tali basi si potrebbe avviare la costruzione di un sistema degli incentivi basato sul grado di soddisfazione assicurato agli utenti. Non solo: si potrebbero attribuire livelli salariali più alti attraverso le promozioni per le singole persone, oppure mediante la attribuzione di maggiori risorse agli Uffici.

 

Alla crisi dei controlli tradizionali si è già fornito recentemente una risposta ridisegnando "il sistema dei controlli", sia interni che esterni.

 

Se è poi vero che il controllo sul campo lo effettua per primo e in presa diretta il dirigente, a costui non può non essere fornita una adeguata cultura. La stessa va fornita ai rappresentanti del sindacato, cui spetta l'onere di controllare l'imparzialità dell'uso delle risorse umane, e che sono l’interfaccia del datore di lavoro pubblico.

 

L'Amministrazione, in sostanza, ha dimenticato che occorre autocontrollarsi. Deve tornare a farlo. Anche perché c'è già chi formulerà un giudizio su tale delicato aspetto della gestione: è la Corte dei conti cui è stata assegnata la funzione di esercitare un controllo-guida, un controllo assistenza, un controllo sollecitazione a ben gestire la "cosa pubblica", senza dimenticare di colpire chi ha agito contra legem.

 

In questo senso, il Governo ha posto le basi perché questo Organo accentui, essendo stato approvato il testo “La Loggia” di adeguamento del nostro sistema amministrativo ai principi posti dalla legge costituzionale n. 3/2001, quelle funzioni di ausiliarietà nei confronti di tutti gli organi rappresentativi della volontà popolare, non solo del Parlamento nazionale. Si tratta di una scelta politica di grande portata storica, che conferma la volontà del Governo di rendere sempre più visibile l’importanza che esso annette al controllo indipendente esterno affidato alla Corte dei conti, la quale è chiamata, nello svolgimento della missione in questione, a formulare un giudizio sulla funzionalità del sistema dei controlli interni.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTRIBUTI  ED  INTERVENTI




IL COORDINAMENTO DELLE POLITICHE COMUNITARIE: PROBLEMI ATTUALI E PROSPETTIVE DI RIFORMA.*

 

 

     di Francesco Astone,

professore associato di diritto amministrativo

 

 

1. Italia ed Unione Europea: un difficile dialogo

 

Il rapporto tra l’Italia e la Comunità europea è stato a lungo condizionato da un originario difetto di prospettiva: gli “affari comunitari” – anche alla luce dei ristretti limiti a suo tempo imposti alla “costituzionalizzazione” del processo di integrazione dall’art. 11 della Costituzione – sono stati a lungo considerati come rientranti nel settore degli “affari esteri”. Da ciò sono derivate inevitabili conseguenze anche sotto il profilo organizzativo e nei rapporti interistituzionali dato che tutto quanto riguardava i rapporti internazionali era tradizionalmente considerato di competenza del Ministero degli affari esteri o comunque del Governo, con la sostanziale pretermissione dal circuito decisionale del Parlamento e di altri importanti soggetti istituzionali, come le Regioni, in un contesto caratterizzato peraltro dalla assenza di una autentica “cultura europea” in grado di agevolare la traduzione delle “politiche comunitarie nel linguaggio e nei moduli procedurali, organizzativi, funzionali tipici dell’amministrazione autonoma”[1].

 

Tuttavia l’incidenza delle norme comunitarie sugli ordinamenti nazionali, parallela al progredire del processo di integrazione europea, non poteva non porre con sempre maggiore evidenza l’esigenza di un più efficace controllo parlamentare sugli atti della Comunità.

 

Il problema del controllo parlamentare non riguardava, peraltro, la sola fase di attuazione della normativa comunitaria: in questa, infatti, il margine di discrezionalità lasciato agli organi nazionali, quando pure c’è, è molto ristretto; si trattava piuttosto, di garantire al Parlamento una precisa funzione anche nella fase decisionale, attraverso una partecipazione -sia pur indiretta- al “negoziato” a livello comunitario e più ampie possibilità di partecipazione sia nella c.d. “fase ascendente”, cioè di formazione della decisione a livello comunitario, sia per l’attuazione delle norme comunitarie nella “fase discendente”.

 

 

2. Il ruolo del Parlamento.

 

In tal senso, una prima svolta si è avuta con un complesso di leggi che hanno ampiamente modificato i rapporti tra le Istituzioni nazionali e la Comunità.

 

Oltre alla legge sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio, n. 400 del 1988, la legge Fabbri n. 183/87 e soprattutto la legge La Pergola n. 86/89, hanno profondamente innovato i meccanismi di “partecipazione” nazionale al processo normativo comunitario, ed i criteri di applicazione in sede nazionale degli atti normativi e degli interventi, anche finanziari, approvati dalla Comunità.

 

In particolare, la legge “La Pergola” (n. 86/89), ponendosi nella stessa ottica della legge Fabbri (protesa alla ricerca di più adeguati rapporti tra l'Italia e la Comunità) ha migliorato certamente gli strumenti di recepimento delle direttive comunitarie, ma ha anche prefigurato un assetto definito delle forme di partecipazione e delle modalità di intervento delle amministrazioni nazionali nel processo normativo.

 

La pietra angolare del sistema è costituita dalla “legge comunitaria”, con la quale si è cercato di trovare una soluzione “a regime” predisponendo una serie di strumenti per il tempestivo recepimento, delle direttive CEE ed EURATOM e delle raccomandazioni CECA. Il “sistema” previsto pur facendo perno sulla legge comunitaria, risulta piuttosto articolato: attuazione diretta con norme della stessa legge; delega, se necessario (o addirittura qualche intervento legislativo ad hoc); attuazione con regolamento del Governo, con effetti anche delegificanti; attuazione da parte delle Regioni (immediata da parte di quelle a statuto speciale nelle materie di loro competenza esclusiva; nell'ambito delle disposizioni della legge comunitaria da parte di tutte le altre Regioni, nelle materie di competenza concorrente); recepimento mediante semplici atti amministrativi (normalmente decreti ministeriali) per “materie particolari”.

 

Tuttavia, malgrado i timidi progressi registratisi con l’entrata in vigore della legge La Pergola, in termini generali il problema della individuazione di adeguati meccanismi di coordinamento nell’ambito delle singole amministrazioni competenti in materia comunitaria è rimasto di fatto a lungo irrisolto.

 

Può dirsi così che l’applicazione della legge La Pergola seppur ha prodotto un miglioramento degli strumenti di recepimento delle direttive comunitarie, non è tutto sommato servita a definire un quadro organico e un assetto complessivo ed ordinato dell’azione delle istituzioni nazionali nei confronti della Comunità[2].

 

In particolare è quasi totalmente fallito l’obiettivo di assicurare una significativa partecipazione del Parlamento alla fase ascendente dei processi decisionali comunitari e, conseguenzialmente, un maggiore spazio alla attività legislativa rispetto a quella di controllo ed indirizzo: ciò del resto è indirettamente confermato dal fatto che lo strumento della legge comunitaria annuale, per come disciplinato dalla legge 9 marzo 1989, n. 86 e per la sua concreta utilizzazione nella prassi legislativa è stato in genere valutato con riferimento alla sua capacità di assicurare un tempestivo adeguamento dell’ordinamento italiano alla normativa comunitaria e di reinserire, nel contempo, le assemblee parlamentari all’interno del circuito decisionale nazional-comunitario[3], -qui visto nella sua “fase discendente”- e nei processi di attuazione del diritto comunitario, che vedevano il Governo come naturale e pressoché esclusivo protagonista. Né può dirsi certo che l’altro obiettivo -quello di assicurare lo smaltimento dell’arretrato di direttive già scadute e ancora da attuare nell’ordinamento italiano, con ciò rimediando al poco lusinghiero primato italiano di ricorsi per inadempienze e di condanne da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee e tentando altresì di garantire, in futuro, il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario[4]- sia stato centrato.

 

Infatti se con la legge La Pergola “viene previsto che l’adeguamento periodico dell’ordinamento nazionale all’ordinamento comunitario possa avvenire, a seconda di quanto determinato dalla legge comunitaria annuale, non solo attraverso disposizioni direttamente modificative-abrogative di leggi, o attraverso il conferimento di deleghe legislative al Governo, o ancora attraverso atti amministrativi, ma anche mediante l’autorizzazione al Governo ad attuare in via regolamentare la normazione comunitaria, previa (eventuale) delegificazione della materia…”, non può non aderirsi a quella dottrina che giudica negativamente i meccanismi introdotti che per un verso trasformano “la procedura comunitaria.…in un vero procedimento di procedimenti”[5] per l’altro si caratterizzano per essere un insieme di disposizioni normalmente “eterogenee e prive di collegamento strumentale finalistico, accomunate esclusivamente dall’essere proposte in adempimento dell’obbligo di adeguamento del diritto interno a quello comunitario”[6].

 

 

3. Coordinamento delle politiche comunitarie e partecipazione delle amministrazioni pubbliche nazionali alla formazione ed attuazione del diritto comunitario.

 

I processi di integrazione in atto manifestano una singolare attitudine ad attrarre nell’ambito dell’influenza europea interessi pubblici tradizionalmente propri degli stati nazionali: ciò implica per un verso una graduale affermazione della tendenza a prevedere (in sede europea) obblighi di facere e non di semplice astensione a carico degli stati membri; per l’altro richiede l’instaurazione (e l’incentivazione) di rapporti continuativi ed efficienti tra gli apparati statali e quelli europei.

 

Sul piano interno tuttavia a lungo è rimasta senza riscontro l’esigenza di un rafforzamento delle strutture del Dipartimento per le politiche comunitarie e della funzione di coordinamento[7] effettivo da parte del Presidente del Consiglio o del ministro ad hoc per le politiche comunitarie da lui delegato[8]; ove a ciò si aggiunga la scarsa incidenza dell’attività parlamentare di indirizzo e controllo e, più in generale, il mancato tempestivo coinvolgimento del Parlamento in materia comunitaria, non può certo stupire il fatto che sia in fase ascendente che in fase discendente il nostro paese si trovi costantemente in ritardo rispetto agli altri partners europei.

 

Come già accennato infatti, la risposta dello Stato italiano ai problemi connessi al processo di integrazione è stata del tutto inadeguata e si è di fatto concretata in una (non sufficientemente ponderata) creazione di nuove strutture e competenze, le quali si sono aggiunte alle precedenti, per stratificazioni successive, senza apprezzabili tentativi di razionalizzazione. Una conferma esemplare di quanto appena segnalato è costituita dal modo in cui è stato affrontato uno dei maggiori nodi del rapporto tra l’Italia e l’Unione: quello del coordinamento dei diversi attori nazionali coinvolti nei processi di formazione ed attuazione delle decisioni comunitarie[9].

 

In questa materia, infatti, la sovrapposizione e la confusione delle competenze costituisce la regola, funzioni generali di indirizzo e coordinamento spettando, oltre che al Presidente del Consiglio ed al Consiglio dei Ministri, al Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, al Ministero degli affari esteri ed al CIPE[10]. E’ evidente che la pluralità dei titolari comporta nel migliore dei casi dispersione delle responsabilità, ma spesso concreta il mancato esercizio della funzione. E del resto alla tecnica della sovrapposizione non si è rinunziato neppure quando esistevano tutte le premesse oggettive per una razionalizzazione del sistema. Esemplificativa in tal senso è la creazione del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, un organismo, cioè, che, essendo chiamato a funzioni di ordine tendenzialmente generale, non avrebbe potuto -né dovuto- essere semplicemente giustapposto all’esistente, ma ne avrebbe richiesto la riforma, che tuttavia è mancata[11]. Con la conseguenza che il Dipartimento è stato costretto a ricercare il proprio spazio operativo “concorrendo” con altri apparati, e, in particolare, con il Ministero degli affari esteri, chiamato -dalla normativa previgente- ad una serie di funzioni che avrebbero dovuto essere assorbite dalla nuova struttura. Si è determinata, quindi, una situazione la cui irrazionalità è manifesta: Dipartimento e Ministero hanno condiviso senza una precisa distinzione di ruoli e con raccordi confusamente definiti dalla normativa, la funzione di coordinare le amministrazioni di settore interessate dall'azione comunitaria.

 

A ben guardare, peraltro, l’unico criterio di effettiva distinzione tra le loro competenze può essere ricercato lungo la linea che divide la fase ascendente da quella discendente del processo di formazione-attuazione delle decisioni comunitarie. Si tratta, tuttavia, di un criterio tutt'altro che soddisfacente. Per un verso è, infatti, noto che la netta scissione tra i due momenti costituisce una delle maggiori cause, oltre che dell'inefficacia della politica comunitaria del nostro paese, dell'elevato tasso di inadempienza che la contrassegna; per l’altro, va sottolineato come la scarsa presenza delle istituzioni nazionali al procedimento normativo comunitario (cioè la c.d. fase ascendente) ha prodotto i maggiori insuccessi del nostro Paese nel rapporto con l’Unione europea, determinando una “costituzionale” incapacità dell’Italia ad utilizzare adeguatamente le risorse comunitarie. In realtà la distinzione di ruoli su tale base risulta molto meno netta di quanto non potrebbe a prima vista apparire. Non solo perché il Dipartimento non è completamente estraneo alla fase ascendente (concorrendo all'elaborazione della posizione negoziale dell'Italia ed essendo l’interlocutore istituzionale di alcuni degli attori coinvolti nel processo: il Parlamento e le Regioni); ma anche -e soprattutto- per il ruolo che entrambe le strutture giuocano nei rapporti con le amministrazioni di settore. Basti pensare che taluni uffici hanno tradizionalmente intrattenuto relazioni con il Ministero degli affari esteri, mentre altri hanno trovato il proprio referente principale nel Dipartimento. E questo al di fuori di un disegno di cui sia dato decifrare la logica interna.

 

 

4. Le prospettive di riforma: profili generali.

 

Da tempo ormai la modifica della legge La Pergola (l. n. 86/89, recante norme sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari)[12] è entrata stabilmente nella agenda delle riforme.

Da più parti infatti è stato sottolineato come tra la “fase ascendente”, di formazione del diritto comunitario, e quella “discendente”, di attuazione ed implementazione delle norme poste dall’Unione europea, esista un intimo collegamento che va oltre i profili strettamente procedimentali: la scarsa o inadeguata partecipazione delle amministrazioni nazionali al processo di formazione della norma comunitaria si ripercuote inevitabilmente in fase attuativa.

 

Tale idea, ormai ampiamente diffusa, merita tuttavia qualche ulteriore svolgimento anzitutto con riferimento al rapporto tra le due “fasi” ed ai molti e complicati problemi che l’attuale assetto delle fonti comunitarie determina[13].

In proposito si può osservare come le due fasi presentino un’evidente differenza: la prima implica un’attività degli organi dell’Unione, alla quale gli stati membri collaborano mediante atti di vario genere, con la presenza dei propri rappresentanti a Bruxelles e soprattutto attraverso le prese di posizione dei ministri che siedono in quanto tali nel Consiglio; la seconda implica soltanto attività degli organi dello Stato da esercitare in base all’ordinamento costituzionale (ed eventualmente suscettibili di determinare responsabilità per inadempimento degli obblighi comunitari da parte dello Stato stesso).

 

Ciò ha fatto sì che la prassi si sia sviluppata nel senso di lasciar sussistere una netta separazione delle due fasi, la seconda delle quali si sviluppa come una fase autonoma, in parte condizionata dai risultati della prima, ma rivolta al perseguimento di obiettivi potenzialmente anche diversi, se non addirittura opposti.

 

Sembra evidente, invece, che molti inconvenienti sarebbero evitati se l’attività svolta nell’ambito della fase ascendente dagli organi del Governo italiano per cercare di influenzarne l’esito in senso conforme agli indirizzi politici da essi adottati e l’attività di preparazione delle misure di attuazione delle norme comunitarie si svolgessero nel modo più strettamente coordinato possibile, dimodochè, già nel corso della fase ascendente e per ogni singolo provvedimento comunitario, il Governo italiano avesse un quadro aggiornato dei problemi che deriverebbero, sul piano interno, dalle diverse ipotesi delineate e dalle possibili soluzioni, così da arrivare al momento dell’approvazione dell’atto normativo comunitario con un quadro già sufficientemente definito delle misure da adottare in sede attuativa.

 

Soprattutto per quanto riguarda le direttive, questo coordinamento delle attività proprie delle due fasi appare per molti versi essenziale, in quanto consentirebbe, tra l’altro, di tenere conto fin dalla fase della partecipazione alla produzione degli atti comunitari del punto di vista di tutti quei soggetti che hanno titolo ad essere consultati (o addirittura a deliberare) nella fase discendente, attenuando così il rischio che questa si risolva di fatto in un’attività tendente a disfare ciò che è deciso a livello europeo.

 

Ove invece fosse possibile far sì che il lavoro di predisposizione dei progetti di misure attuative progredisse di pari passo allo sviluppo del lavoro di preparazione ed approvazione degli atti comunitari, cosicché al momento in cui questi ultimi sono emanati si avesse già un quadro sufficientemente preciso di ciò che occorre per la loro attuazione, sarebbe possibile dedicare alla preparazione delle relative misure il tempo corrispondente al termine previsto per l’entrata in vigore (che nel caso delle direttive tiene generalmente conto di questa esigenza), onde far sì che le misure attuative entrino in vigore contemporaneamente alle norme comunitarie.

 

Naturalmente questa riorganizzazione dell’attività di attuazione degli obblighi comunitari dovrebbe avvenire senza ridurre in alcun modo le forme di consultazione già attualmente previste, le quali comportano la partecipazione alla fase ascendente, in varie forme, del Parlamento, delle Regioni e di altre istituzioni. Alcune di queste forme di partecipazione dovrebbero anzi essere certamente potenziate in corrispondenza della realizzazione dei progetti di revisione costituzionale attualmente in corso di esame.

 

E’ necessario quindi operare modificazioni nei meccanismi di trasposizione del diritto comunitario e di una regolamentazione dei rapporti tra i diversi soggetti che partecipano alla definizione e all'attuazione del diritto comunitario che trovi una qualche forma di stabilizzazione costituzionale. A questo proposito, non mancano gli esempi stranieri ai quali ispirarsi, sia per quanto riguarda il coinvolgimento del Parlamento, sia per quanto concerne il ruolo delle Regioni (ad esempio, Francia e Germania)[14].

 

Ora non vi è dubbio che considerato nel complesso, l'apparato normativo che disciplina, in Italia, la partecipazione alla fase di elaborazione del diritto comunitario appare non del tutto idoneo a garantire una sufficiente rappresentanza di tutti gli interessi coinvolti. Esistono certamente margini di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda il diretto coinvolgimento delle parti sociali, ma sotto l'aspetto normativo il reale passo in avanti da compiere è anzitutto legato all'effettiva attivazione delle disposizioni già esistenti, che potrebbero eventualmente essere consolidate in un testo organico.

 

Il vero nodo da sciogliere per migliorare la partecipazione dell'Italia alla fase ascendente del processo normativo comunitario è certamente quello dell'individuazione di un centro governativo che sia in grado di coordinare le indicazioni di tutti gli attori interessati (Parlamento, amministrazioni centrali, amministrazioni locali, parti economiche e sociali).

 

In tale ottica, occorre anzitutto porre rimedio alla tradizionale scarsa rappresentatività delle delegazioni italiane in sede comunitaria: tali delegazioni, infatti, sono di regola pletoriche e generalmente disinformate.

 

Ciò vale in particolare nella fase ascendente, dove occorre definire la posizione comune che sarà poi presentata a Bruxelles: in questo modo il negoziatore della posizione italiana avrebbe piena cognizione di tutti gli interessi coinvolti, per rappresentarli e difenderli al meglio. La risoluzione di questo nodo è tanto più necessaria se si considera che l'estensione del voto a maggioranza qualificata renderà ancora più vulnerabili i paesi non ben preparati a rappresentare i loro interessi, in quanto non avranno più in seno al Consiglio il potere di veto oggi esistente, che dovrà, dunque, essere compensato con una forte presenza nella fase ascendente.

 

Bisogna peraltro considerare con attenzione i tempi di definizione della posizione italiana sulle proposte della Commissione. Il più delle volte le proposte normative della Commissione, una volta formalizzate e presentate al Consiglio e al Parlamento europeo, non presentano più margini effettivi di intervento per una negoziazione. È quindi necessario che la posizione italiana sia definita in tempo, per intervenire nell'elaborazione delle proposte all'interno della Commissione. Ciò presuppone essenzialmente l'esame da parte degli attori interessati - e la correlata attività di coordinamento - sia del programma legislativo annuale della Commissione (nel quale sono anticipate le intenzioni legislative della Commissione), sia dei libri verdi e dei libri bianchi, sui quali è sempre più spesso la Commissione stessa ad avviare consultazioni.

 

La strada da seguire potrebbe essere quella di affidare in via definitiva al Dipartimento per le politiche comunitarie il compito di coordinare e definire la posizione italiana fin dallo stato primario delle proposte normative della Commissione europea, riservando agli organi del Ministero degli affari esteri la conduzione del negoziato su di esse. Ciò garantirebbe la possibilità di delineare comunque una posizione unitaria sul negoziato, superando possibili divergenze tra i punti di vista dei diversi attori. D'altra parte, la conduzione del negoziato da parte degli organi del Ministero degli affari esteri - eventualmente integrati da rappresentanti del Dipartimento - consentirebbe un corretto inquadramento del negoziato stesso nel complesso delle politiche dell'Unione.

 

Va inoltre sottolineato come una definita e tempestiva posizione consentirebbe al Ministero degli affari esteri di esplicare con maggiore efficacia il proprio ruolo nella fase di preparazione delle proposte normative della Commissione europea. E’ questo infatti un passaggio assai delicato rispetto al quale il Governo italiano è spesso in forte ritardo e che implica contatti continui e informali a livello sia di servizi sia di gabinetti della Commissione. Partecipare efficacemente a queste trattative significa non essere poi costretti ad un difficile recupero nella fase di vero e proprio negoziato in seno al Consiglio.

 

Inoltre, sempre per quanto riguarda la fase ascendente, appare necessario stabilire le forme di un coinvolgimento attivo del Parlamento nella partecipazione alla definizione delle norme comunitarie, attraverso una valorizzazione e parziale integrazione dell'apparato normativo già esistente, che peraltro è rimasto in gran parte inattuato; il Parlamento del resto è il soggetto maggiormente legittimato a formulare indirizzi al Governo per il negoziato, e per questo deve essere debitamente informato.

 

D'altra parte, nel contesto europeo è ormai consolidata la tendenza a coinvolgere maggiormente i Parlamenti nazionali nell'indirizzo politico e nella formazione degli atti normativi comunitari: in particolare, il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali allegato al Trattato di Amsterdam prevede un intervallo di sei settimane tra la data di presentazione di una proposta legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio da parte della Commissione, e la data di iscrizione della proposta all'ordine del giorno del Consiglio. Di più: il ruolo dei parlamenti nazionali della riforma dell’Unione è ora ampliamente riconosciuto nel progetto di costituzione europea predisposto dalla Convenzione attraverso il miglioramento attraverso il miglioramento delle forme di controllo dei Parlamenti sui Governi; il ruolo riconosciuto alle assemblee parlamentari nel controllo sull’effettivo rispetto del principio di sussidiarietà; la prefigurata introduzione dell’early warning system (allarme preventivo)[15].

 

In altri termini, si avverte forte l'esigenza che il Parlamento sviluppi un interesse costante per le norme comunitarie in fase di elaborazione, maturando una vera e propria cultura di partecipazione alla fase ascendente. Se, infatti, il Governo si è mostrato inadempiente nell'informare il Parlamento, è anche vero che le Camere non hanno sfruttato gli strumenti previsti dai rispettivi regolamenti per partecipare attivamente alla fase ascendente.

 

Quanto, invece, alla fase discendente, le proposte di riforma del quadro normativo riguardano gli strumenti previsti dalla “legge La Pergola”. In particolare, se le direttive sono obbligatorie per lo Stato e se queste, nella fase ascendente, sono state direttamente ricevute dal Parlamento (così si esprime il protocollo 2 allegato al trattato di Amsterdam), è possibile addivenire ad un recepimento sistematico delle direttive in modo semplificato mediante una estensione dei casi di attuazione in via regolamentare, salvo casi di riserve assolute di legge o di particolare importanza delle direttive da attuare.

 

Si potrebbero, pertanto, prevedere modifiche della legge n. 86 del 1989 volte al potenziamento delle modalità di attuazione rappresentate dalla normazione diretta e dall'attuazione in via regolamentare, restringendo al massimo il ricorso alle deleghe legislative cumulative, ossia alle deleghe legislative con principi e criteri direttivi validi per una pluralità di direttive, cui andrebbero preferite, semmai, puntuali deleghe legislative per l'attuazione di singole direttive.

 

Sarebbe, inoltre, necessario introdurre nella legge La Pergola una disposizione che affidi alle leggi comunitarie annuali il compito di favorire, attraverso l'emanazione di testi unici legislativi o regolamentari, il raccordo fra la normativa che si introduce in attuazione di direttive comunitarie e l'ordinamento interno, ponendo particolare attenzione ai profili della semplificazione normativa e dell'analisi di impatto della regolamentazione recata dalla normativa di derivazione comunitaria.

 

Quanto poi alle Regioni[16] esse hanno già notevoli possibilità di intervento nella fase ascendente, pur se la scarsa conoscenza di tali norme da parte delle amministrazioni regionali si traduce in una marcata debolezza della partecipazione delle Regioni al negoziato comunitario, che però potrebbe essere parzialmente ridotta con l'esercizio effettivo delle prerogative previste dalla legge. Le soluzioni al problema quindi non possono essere ricercate soltanto nel “nuovo” assetto costituzionale delineatosi dopo la riforma del titolo V, ma implicano piuttosto l’ammissione di un diverso costume nei rapporti comunitari delle regioni.

 

In particolare, dovrebbe essere incrementata la presenza di uffici di rappresentanza a Bruxelles, dove non tutte le regioni sono presenti: la presenza diretta sul luogo del negoziato rende infatti più incisiva la possibilità di rappresentare i propri interessi. Peraltro, appare necessario un maggiore collegamento e coordinamento tra gli uffici attualmente presenti a Bruxelles, la cui azione risulta inefficace anche a causa dell’incapacità di funzionare come sistema: ogni singola regione, ogni singolo ufficio che negozi da solo si trova inevitabilmente in una situazione di inferiorità. Non può sottacersi peraltro come spesso l'azione unilaterale delle singole regioni rischia di portare alla rappresentazione di interessi configgenti, non agevolmente armonizzabili in una posizione comune.

 

Se, dunque, la presenza delle regioni a Bruxelles ha una valenza positiva, perché consente loro di essere più vicine ai problemi da affrontare, d'altro canto occorre pensare ad un'organizzazione dell'azione di tali rappresentanze di modo che la loro posizione presenti un profilo tendenzialmente comune sul piano della rappresentazione degli interessi degli enti sub-statali, e si configuri come raccordata - o quanto meno armonizzabile - con la posizione italiana nel suo complesso.

 

Il luogo di naturale sintesi di tali processi deve essere la sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni; ma in seno ad essa dovrebbe essere meglio elaborata la posizione delle regioni da far valere nel negoziato. Questa soluzione presenterebbe, tra l'altro, il vantaggio di riportare al coordinamento del ministro per le politiche comunitarie le indicazioni delle regioni, con ciò rafforzando il ruolo di definizione unitaria della posizione negoziale italiana da affidare al Dipartimento per le politiche comunitarie. Va rilevato tuttavia come la scarsa attitudine mostrata sinora dalla Conferenza Stato-Regioni ad assolvere, in materia comunitaria, alla funzione propria degli organismi cooperativi vada forse ricercata nella assenza di una coesione interregionale, del tipo di quella che, ad esempio, esiste nell’ordinamento tedesco, in ragione delle peculiari strutture organizzative in esso esistenti e della prassi di autocoordinamento tra i livelli regionali, che invece in Italia o quasi del tutto assente.

 

L’assenza di coesione incide infatti con tutta evidenza sul mancato sviluppo di un modello autenticamente cooperativo e sulla conformazione dei rapporti intergovernativi nella fase ascendente di formazione della volontà statale in materia comunitaria, consentendo la permanenza, a livello statale, di una posizione di netta supremazia, che va molto al di la di quella che pure gli spetta, nei rapporti con le regioni, nelle questioni internazionali e sopranazionali.

 

Sotto altro profilo, non vi è dubbio che deve essere ulteriormente rafforzato il collegamento con i rappresentanti italiani nelle istituzioni dell'Unione europea.

 

Una funzione essenziale, a questo riguardo, deve svolgere il Parlamento, sia attraverso un rapporto costante di scambio di indicazioni e informazioni tra i suoi organi e gli europarlamentari italiani, sia attraverso contatti frequenti con la Commissione europea: sotto questo profilo andrebbe incrementata la prassi di svolgere incontri tra le Commissioni parlamentari e rappresentanti italiani alle istituzioni comunitarie; e, sempre in tal senso, va sottolineato come la Rappresentanza permanente, oltre a svolgere un compito di legame organico con il Consiglio, dovrebbe avere un peso decisivo nel riversare sia al Parlamento europeo sia alla Commissione (soprattutto nella fase di predisposizione delle proposte normative) la posizione negoziale definita in sede nazionale. In linea generale, la descritta situazione di forte supremazia dello Stato, nei confronti delle Regioni italiane - a mio avviso non intaccata sostanzialmente dalla riforma del Titolo V della Costituzione - dovrebbe ispirare le proprie attività ed il proprio ruolo di coordinamento ad una filosofia maggiormente cooperativa, nella fase di adempimento degli obblighi comunitari. Sul versante statale, in particolare, il rispetto del principio di leale collaborazione dovrebbe ispirare lo stato nella materiale redazione delle leggi di recepimento, imponendo come contenuto obbligatorio di tali leggi solo ed esclusivamente effettive norme di principio.

 

Sul versante regionale un comportamento delle regioni realmente ispirato al principio di leale collaborazione dovrebbe comportare innanzitutto una tempestiva ed efficiente esecuzione delle norme comunitarie al fine precipuo di evitare responsabilità dello stato nei confronti degli organi comunitari per inadempimento. All’interno di questa impostazione cooperativa dei rapporti tra stato e regioni troverebbe allora pieno fondamento il riconoscimento allo stato dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni che non adempissero prontamente agli obblighi comunitari derivanti direttamente dalle norme comunitarie o dalle leggi statali di recepimento[17].

 

Se è infine necessario migliorare la presenza italiana negli apparati amministrativi della Commissione, appare auspicabile anche un coinvolgimento diretto delle parti economiche e sociali nella definizione della posizione negoziale italiana, affidando al Dipartimento per le politiche comunitarie il compito istituzionale di procedere ad una loro regolare consultazione. A questo fine appare indispensabile individuare una rappresentanza significativa, capace di dialogare in forma stabile con il Dipartimento, per il necessario coordinamento delle posizioni espresse, anche al fine di superare l'attuale situazione, in cui soltanto taluni interessi - che spesso non rispondono a quelli generali del sistema-Italia - trovano espressione nelle sedi del negoziato comunitario.

 

Su tali possibili sviluppi è peraltro ormai da tempo aperto il dibattito tra gli operatori del diritto. In molti convergono ad esempio sulle utilità di una riforma che preveda l’adozione, per l'attuazione delle direttive incidenti su settori di particolare complessità normativa o strategici dal punto di vista ordinamentale e socio-economico, di autonomi provvedimenti legislativi. Un'interpretazione « virtuosa » della funzione propria della legge comunitaria quale strumento di ordinario, ma non esclusivo, recepimento delle direttive comunitarie avrebbe, oltre tutto, il vantaggio di alleggerire tale strumento, liberandolo dalle questioni che, per il grado di complessità o di rilevanza politica, economica o sociale, potrebbero rallentarne l’iter parlamentare, con effetti negativi sull'intero programma di recepimento delle restanti direttive in scadenza.

 

 

5. I progetti di legge attualmente all’esame del Parlamento.

 

A cavallo tra la XIII e la XIV legislatura sono state presentate in Parlamento tre distinte proposte di legge: la n. 3310 (Modifiche alla legge 9 marzo 1989, n. 86, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari) di iniziativa parlamentare e la n. 3123 (Modifiche ed integrazioni alla legge 9 marzo 1989, n. 86, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), di iniziativa governativa,  cui è stato affiancato il progetto di legge C 3071 recante Modifiche alla legge 9 marzo 1989, n. 86, concernenti il rafforzamento della partecipazione dell’Italia al processo di formazione delle decisioni dell’Unione Europea. Delle proposte, per le quali l’Assemblea ha ritenuto opportuno disporre la discussione congiunta, è stato elaborato dalla Commissione permanente Politiche dell’Unione Europea della Camera dei Deputati un testo unificato, approvato in prima lettura alla Camera dei Deputati il 3 luglio 2003 e trasmesso al Senato, ove è attualmente in discussione (S. 2386 - Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari)[18].

 

Nelle linee generali, va rilevato come le proposte di legge presentate in Parlamento si muovono in sintonia con le conclusioni dell'Indagine conoscitiva sulla qualità e sui modelli di recepimento delle direttive comunitarie svolta dalla XIV Commissione della Camera dei deputati, approvata nella seduta dell'11 ottobre 2000, facendo proprie alcune soluzioni prefigurate nella precedente legislatura (atti Camera nn. 7171, 7504 e 7546)[19]. Le proposte continuano ad individuare nella legge comunitaria lo strumento privilegiato per il sistematico recepimento delle direttive in scadenza, alla luce della natura che essa riveste, che consente al Parlamento di esercitare in via preventiva un controllo sui presumibili effetti che la trasposizione di ciascuna direttiva potrà produrre sull'ordinamento e di coordinare l'insieme dei procedimenti attuativi cui è chiamato il Governo nella fase successiva.

 

La finalità comune dei vari interventi legislativi prefigurati si riconnette in linea generale, alla esigenza di definire una nuova cornice di riferimento relativamente alla partecipazione del Parlamento, delle Regioni, degli enti locali e delle parti sociali al processo decisionale dell’Unione ed alla fase di attuazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, per il tramite della introduzione di una normativa di natura organizzatoria e procedimentale, che riconduca alla sede parlamentare la visione unitaria del processo di adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento comunitario e che, in ogni caso, non escluda la possibilità di attuazioni specifiche di singole direttive con autonomi provvedimenti legislativi nell'esame dei quali il Parlamento assuma in pieno il ruolo di legislatore “sostanziale”. Di fondamentale importanza è la previsione di strumenti, comuni alle proposte di legge, atti a soddisfare la necessità di rimarcare maggiormente nell'impianto della legge La Pergola il nesso funzionale tra partecipazione alla fase ascendente delle direttive e loro successiva trasposizione nell'ordinamento nazionale, sulla scorta del rilievo secondo cui una più incisiva partecipazione alla fase ascendente consente di evitare che una debole rappresentazione degli interessi nazionali nella fase di elaborazione delle norme comunitarie si ripercuota criticamente sulla fase discendente, convogliando in quest'ultima rivendicazioni e aspettative non soddisfatte dalla normativa europea. I progetti tendono, quindi, a valorizzare il ruolo del Parlamento nel recepimento e nell'attuazione della normativa comunitaria attraverso il potenziamento del ruolo delle Commissioni parlamentari, chiamate ad esprimere un parere vincolante sia sugli atti normativi e di indirizzo dell'Unione europea e delle Comunità europee sia sugli schemi di regolamento di attuazione delle direttive comunitarie sia infine sulle decisioni delle Comunità europee: strumentale alle previsioni richiamate è il rafforzamento degli obblighi di comunicazione in capo al Governo, comune ai progetti dei legge in esame.

 

Le proposte di legge disciplinano inoltre, con previsioni in parte comuni, la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla procedura di formazione della normativa comunitaria, ampliandone i contenuti e prevedendo la trasmissione contestuale alle regioni, alle province autonome e al CNEL dei medesimi documenti trasmessi alle Camere e, per altro verso, riconoscendo un ruolo nella fase ascendente anche alle parti sociali, benché condizionata alla convocazione, da parte del Presidente del Consiglio o del Ministro per le politiche comunitarie, apposite sessioni semestrali di confronto.

 

Allo scopo di definire una nuova cornice normativa relativa, da una parte, alla partecipazione del Parlamento, delle Regioni, degli enti locali e delle parti sociali al processo decisionale dell’Unione europea e, dall’altra, alla fase di recepimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione[20], la Commissione Politiche dell’Unione Europea della Camera dei Deputati ha elaborato un testo unificato delle proposte di legge in esame in Parlamento che, in controtendenza con gli interventi legislativi degli ultimi anni, non opera alcun intervento modificativo o integrativo della legge La Pergola ma la abroga, sostituendosi ad essa. La Commissione ha avviato l’esame dei progetti di legge nel novembre del 2002 deliberando di costituire un Comitato ristretto per l’elaborazione di un testo unificato, che ha iniziato i propri lavori in dicembre. Al fine di accompagnare la definizione di un testo unificato ad un adeguato approfondimento istruttorio delle problematiche affrontate, che prevedesse un coinvolgimento dei soggetti maggiormente interessati dalle tematiche in esame, si è convenuto di deliberare lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sulle «questioni inerenti al processo di formazione e di attuazione delle politiche dell’Unione europea». Nel corso dell’esame svolto dalla XIV Commissione, sia nell’ambito del Comitato ristretto sia in sede referente, è stata posta una specifica attenzione anche alle procedure ed ai meccanismi adottati negli altri Paesi membri dell’Unione europea in modo da trarre spunti di riflessione per la definizione del nostro «sistema di partecipazione» con particolare riferimento alle best practices adottate.

 

Il provvedimento tende ad adeguare la normativa vigente sia al nuovo assetto costituzionale conseguente della Costituzione al nuovo Titolo V sia al processo di definizione di una nuova architettura europea in un’Europa a venticinque Stati: l’esigenza di interventi di modifica della legge La Pergola, infatti, è oramai indilazionabile, per un verso, a seguito del cambiamento del contesto istituzionale conseguente alle modifiche costituzionali - in quel contesto, la relazione illustrativa che accompagna la più volte citata legge 5 giugno 2003 n. 31, recante Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 rinvia il compiuto “soddisfacimento della lettera del nuovo dettato costituzionale sul ruolo delle Regioni nelle fasi cosiddetta ascendente e discendente del diritto comunitario” alla emanazione di ulteriori norme attuative, ravvisandone la naturale collocazione nei progetti di riforma della legge La Pergola - per l’altro, in considerazione del processo di riforma dell’Unione europea avviato con la Dichiarazione sul futuro dell’Unione Europea di Nizza del novembre 2000 e che dovrebbe concludersi quanto prima con l’adozione del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, predisposta dalla Convenzione europea, da parte della Conferenza intergovernativa che si è aperta -sotto la presidenza italiana- a Roma il 15 ottobre 2003.

 

La relazione che accompagna il testo unificato elaborato dalla Commissione permanente descrive i meccanismi di partecipazione delle amministrazioni  nazionali alle procedure di formazione ed attuazione del  diritto comunitario: sotto il profilo della partecipazione alla fase «ascendente», il testo unificato elaborato dalla Commissione tende a rafforzare i meccanismi di informazione dei soggetti coinvolti nelle procedure di formazione del diritto di fonte sovranazionale, ponendo a carico del Governo obblighi di informazione - tempestiva ed adeguata - sia sulle materie inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea sia sugli atti presentati in sede comunitaria, in modo da assicurare alle Camere, alle Regioni ed agli enti locali la possibilità di intervenire con più efficacia nelle fasi di maggiore rilievo dell’iter per la loro adozione[21].

In particolare, l’art. 2 prevede “al fine di concordare le linee politiche del Governo” relativamente al processo normativo comunitario la istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di un Comitato interministeriale per gli affari comunitari (il C.I.A.C.E.), che si avvale per la preparazione delle riunioni di un comitato tecnico permanente composto da funzionari di particolare qualificazione tecnica, individuati dal comma 4 dell’art. 2 in “direttori generali o altri funzionari con qualificata specializzazione in materia, designati dalle amministrazioni del Governo e, per le materie di competenza delle regioni e delle province autonome, della conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano….”.

 

Il C.I.A.C.E si caratterizza inoltre per la sua composizione variabile: ciò nel senso che, a fianco di ministri espressamente richiamati nel progetto di legge (il ministro per gli affari regionali, il ministro per gli affari esteri), sono chiamati a farne parte di volta in volta i ministri competenti nelle materie che costituiscono l’oggetto dei provvedimenti da adottare ed all’ordine del giorno delle riunioni del comitato.

 

L’istituzione del Comitato, ove effettivamente il progetto dovesse tramutarsi in legge dello Stato, dà risposta ad una esigenza fortemente avvertita cui, per un certo tempo, ha cercato di dare parziale riscontro il Dipartimento per le politiche comunitarie attraverso la indizione di riunioni e tavoli di concertazione con i vari attori istituzionali e non interessati alla partecipazione al processo decisionale comunitario: ed in effetti il comitato si configura, per le funzioni ad esso attribuite, quale “cabina di regia” governativa con compiti di coordinamento degli altri soggetti in materia comunitaria (Parlamento, Consiglio dei Ministri e Conferenza Stato-regioni), nel rispetto delle competenze delle singole istituzioni ed organismi.

 

La proposta di istituzione del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei e del comitato tecnico di supporto conferma una linea di tendenza: quella di salvaguardare la centralità del Governo nel contesto delle relazioni con le istituzioni comunitarie. Tale orientamento -che peraltro costituisce una inevitabile conseguenza della stessa struttura del processo decisionale comunitario, basato come è noto sul Consiglio[22]- non mortifica tuttavia le istanze partecipative degli enti sub-statali al processo normativo comunitario: è infatti abbastanza comprensibile che in “un sistema definibile come “policentrico” delle autonomie” ed in cui si palesa come indispensabile la definizione di maggiori garanzie di partecipazione per le “articolazioni territoriali dello Stato alle decisioni di formazione degli atti comunitari”[23], venga mantenuta una regia unitaria del processo, anche se solo a fini di coordinamento.

 

In secondo luogo, e come già attualmente previsto dalla legge La Pergola, si prevede che sui progetti e sugli atti comunitari e dell’Unione Europea i competenti organi parlamentari possano formulare osservazioni ed adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo[24]. Il testo unificato introduce, altresì, - come previsto da ciascuno dei progetti di legge unificati – un nuovo, rilavante, istituto nell’ordinamento italiano: la riserva di esame dei progetti di atti comunitari, prevedendo che, qualora il Parlamento abbia avviato l’esame di un progetto di atto comunitario, il Governo non possa procedere alle relative decisioni in sede comunitarie sino a che il Parlamento stesso non ne abbia concluso l’esame.

 

Viene inoltre riconosciuta alle Regioni una posizione per molti versi analoga a quella del Parlamento, sia per quanto riguarda le procedure di informazione, sia per le modalità di intervento, sia per l’applicazione dello strumento della riserva di esame. Al tempo stesso, nelle materie di competenza regionale, e tenuto conto delle novità introdotte dalla riforma della Titolo V della Costituzione, sono previsti meccanismi e modalità di intervento che consentono alle Regioni ed alle Province autonome di svolgere la propria attività sempre nel rispetto del principio dell’unitarietà della responsabilità dello Stato italiano di fronte alle decisioni comunitarie.

 

Quanto, infine, alla Relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, il testo unificato ne integra ampiamente i contenuti richiedendo, in particolare, che in essa siano specificamente indicati anche i pareri, le osservazioni e gli atti di indirizzo delle Camere, nonché le osservazioni della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e dei Consigli regionali, in linea con quanto più volte evidenziato anche nell’ambito della XIV Commissione[25].

 

Per quanto riguarda la fase discendente, la legge comunitaria annuale rimane lo strumento privilegiato di recepimento del diritto di fonte comunitaria - specularmente a quanto prospettato in ciascuna delle proposte di legge sottoposte all’esame della Commissione permanente – in ragione dei risultati che lo strumento ha consentito di perseguire, tradottisi in una sensibile riduzione del gap di recepimento delle direttive comunitarie da parte del nostro Paese. Tenuto però conto del fatto che, nel corso della sua applicazione, sono emersi alcuni aspetti che potrebbero rendere necessari interventi sia di carattere normativo sia regolamentare al fine di rendere tale strumento ancor più rispondente alle sue finalità, nel testo unificato si apportano modifiche sostanziali alla disciplina legislativa della fase discendente (contenuto della legge comunitaria, procedure urgenti per l’adeguamento degli obblighi comunitari, attuazione regolamentare ed amministrativa delle direttive comunitari) e si provvede ad adeguare il contenuto dell’articolo 9 della legge n. 86 del 1989 al nuovo dettato costituzionale[26]. Quanto al primo aspetto, si prevede una razionalizzazione del contenuto della legge comunitaria annuale definendo una sorta di «contenuto proprio», alla stregua di quanto avviene per la legge finanziaria, così da circoscrivere l’intervento normativo di tale legge e fornire un’adeguata base normativa di riferimento per l’ammissibilità degli emendamenti che risulti conforme presso i due rami del Parlamento. Inoltre viene introdotta una procedura di urgenza per l’adeguamento dell’ordinamento ad obblighi comunitari, attivabile al di fuori delle procedure della legge comunitaria annuale nel caso di scadenze che risultino anteriori alla data presunta di entrata in vigore della legge comunitaria annuale[27].

 

Nel testo unificato viene, inoltre, disciplinato l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione. La disposizione prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inerzia delle Regioni nell’attuazione delle direttive: le disposizioni  aventi ad oggetto le materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle Regioni o delle province autonome si applicano, per le Regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la prima normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria e fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna Regione e provincia autonoma. Tale previsione viene in tale modo «istituzionalizzata» ed estesa anche ai casi di attuazione regolamentare da parte dello Stato, richiedendo, in tal caso, che sugli schemi si esprima la Conferenza Stato-Regioni.

 

Nel progetto di legge si prevede altresì la convocazione ogni sei mesi, anche su richiesta delle Regioni e delle province autonome, della sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni nonché, almeno una volta all’anno o anche su richiesta degli enti locali interessati, di una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di rispettivo interesse; e che il Governo informi le Camere e la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano sui risultati emersi durante tale sessione. Quanto infine al ruolo attribuito alle Regioni, per quelle a statuto speciale si rinvia a quanto previsto nei rispettivi statuti speciali e nelle relative norme di attuazione per quanto riguarda la disciplina e le modalità di attuazione della normativa comunitaria. Difficilmente percorribile evidentemente è apparsa la possibilità di introdurre, ricorrendo ad una fonte diversa dall’ordinaria legge dello Stato, specifiche (e differenziate) forme di partecipazione alla formazione degli atti ed agli organi comunitari per le Regioni a statuto speciale e le province autonome. Dagli statuti speciali, infatti, non emerge la previsione di forme particolari di autonomia direttamente collegabili alla «fase ascendente» degli atti normativi comunitari; le attribuzioni costituzionali in materia appaiono pertanto riconducibili, così come per tutte le Regioni, al quinto comma dell’articolo 117 Cost., la cui formulazione testuale («Le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano»), include espressamente gli enti territoriali ad autonomia speciale e in tale comma la definizione delle norme di procedura (e le modalità di esercizio del potere sostitutivo) sono rimesse a una legge dello Stato.

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A.S. 2386 - Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.

 

Art. 1. (Finalità).

1. La presente legge disciplina il processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea e garantisce l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, sulla base dei principi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.

2. Gli obblighi di cui al comma 1 conseguono:

a) all’emanazione di ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;

b) all’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell’ordinamento comunitario;

c) all’emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Art. 2. (Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei)

1. Al fine di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea e di consentire il puntuale adempimento dei compiti di cui alla presente legge, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), che è convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie e al quale partecipano il Ministro degli affari esteri, il Ministro per gli affari regionali e gli altri Ministri aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche inseriti all’ordine del giorno.

2. Alle riunioni del CIACE, quando si trattano questioni che interessano anche le Regioni e le province autonome, possono chiedere di partecipare il presidente della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o un presidente di regione o di provincia autonoma da lui delegato e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i presidenti delle associazioni rappresentative degli enti locali.

3. Il CIACE svolge i propri compiti nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione e dalla legge al Parlamento, al Consiglio dei Ministri e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

4. Per la preparazione delle proprie riunioni, il CIACE si avvale di un comitato tecnico permanente istituito presso il Dipartimento per le politiche comunitarie, coordinato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie o da un suo delegato. Di tale comitato tecnico fanno parte direttori generali o alti funzionari con qualificata specializzazione in materia, designati da ognuna delle amministrazioni del Governo. Quando si trattano questioni che interessano anche le Regioni e le province autonome, il comitato tecnico, integrato dagli assessori regionali competenti per le materie in trattazione o loro delegati, è convocato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie, in accordo con il Ministro per gli affari regionali, presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il funzionamento del CIACE e del comitato tecnico permanente sono disciplinati, rispettivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e con decreto del Ministro per le politiche comunitarie.

5. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 3. (Partecipazione del Parlamento al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione europea)

1. I progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, nonché gli atti preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, sono trasmessi alle Camere dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie, contestualmente alla loro ricezione, per l’assegnazione ai competenti organi parlamentari, con l’indicazione della data presunta per la loro discussione o adozione.

2. Tra i progetti e gli atti di cui al comma 1 sono compresi i documenti di consultazione, quali libri verdi, libri bianchi e comunicazioni, predisposti dalla Commissione delle Comunità europee.

3. La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie assicura alle Camere un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi, curandone il costante aggiornamento.

4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa tempestivamente i competenti organi parlamentari sulle proposte e sulle materie che risultano inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea.

5. Il Governo, prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, riferisce alle Camere, illustrando la posizione che intende assumere e, su loro richiesta, riferisce ai competenti organi parlamentari prima delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea.

6. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie riferisce semestralmente alle Camere illustrando i temi di maggiore interesse decisi o in discussione in ambito comunitario e informa i competenti organi parlamentari sulle risultanze delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea e del Consiglio europeo, entro quindici giorni dallo svolgimento delle stesse.

7. Sui progetti e sugli atti di cui ai commi 1 e 2 i competenti organi parlamentari possono formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. A tale fine possono richiedere al Governo, per il tramite del Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero del Ministro per le politiche comunitarie, una relazione tecnica che dia conto dello stato dei negoziati, delle eventuali osservazioni espresse da soggetti già consultati nonché dell’impatto sull’ordinamento, sull’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull’attività dei cittadini e delle imprese.

Art. 4. (Riserva di esame parlamentare)

1. Qualora le Camere abbiano iniziato l’esame di progetti o di atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3, il Governo può procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti comunitari e dell’Unione europea soltanto a conclusione di tale esame, e comunque decorso il termine di cui al comma 3, apponendo in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea la riserva di esame parlamentare.

2. In casi di particolare importanza politica, economica e sociale di progetti o di atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3, il Governo può apporre, in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, una riserva di esame parlamentare sul testo o su una o più parti di esso. In tale caso, il Governo invia alle Camere il testo sottoposto alla decisione affinché su di esso si esprimano i competenti organi parlamentari.

3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero il Ministro per le politiche comunitarie comunica alle Camere di avere apposto una riserva di esame parlamentare in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea. Decorso il termine di venti giorni dalla predetta comunicazione, il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare alle attività dirette alla formazione dei relativi atti comunitari e dell’Unione europea.

Art. 5. (Partecipazione delle Regioni e delle province autonome alle decisioni relative alla formazione di atti normativi comunitari)

1. I progetti e gli atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3 sono trasmessi dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie, contestualmente alla loro ricezione, alla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, ai fini dell’inoltro alle Giunte e ai Consigli regionali e delle province autonome, indicando la data presunta per la loro discussione o adozione.

2. Con le stesse modalità di cui al comma 1, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie assicura alle Regioni e alle province autonome un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi che rientrano nelle materie di competenza delle Regioni e delle province autonome, curandone il costante aggiornamento.

3. Ai fini della formazione della posizione italiana, le Regioni e le province autonome, nelle materie di loro competenza, entro venti giorni dalla data del ricevimento degli atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3, possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro per le politiche comunitarie, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome.

4. Qualora un progetto di atto normativo comunitario riguardi una materia attribuita alla competenza legislativa delle Regioni o delle province autonome e una o più Regioni o province autonome ne facciano richiesta, il Governo convoca la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del raggiungimento dell’intesa ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro il termine di venti giorni. Decorso tale termine, ovvero nei casi di urgenza motivata sopravvenuta, il Governo può procedere anche in mancanza dell’intesa.

5. Nei casi di cui al comma 4, qualora lo richieda la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo appone una riserva di esame in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea. In tale caso il Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero il Ministro per le politiche comunitarie comunica alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di avere apposto una riserva di esame in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea. Decorso il termine di venti giorni dalla predetta comunicazione, il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia della predetta Conferenza alle attività dirette alla formazione dei relativi atti comunitari.

6. Salvo il caso di cui al comma 4, qualora le osservazioni delle Regioni e delle province autonome non siano pervenute al Governo entro la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o, in mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria, il Governo può comunque procedere alle attività dirette alla formazione dei relativi atti comunitari.

7. Nelle materie di competenza delle Regioni e delle province autonome, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie, nell’esercizio delle competenze di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, convoca ai singoli tavoli di coordinamento nazionali i rappresentanti delle Regioni e delle province autonome, individuati in base a criteri da stabilire in sede di Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini della successiva definizione della posizione italiana da sostenere, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e con i Ministeri competenti per materia, in sede di Unione europea.

8. Dall’attuazione del comma 7 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

9. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa tempestivamente le Regioni e le province autonome, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle proposte e delle materie di competenza delle Regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea.

10. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, riferisce alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in sessione comunitaria, sulle proposte e sulle materie di competenza delle Regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno, illustrando la posizione che il Governo intende assumere. Il Governo riferisce altresì, su richiesta della predetta Conferenza, prima delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, alla Conferenza stessa, in sessione comunitaria, sulle proposte e sulle materie di competenza delle Regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno, illustrando la posizione che il Governo intende assumere.

11. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa le Regioni e le province autonome, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle risultanze delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea e del Consiglio europeo con riferimento alle materie di loro competenza, entro quindici giorni dallo svolgimento delle stesse.

12. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

Art. 6. (Partecipazione degli enti locali alle decisioni relative alla formazione di atti normativi comunitari)

1. Qualora i progetti e gli atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3 riguardino questioni di particolare rilevanza negli ambiti di competenza degli enti locali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie li trasmette alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Tali progetti e atti sono altresì trasmessi, per il tramite della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, alle associazioni rappresentative degli enti locali. Su tutti i progetti e gli atti di loro interesse le associazioni rappresentative degli enti locali, per il tramite della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro per le politiche comunitarie e possono richiedere che gli stessi siano sottoposti all’esame della Conferenza stessa.

2. Nelle materie che investono le competenze degli enti locali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie convoca alle riunioni di cui al comma 7 dell’articolo 5 esperti designati dagli enti locali secondo modalità da stabilire in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

3. Qualora le osservazioni degli enti locali non siano pervenute al Governo entro la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o degli atti o, in mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria, il Governo può comunque procedere alle attività dirette alla formazione dei relativi atti comunitari.

Art. 7. (Partecipazione delle parti sociali e delle categorie produttive alle decisioni relative alla formazione di atti comunitari)

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie trasmette al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) i progetti e gli atti di cui al comma 1 dell’articolo 3 riguardanti materie di particolare interesse economico e sociale. Il CNEL può fare pervenire alle Camere e al Governo le valutazioni e i contributi che ritiene opportuni, ai sensi degli articoli 10 e 12 della legge 30 dicembre 1986, n. 936. A tale fine, il CNEL può istituire, secondo le norme del proprio ordinamento, uno o più comitati per l’esame degli atti comunitari.

2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, al fine di assicurare un più ampio coinvolgimento delle categorie produttive e delle parti sociali, organizza, in collaborazione con il CNEL, apposite sessioni di studio ai cui lavori possono essere invitati anche le associazioni nazionali dei comuni, delle province e delle comunità montane e ogni altro soggetto interessato.

Art. 8. (Legge comunitaria)

1. Lo Stato, le Regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, danno tempestiva attuazione alle direttive comunitarie.

2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa con tempestività le Camere e, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, le Regioni e le province autonome, degli atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell’Unione europea e delle Comunità europee.

3. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie verifica, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, lo stato di conformità dell’ordinamento interno e degli indirizzi di politica del Governo in relazione agli atti di cui al comma 2 e ne trasmette le risultanze tempestivamente, e comunque ogni quattro mesi, anche con riguardo alle misure da intraprendere per assicurare tale conformità, agli organi parlamentari competenti, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, per la formulazione di ogni opportuna osservazione. Nelle materie di loro competenza le Regioni e le province autonome verificano lo stato di conformità dei propri ordinamenti in relazione ai suddetti atti e ne trasmettono le risultanze alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie con riguardo alle misure da intraprendere.

4. All’esito della verifica e tenuto conto delle osservazioni di cui al comma 3, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, entro il 31 gennaio di ogni anno presenta al Parlamento un disegno di legge recante: «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee»; tale titolo è completato dall’indicazione: «Legge comunitaria» seguita dall’anno di riferimento.

5. Nell’ambito della relazione al disegno di legge di cui al comma 4 il Governo:

a) riferisce sullo stato di conformità dell’ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana;

b) fornisce l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa;

c) dà partitamente conto delle ragioni dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è già scaduto e di quelle il cui termine di recepimento scade nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa;

d) fornisce l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’articolo 11, nonché l’indicazione degli estremi degli eventuali regolamenti di attuazione già adottati;

e) fornisce l’elenco degli atti normativi con i quali nelle singole Regioni e province autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle Regioni e dalle province autonome. L’elenco è predisposto dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie in tempo utile e, comunque, non oltre il 25 gennaio di ogni anno.

Art. 9. (Contenuti della legge comunitaria)

1. Il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento comunitario è assicurato dalla legge comunitaria annuale, che reca:

a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi indicati all’articolo 1;

b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure di infrazione avviate dalla Commissione delle Comunità europee nei confronti della Repubblica italiana;

c) disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l’applicazione degli atti del Consiglio o della Commissione delle Comunità europee di cui alle lettere a) e c) del comma 2 dell’articolo 1, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa;

d) disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 11;

e) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;

f) disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le Regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti comunitari nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione;

g) disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle Regioni e dalle province autonome;

h) disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3. 2. Gli oneri relativi a prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici, ai fini dell’attuazione delle disposizioni comunitarie di cui alla legge comunitaria per l’anno di riferimento, sono posti a carico dei soggetti interessati, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria. Le tariffe di cui al precedente periodo sono predeterminate e pubbliche.

Art. 10. (Misure urgenti per l’adeguamento agli obblighi derivanti dall’ordinamento  comunitario)

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie può proporre al Consiglio dei Ministri l’adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari a fronte di atti normativi e di sentenze degli organi giurisdizionali delle Comunità europee e dell’Unione europea che comportano obblighi statali di adeguamento solo qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso.

2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti di cui al comma 1.

3. Nei casi di cui al comma 1, qualora gli obblighi di adeguamento ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario riguardino materie di competenza legislativa o amministrativa delle Regioni e delle province autonome, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa gli enti interessati assegnando un termine per provvedere e, ove necessario, chiede che la questione venga sottoposta all’esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere. In caso di mancato tempestivo adeguamento da parte dei suddetti enti, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie propone al Consiglio dei Ministri le opportune iniziative ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 3, della presente legge e dalle altre disposizioni legislative in materia.

4. I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, sono adottati nel rispetto dei principi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge per l’anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati.

5. La disposizione di cui al comma 4 si applica, altresì, all’emanazione di testi unici per il riordino e l’armonizzazione di normative di settore nel rispetto delle competenze delle Regioni e delle province autonome.

Art. 11. (Attuazione in via regolamentare e amministrativa)

1. Nelle materie di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, già disciplinate con legge, ma non coperte da riserva assoluta di legge, le direttive possono essere attuate mediante regolamento se così dispone la legge comunitaria. Il Governo presenta alle Camere, in allegato al disegno di legge comunitaria, un elenco delle direttive per l’attuazione delle quali chiede l’autorizzazione di cui all’articolo 9, comma 1, lettera d).

2. I regolamenti di cui al comma 1 sono adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con gli altri Ministri interessati. Sugli schemi di regolamento è acquisito il parere del Consiglio di Stato, che deve esprimersi entro quarantacinque giorni dalla richiesta. Sugli schemi di regolamento è altresì acquisito, se così dispone la legge comunitaria, il parere dei competenti organi parlamentari, ai quali gli schemi di regolamento sono trasmessi con apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato e che si esprimono entro quaranta giorni dall’assegnazione. Decorsi i predetti termini, i regolamenti sono emanati anche in mancanza di detti pareri.

3. I regolamenti di cui al comma 1 si conformano alle seguenti norme generali, nel rispetto dei principi e delle disposizioni contenuti nelle direttive da attuare:

a) individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà;

b) esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;

c) esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di settore;

d) fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n.  59, e successive modificazioni.

4. I regolamenti di cui al comma 1 tengono conto anche delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.

5. Nelle materie di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, non disciplinate dalla legge o da regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e non coperte da riserva di legge, le direttive possono essere attuate con regolamento ministeriale o interministeriale, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.  400, o con atto amministrativo generale da parte del Ministro con competenza prevalente per la materia, di concerto con gli altri Ministri interessati. Con le medesime modalità sono attuate le successive modifiche e integrazioni delle direttive.

6. In ogni caso, qualora le direttive consentano scelte in ordine alle modalità della loro attuazione, la legge comunitaria o altra legge dello Stato detta i principi e criteri direttivi. Con legge sono dettate, inoltre, le disposizioni necessarie per introdurre sanzioni penali o amministrative o individuare le autorità pubbliche cui affidare le funzioni amministrative inerenti all’applicazione della nuova disciplina.

7. La legge comunitaria provvede in ogni caso, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera c), ove l’attuazione delle direttive comporti:

a) l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;

b) la previsione di nuove spese o minori entrate.

8. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, gli atti normativi di cui al presente articolo possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione a norme comunitarie. In tale caso, gli atti normativi statali adottati si applicano, per le Regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria, perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma e recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. I predetti atti normativi sono sottoposti al preventivo esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Art. 12. (Attuazione delle modifiche alle direttive comunitarie recepite in via regolamentare)

1. Fermo quanto previsto dall’articolo 13, la legge comunitaria può disporre che, all’attuazione di ciascuna modifica delle direttive da attuare mediante regolamento ai sensi dell’articolo 11, si provveda con la procedura di cui al comma 2 del medesimo articolo 11.

Art. 13. (Adeguamenti tecnici)

1. Alle norme comunitarie non autonomamente applicabili, che modificano modalità esecutive e caratteristiche di ordine tecnico di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale, è data attuazione, nelle materie di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, con decreto del Ministro competente per materia, che ne dà tempestiva comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie.

2. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, i provvedimenti di cui al presente articolo possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione a norme comunitarie. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano, per le Regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I provvedimenti recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.

Art. 14. (Decisioni delle Comunità europee)

1. A seguito della notificazione di decisioni adottate dal Consiglio o dalla Commissione delle Comunità europee, destinate alla Repubblica italiana, che rivestono particolare importanza per gli interessi nazionali o comportano rilevanti oneri di esecuzione, il Ministro per le politiche comunitarie, consultati il Ministro degli affari esteri e i Ministri interessati e d’intesa con essi, ne riferisce al Consiglio dei Ministri.

2. Il Consiglio dei Ministri, se non delibera l’eventuale impugnazione della decisione, emana le direttive opportune per l’esecuzione della decisione a cura delle autorità competenti.

3. Se l’esecuzione della decisione investe le competenze di una regione o di una provincia autonoma, il presidente della regione o della provincia autonoma interessata interviene alla unione del Consiglio dei Ministri, con voto consultivo, salvo quanto previsto dagli statuti speciali.

4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie trasmette il testo delle decisioni adottate dal Consiglio o dalla Commissione delle Comunità europee alle Camere per la formulazione di eventuali osservazioni e atti di indirizzo ai fini della loro esecuzione. Nelle materie di competenza delle Regioni e delle province autonome le stesse decisioni sono trasmesse altresì agli enti interessati per il tramite della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, per la formulazione di eventuali osservazioni.

Art. 15. (Relazione annuale al Parlamento)

1. Entro il 31 gennaio di ogni anno il Governo presenta al Parlamento una relazione sui seguenti temi:

a) gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riferimento alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, alle questioni istituzionali, alle relazioni esterne dell’Unione europea, alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell’Unione;

b) la partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario con l’esposizione dei principi e delle linee caratterizzanti della politica italiana nei lavori preparatori in vista dell’emanazione degli atti normativi comunitari e, in particolare, degli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale;

c) l’attuazione in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l’andamento dei flussi finanziari verso l’Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità europee per ciò che concerne l’Italia;

d) i pareri, le osservazioni e gli atti di indirizzo delle Camere, nonché le osservazioni della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, con l’indicazione delle iniziative assunte e dei provvedimenti conseguentemente adottati;

e) l’elenco e i motivi delle impugnazioni di cui all’articolo 14, comma 2. 2. Nella relazione di cui al comma 1 sono chiaramente distinti i resoconti delle attività svolte e gli orientamenti che il Governo intende assumere per l’anno in corso.

Art. 16. (Attuazione delle direttive comunitarie da parte delle Regioni e delle province autonome)

1. Le Regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza, possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie. Nelle materie di competenza concorrente la legge comunitaria indica i principi fondamentali non derogabili dalla legge regionale o provinciale sopravvenuta e prevalenti sulle contrarie disposizioni eventualmente già emanate dalle Regioni e dalle province autonome.

2. I provvedimenti adottati dalle Regioni e dalle province autonome per dare attuazione alle direttive comunitarie, nelle materie di propria competenza legislativa, devono recare nel titolo il numero identificativo della direttiva attuata e devono essere immediatamente trasmessi in copia conforme alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie.

3. Ai fini di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari, nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle province autonome, si applicano, per le Regioni e le province autonome, alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8, secondo periodo.

4. Nelle materie di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, cui hanno riguardo le direttive, il Governo indica i criteri e formula le direttive ai quali si devono attenere le Regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali. Detta funzione, fuori dai casi in cui sia esercitata con legge o con atto avente forza di legge o, sulla base della legge comunitaria, con i regolamenti previsti dall’articolo 11, è esercitata mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, d’intesa con i Ministri competenti secondo le modalità di cui all’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

Art. 17. (Sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni)

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri convoca almeno ogni sei mesi, o anche su richiesta delle Regioni e delle province autonome, una sessione speciale della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale. Il Governo informa tempestivamente le Camere sui risultati emersi da tale sessione.

2. La Conferenza, in particolare, esprime parere:

a) sugli indirizzi generali relativi all’elaborazione e all’attuazione degli atti comunitari che riguardano le competenze regionali;

b) sui criteri e le modalità per conformare l’esercizio delle funzioni regionali all’osservanza e all’adempimento degli obblighi di cui all’articolo 1, comma 1;

c) sullo schema del disegno di legge di cui all’articolo 8 sulla base di quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni. 3. Il Ministro per le politiche comunitarie riferisce al Comitato interministeriale per la programmazione economica per gli aspetti di competenza di cui all’articolo 2 della legge 16 aprile 1987, n. 183.

Art. 18. (Sessione comunitaria della Conferenza Stato-città ed autonomie locali)

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie convoca almeno una volta l’anno, o anche su richiesta delle associazioni rappresentative degli enti locali ovvero degli enti locali interessati, una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali. Il Governo informa tempestivamente le Camere e la Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano sui risultati emersi durante tale sessione. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in particolare, esprime parere sui criteri e le modalità per conformare l’esercizio delle funzioni di interesse degli enti locali all’osservanza e all’adempimento degli obblighi di cui all’articolo 1, comma 1.

Art. 19. (Utilizzo di strumenti informatici)

1. Per l’adempimento degli obblighi di trasmissione e di informazione di cui alla presente legge, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie può avvalersi di strumenti informatici.

Art. 20. (Regioni a statuto speciale e province autonome)

1. Per le Regioni a statuto speciale e le province autonome resta fermo quanto previsto nei rispettivi statuti speciali e nelle relative norme di attuazione.

Art. 21. (Modifica, deroga, sospensione o abrogazione della legge)

1. Ai fini dell’attuazione dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, le disposizioni della presente legge possono essere modificate, derogate, sospese o abrogate da successive leggi solo attraverso l’esplicita indicazione delle disposizioni da modificare, derogare, sospendere o abrogare.


Art. 22. (Abrogazioni)

1. Gli articoli 11 e 20 della legge 16 aprile 1987, n. 183, sono abrogati. 2. La legge 9 marzo 1989, n. 86, e successive modificazioni, è abrogata.



LA DEFINIZIONE DI NUOVI STRUMENTI E METODI PER MIGLIORARE IL RAPPORTO TRA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E CITTADINI

 

 

    di Federico Basilica,

capo del Dipartimento della funzione pubblica

 

 

Le istituzioni pubbliche sono ormai pienamente coinvolte in un processo di revisione delle forme tradizionali di amministrazione degli interessi e di intervento nell’economia. Vengono tracciati marcatamente i contorni delle attività private, che sono influenzate positivamente dagli atti normativi riguardanti la politica economica e, al tempo stesso, si attenuano le azioni di intervento diretto.

 

La Pubblica amministrazione, in buona sostanza, è oggi al centro di innovazioni che hanno condotto all’evoluzione del quadro normativo e ad un processo di profonda riorganizzazione degli enti pubblici.

 

Tutto ciò comporta, ovviamente, una ricollocazione dell’interesse pubblico nel quadro procedimentale, un diverso significato della discrezionalità amministrativa e, in particolare, l’esigenza della ricerca di un consenso specifico nell’esercizio delle pubbliche funzioni. Lo stato contemporaneo considera la sovranità popolare attraverso una diversa percezione dell’interesse del cittadino, visto, ad esempio, anche come utente e consumatore, mentre hanno sempre maggior rilievo le formazioni intermedie, specialmente quelle imprenditoriali ed associative in genere.

 

La risposta dell’ordinamento alle predette tendenze evolutive si è manifestata sulla scia della riforma avviata negli anni ’90, cercando di introdurre nella gestione delle amministrazioni pubbliche maggiori competenze manageriali, divenute indispensabili in presenza di una sempre crescente complessità organizzativa e di continue esigenze di rinnovamento; ponendo, altresì, in primo piano il ruolo della comunicazione pubblica, volta a superare il tradizionale orientamento solo formalistico-legalitario; estendendo, infine, la partecipazione nell’ambito del potere regolamentare del Governo (si veda, al riguardo, la legge 8 marzo 1999, n. 50 “Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998).

 

Oggi, la Presidenza di turno dell’UE è l’occasione di porre al centro del dibattito i temi e le priorità delle riforma amministrativa, in atto nel nostro Paese, e la valorizzazione, mediante iniziative specifiche, delle organizzazioni e delle istituzioni pubbliche più performanti e di prestigio.

 

Il semestre italiano coincide con il primo, consistente, passo verso il processo di allargamento della UE deciso a Copenaghen; sono stati invitati, e hanno già preso parte, infatti, alle diverse riunioni anche i paesi di prossima adesione ed i paesi candidati; da qui la decisione del Governo di ispirare il semestre innanzi tutto agli effetti dell’allargamento e della riforma delle istituzioni UE sulle amministrazioni nazionali; è stata posta, poi, grande attenzione alla necessità di assicurare la più ampia attuazione delle politiche di una Unione più estesa, ma anche più complessa, nonché sulla necessità di soddisfare le esigenze di riforma-revisione dei raccordi tra amministrazione europea e amministrazioni nazionali; una speciale attenzione è stata data alle necessità dei paesi di prossima adesione.

 

In particolare, il processo di allargamento va accompagnato e sostenuto facendo leva su alcuni punti-chiave: la formazione dei dipendenti pubblici che saranno chiamati a gestire gli stati nazionali e le istituzioni europee; il miglioramento della regolazione, intesa quale fattore di spinta, anziché di freno, alle dinamiche economiche; il miglioramento della qualità dei servizi resi a cittadini ed imprese.

 

In tale contesto, l’Italia ha promosso alcune specifiche iniziative, alcune già realizzate con successo, cui sono stati invitati anche i paesi di prossima adesione e quelli candidati:

 

ü nel settore della formazione, è stato promosso un programma di seminari su temi di interesse comune da tenersi, a turno, a cura dei Paesi membri; a tal proposito vale menzionare il primo di questi seminari, dedicato agli strumenti giuridici del governo elettronico. E’ fondamentale, infatti, posta la notevole varietà dei sistemi legali coinvolti, cercare di offrire uno sguardo d’insieme degli stessi, al fine di identificare un approccio comune volto a standardizzare le regole alla base dell’utilizzo di uno strumento di sempre maggiore importanza quale il governo elettronico;

ü nel campo del miglioramento della qualità dei servizi pubblici, l’Italia ha sostenuto le attività di confronto internazionale e scambio di buone pratiche;

ü nel campo della migliore regolazione, poi, la Presidenza italiana ha rilanciato l’azione dei direttori ed esperti della migliore regolazione, con particolare attenzione alla realizzazione del Piano d’azione Mandelkern, sia a livello degli stati membri che delle istituzioni UE, organizzando una riunione di questo Gruppo a Roma, il 23 e 24 ottobre 2003; in questa sede si è steso un Rapporto sulle attività svolte e su quelle future, che darà continuità all’azione europea in questo campo per i prossimi due anni. Al riguardo, il tema prioritario della qualità della regolazione, e in particolare quello dell’analisi di impatto della regolazione, è stato al centro di una Conferenza tenutasi a Napoli l’8 e 9 ottobre 2003, con la partecipazione di esperti italiani, di altri paesi e di organizzazioni internazionali. Inoltre, la Presidenza italiana sta favorendo l’attivazione del Gruppo ad hoc costituito dal Consiglio dei Ministri UE, dopo avere ottenuto, con successo, il completamento delle procedure interne nell’ambito di Consiglio, Commissione Europea e Parlamento, in vista della firma, entro fine anno, dell’accordo inter-istituzionale per un miglioramento e semplificazione della regolazione comunitaria futura.

 

Proprio su quest’ultimo aspetto, sulla migliore regolazione, credo che sia utile soffermarsi: le esperienze di riforma dei sistemi di regolamentazione si sono sviluppate in numerosi stati, seguendo essenzialmente tre filoni:

a) la semplificazione,

b) la codificazione,

c) l’analisi di impatto della regolazione.

 

Quanto al primo filone il concetto di “semplificazione” ha una molteplicità di significati.

 

Vi è innanzitutto una “semplificazione amministrativa”, che si traduce nella riduzione degli adempimenti richiesti ai privati nell’ambito di determinati procedimenti amministrativi.

 

In un secondo significato la semplificazione coincide con la “deregolamentazione”, che mira alla riduzione dell’area coperta dalla regolamentazione pubblica.

 

Viene poi in rilievo la “delegificazione”, il cui obiettivo è la riduzione dell’area coperta dalla legge a favore di altre fonti del diritto più flessibili rispetto alla legge.

 

Infine c’è la “semplificazione legislativa”, che ha per scopo la sostituzione di un quadro normativo complesso, incerto ed oscuro con un quadro normativo chiaro, semplice e facilmente conoscibile dai suoi destinatari.

 

Un’analisi a se stante merita, poi, il processo di “codificazione”. L’obiettivo è quello di rendere più leggibile la regolazione attuale e non quello di modificarla. E’ un’esperienza diffusa in Francia (dove sono stati adottati una cinquantina di codici), nonché negli Stati Uniti, addirittura a partire dal 1926 (quando fu adottato il Code of Laws).

 

Alla base di tutte le politiche di semplificazione vi è l’esigenza di ridurre i costi sopportati dalle imprese e dai cittadini a causa della complessità del sistema.

 

Di fronte a tale esigenza, il nostro legislatore ha in tempi recenti cominciato a fare sempre più ricorso alla delegificazione. E sul versante amministrativo sono stati individuati specifici procedimenti da semplificare, fino ad arrivare alla previsione di una “legge annuale di semplificazione amministrativa”.

 

Non tutto è comunque risolto. La delegificazione comporta lo spostamento da una fonte all’altra – e cioè dalla legge al regolamento – ma di per sé ciò non è garanzia di minori adempimenti né di regole più chiare.

 

Inoltre, la tematica della semplificazione ha cambiato aspetto per effetto della legge costituzionale n. 3 del 2001. I problemi che ne derivano sono molteplici.

 

In primo luogo, vi sono quelli di coordinamento tra i nuovi tipi di atti normativi previsti dalla riforma costituzionale. Ora che lo Stato ha perduto la competenza legislativa generale e si è instaurato un “regionalismo legislativo” occorre avere sufficiente chiarezza sui soggetti e sul tipo di atto normativo competente a regolare ciascun ambito materiale. Sarebbe grave confondere le regole da applicare. L’esperienza trascorsa del regionalismo italiano insegna che è difficile delimitare in astratto la competenza normativa di ciascun soggetto.

 

In secondo luogo, vi è l’esigenza di assicurare che le amministrazioni regionali e locali possano operare secondo principi di efficienza ed economicità. E’ soprattutto necessario non appesantire gli oneri procedurali. Nel nuovo assetto costituzionale, la competenza su organizzazione e attività amministrative è passata alle regioni e non vi sono più competenze statali al riguardo. Bisognerebbe comunque fare sì che i principi innovativi introdotti negli ultimi anni dalla legislazione statale (la separazione tra politica e amministrazione, la generalizzazione dei controlli di gestione, il passaggio da un’amministrazione per atti ad un’amministrazione per risultati, ecc.) non vengano abbandonati dalla nuova legislazione regionale.

 

In terzo luogo, c’è il pericolo che si crei una frammentazione del mercato in tanti mercati regionali, con regole diverse che si traducono in barriere alla libertà di movimento dei fattori produttivi. Tipici esempi sono quelli dei lavori pubblici e dei servizi pubblici locali, materie su cui le regioni rivendicano competenza legislativa esclusiva. Ora, poiché il mercato è una costruzione giuridica, la presenza di regole diverse a seconda delle regioni si tradurrebbe nella sostanziale creazione di mercati regionali, con nocumento alla libera circolazione delle imprese e disincentivo alla crescita delle dimensioni delle singole aziende e della loro competitività.

 

Quanto, invece, al terzo filone prospettato, l’analisi di impatto della regolamentazione, le linee di intervento su cui è utile concentrare l’attenzione sono molteplici.

 

Va in primo luogo ridotto il peso della regolamentazione amministrativa cambiando il modo di regolamentare.

 

Occorre sostituire le attuali regole dettagliate e vincolanti con regole di fonte contrattuale. Le norme eteronome dovrebbero intervenire – in ossequio al principio di sussidiarietà – solamente in assenza di regolamentazioni contrattuali. In altri casi le attuali regole rigide andrebbero sostituite con “norme”, che mirano solo ad orientare l’attività dei soggetti destinatari, senza costringerli ad uno specifico comportamento ma vincolandoli al conseguimento di un determinato obiettivo. C’è poi tutto il vastissimo campo dei rapporti tra le imprese e le amministrazioni preposte alla tutela di interessi ambientali e/o storici, artistici ecc., che sostanzialmente non è stato mai toccato dai processi di semplificazione. In questi campi si deve intervenire per favorire la chiarezza normativa sia mediante la scrittura di “testi unici” sia assicurando che le nuove leggi siano scritte in armonia con i criteri di “buona tecnica legislativa”. Questi criteri sono stati codificati in alcune circolari dei Presidenti delle Camere e sono stati affidati soprattutto alla vigilanza da parte del Comitato per la legislazione.

 

Una seconda linea d’intervento investe la riformulazione del processo di produzione di nuova regolamentazione.

 

Vanno cioè accolti i suggerimenti espressi nel “Libro bianco” su European Governance, predisposto dalla Commissione europea nel luglio del 2001. In particolare è necessario procedere ad un’accurata valutazione “ex ante” della necessità di nuova regolamentazione.

 

Coerentemente con tale esigenza le amministrazioni pubbliche dovranno dotarsi di uffici in grado di valutare e comparare diverse alternative di politiche pubbliche, analizzarne gli effetti, proporre modifiche della regolamentazione in atto.

 

Occorrerà, poi, procedere alla scelta del livello più adeguato per l’intervento legislativo (comunitario, nazionale, regionale), nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità; e procedere all’individuazione dello strumento regolamentare più appropriato, stabilendo quale sia la fonte del diritto da utilizzare in rapporto al tipo di intervento.

 

E’ necessario, inoltre, assicurare un’analisi “ex-post” della regolamentazione. Conoscerne e valutarne gli effetti concreti, la capacità di raggiungere gli obiettivi, le conseguenze sul terreno della competitività.

 

Infine, è necessario assicurare che i nuovi statuti regionali, in corso di elaborazione, diano massimo risalto e garanzia alla semplificazione. Si è aperta una importante fase istituzionale di riscrittura degli statuti regionali. Questi fisseranno le nuove regole in materia di organizzazione amministrativa regionale e codificheranno i principi informatori dell’attività della regione. E’ questa la sede opportuna per assicurare le garanzie contro il rischio che il federalismo porti un sovraccarico di regolamentazione ed una frammentazione dei mercati.

 

Su queste linee si sta muovendo l’attività di supporto e di sostegno all’innovazione amministrativa.

 

In particolare, il Formez ha già svolto diverse azioni volte a incidere sulla qualità delle norme e dei procedimenti amministrativi. Si fa riferimento all’attivazione e alla promozione degli sportelli unici per le attività produttive che hanno costituito un significativo esempio di semplificazione dei procedimenti, nonché ad un’esperienza di redazione di testi unici settoriali relativa all’ordinamento regionale della Sardegna.

 

Una capillare attività di formazione e di sviluppo per le amministrazioni regionali sull’analisi di impatto della regolamentazione rappresenta l’ultimo anello della catena.

 

L’Analisi di impatto della regolamentazione, in sostanza, rappresenta una sorta di trasformazione in senso dialettico del potere statale unitario e si pone come “forma tecnica” della nuova governance pubblica.



RUOLO DELLA “GOVERNANCE” E POLITICHE DI INCLUSIONE*

 

 

   di Giuseppe Cogliandro,

consigliere della Corte dei conti

 

 

 

Che cosa significa Governance condivisa ("Shared Governance"), oggetto della Conferenza internazionale dell’IIAS? si è chiesto il prof. Ferrari. Il termine governance proviene dal francese "gouvernance" che nel tredicesimo secolo era l'equivalente di governo. Nell'accezione moderna, la parola è di conio recente, risalendo la sua origine ad alcune ricerche delle Nazioni Unite della fine degli anni '80.

 

L'italiano conosce due versioni di governance: "governanza"[28] e "buon governo"[29]. La prima, benché "autorizzata", è francamente brutta e comunque non è entrata in circolazione; l'altra non è convincente, perché inserisce nel significante un elemento assiologico che esula, come si vedrà meglio dopo, dal significato, ossia dal concetto di governance. Insomma, buon governo non equivale a governance, ma, semmai, a "good governance". Per questi motivi userò nel corso del mio intervento il termine inglese.

 

Sulla nozione di governance esiste una letteratura molto ampia che ravvisa l'elemento pregnante del termine, di volta in volta, in un "processo attraverso il quale noi risolviamo collettivamente i nostri problemi e rispondiamo ai bisogni della collettività" (Osborne e Gaebler); nella "struttura che emerge in un sistema socio - politico come risultante dell'interazione degli sforzi di intervento di tutti gli attori coinvolti" (Kooiman); "nell'atto o nella maniera di governare, d'esercitare il controllo o l'autorità sulle azioni dei soggetti, un sistema di regolamentazioni" (Oxford Dictionary); in "tecniche o strumenti utilizzati per ottenere informazioni sulle mire e preferenze dei cittadini, nonché delle istituzioni, organizzazioni e programmi utilizzati per realizzare queste mire e preferenze" (Purchase e Hirshhorn) [30]; in "tecniche e raccordi di carattere legislativo, regolamentare, normativo, amministrativo di prassi e comportamenti necessari per consentire il funzionamento complessivo del sistema"[31].

 

Secondo la Commissione europea[32], il concetto di governance designa le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza.

 

Dalla sintetica rassegna di definizioni riportate si evince che ciò che caratterizza il concetto di governance è l'interazione tra settore pubblico, settore privato e società civile, interazione assunta come fulcro del sistema di governo delle società complesse, come metodo per la risoluzione dei problemi collettivi. Al fondo della nozione di governance c'è quindi l'idea della poliarchia[33], della rete[34].

 

Governance è diventato subito un termine alla moda e, come ogni moda, ha provocato non solo fenomeni di proliferazione (mi riferisco alla dizione "Corporate governance"[35], molto usata nel settore privato), ma anche usi impropri (è il caso delle espressioni "Self Governance" o "New Governance", utilizzate senza motivo per enfatizzare il coinvolgimento dei cittadini) e abusi (come quando si parla di "Governance senza Governo", espressione priva di consistenza concettuale)[36].

 

Posso ora tentare di dare risposta al quesito posto in apertura, circa il significato di "Governance condivisa". L'espressione ha senso se riferita all'ipotesi generale, prospettata dal Prof. Manganaro, di un'azione di governo condivisa da tutti i paesi per migliorare l'efficacia di determinate politiche, oppure a quella più specifica, formulata dal prof. Ferrari, concernente la messa a punto di forme di collaborazione fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo per attuare politiche globali di tutela dell'ambiente.

 

Non ne ha, invece, se la condivisione venga intesa[37] come collaborazione tra attori pubblici (ministri e funzionari) e attori non pubblici (cittadini e, in genere, società civile), dato che è proprio tale interazione che dà corpo al concetto di governance.

 

L'obiettivo specifico che la Conferenza internazionale dell’IIAS assegna alla governance è quello della lotta alla povertà e alle esclusioni. Come ha rilevato il prof. Chiti, la lotta alla povertà può essere oggi affrontata in termini diversi rispetto al passato. Primo, perché esiste una pluralità di livelli decisionali (internazionale, sovranazionale, nazionale e infra-nazionale) e non più solo lo stato; secondo, perché ci sono numerosi riferimenti costituzionali (costituzioni nazionali, trattati dell'Unione europea, trattati internazionali); terzo, perché si dispone di una più ricca panoplia di strumenti.

 

Del concetto di povertà si è occupato diffusamente il prof. Fracchia che ne ha messo in evidenza il carattere multidimensionale, analizzando il tema da una pluralità di punti di vista: giustizia, eguaglianza, economia, libertà, cittadinanza, sussidiarietà.

Ad avviso del prof. Vilella, in un'analisi sulla povertà è pregiudiziale l'esigenza di definire il concetto. Condivido l'osservazione. Il problema definitorio è qui importante per due motivi. Anzitutto, l'idea che della povertà si ha nei paesi sviluppati è comprensibilmente molto diversa da quella dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, esistono diverse nozioni di povertà[38]: assoluta, intesa come condizione economica di incapacità all'acquisto di determinati beni e servizi; relativa, definita con riguardo alla spesa media mensile pro-capite per consumi delle famiglie; soggettiva, incentrata sugli obiettivi individuali (valori, preferenze e convinzioni  personali)[39].

 

In ogni caso, come risulta dalla proposta di un regolamento comunitario in materia (Statistics on Income and Living Condition), in corso di approvazione, il concetto di povertà non può essere definito solo con riferimento alla capacità di disporre di beni e servizi ritenuti essenziali, ma deve allargarsi al concetto più ampio di esclusione/inclusione sociale[40].

 

Ne consegue che "povertà" ed "esclusione" non hanno ambiti semantici distinti, ma parzialmente comuni. Nel senso che l'esclusione è un iperonimo, ossia un vocabolo il cui significato include altri vocaboli, detti iponimi, tra i quali la povertà. Se ciò è vero, allora il titolo della Conferenza internazionale non sembra corretto. La formulazione rigorosa doveva essere, a mio parere, "lotta alla povertà ed alle altre esclusioni".

 

Un terzo punto critico dell'impostazione della Conferenza internazionale riguarda la struttura espositiva, vale a dire l'ordine dei sotto-temi. Il criterio previsto dal programma della Conferenza internazionale (Stato, società civile, organizzazioni internazionali e sovranazionali, collettività sub-nazionali), e qui riproposto, non sembra convincente.

 

Scopo della Conferenza, che, giova ricordare, si svolgerà in Africa, è di analizzare gli strumenti di lotta alla povertà ed alle altre esclusioni. Si tratta quindi di una riflessione sulle politiche pubbliche. Analisi di questo tipo vanno condotte secondo il criterio top down, dall'alto verso il basso. A sostegno di questa tesi, adduco due argomenti: se si illustra la posizione italiana prima di quella comunitaria, in conformità allo schema della Conferenza, si induce a ritenere che l'Italia abbia influenzato l'Unione europea, atteso che dette posizioni sono simili. In realtà, è l'Italia che si è adeguata naturalmente alle politiche stabilite in sede europea; il paper di Giancarlo Vilella[41] afferma che la cooperazione dell'Unione europea con le organizzazioni internazionali è un pilastro della sua azione in questo settore.

 

Conseguentemente, l'ordine appropriato dei livelli di governo per l'analisi delle politiche è, a mio modo di vedere, il seguente: organizzazioni internazionali, Unione europea, stato nazionale, autonomie territoriali, società civile. Analizzerò quindi il tema secondo questo criterio sequenziale.

 

 

Organizzazioni internazionali. L'aspetto più delicato della governance a livello internazionale è il carattere democratico del processo decisionale. Al riguardo, la Prof. Campiglio ha rilevato che non c'è sviluppo senza democrazia e rispetto dei diritti umani e ha espresso l'auspicio che, a questi fini, sia assoggettata a controllo anche l'attività delle organizzazioni non governative (ONG).

 

Le preoccupazioni prospettate non sono certamente infondate. Afferma Dahrendorf[42] che "decisioni di vitale importanza non sono più assunte a Montecitorio, o a Westminster, e neanche in Capitol Hill, ma altrove. Per i paesi che hanno adottato l'euro, i tassi di interesse sono stabiliti a Francoforte. Se due grandi industrie vogliono fondersi, devono chiedere il permesso a Bruxelles. … Se la Russia possa avere nuovi prestiti, è affare del Fondo monetario… Ma le cose diventano perfino più complicate quando le decisioni vengono prese da corporations internazionali"[43].

 

E' noto d'altra parte che nelle organizzazioni internazionali i meccanismi della democrazia non possono funzionare come nello stato - nazione. E ciò, sia perché manca un corpo elettorale specifico, sia perché in un territorio di grande estensione è impossibile realizzare l'ideale partecipativo del processo democratico[44].

 

Quanto al ruolo delle ONG, l'esigenza del controllo, tema che sarà oggetto di ulteriori notazioni, non è in sé incompatibile con l'affermazione del Prof. Sanviti, secondo il quale tali organizzazioni sono portatrici di valori etici e politici, in quanto anche la società civile internazionale tutela i cittadini nei confronti  dei rispettivi stati, con particolare riguardo a quelli in via di sviluppo. In principio, questo giudizio è condivisibile. Non mancano però, come si vedrà, aspetti problematici.

 

Secondo Vilella, il ruolo delle ONG si pone in termini diversi nell'Unione europea e nei paesi in via di sviluppo. Nella prima hanno scarso peso perché in essa sono rappresentate le autonomie territoriali e sociali. Nei secondi, le ONG esercitano una forte influenza, ma non appartengono a questi paesi.

 

 

Unione europea. In ordine alla lotta alla povertà e l'esclusione sociale, il Consiglio dell'Unione europea ha adottato nell'ottobre 2000 una serie di "obiettivi appropriati", approvati dal Consiglio europeo di Nizza del dicembre dello stesso anno. Questi obiettivi si sono dimostrati "equilibrati, efficaci e validi". Esistono tuttavia tre settori per i quali, a giudizio del Consiglio, sono necessarie modifiche[45].

 

 

Italia. In attuazione degli indirizzi comunitari[46], il governo italiano[47] ha redatto nel giugno 2001 il Piano nazionale per l'inclusione per il 2001, incentrato sulle seguenti grandi linee strategiche:

- promuovere la partecipazione all'occupazione;

- promuovere la partecipazione di tutti alle risorse, ai diritti, ai beni e ai servizi;

- prevenire i rischi di esclusione;

- intervenire a favore delle persone più vulnerabili;

- mobilitare l'insieme degli attori.

 

In tema vengono in rilievo il criterio dei livelli essenziali di assistenza, previsto dal decreto legislativo n. 229 del 1999[48] richiamato dal Prof. Ferrara, che si è anche soffermato sulla rimozione del vincolo di destinazione della quota capitaria di finanziamento.

 

In prospettiva assumerà grande rilevanza l'obbligo di garanzia su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la cui determinazione rientra - ai sensi dell'articolo 117, quarto comma , lettera p), della Costituzione - nella competenza esclusiva dello Stato. Del tema si sono occupati Mario Chiti e la Dott.ssa Molaschi. Il primo ha ricordato che, per garantire questa tutela, il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni (articolo 120, secondo comma, della Costituzione). La seconda configura la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni come un "livello di adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà che l'ordinamento richiede a tutti i soggetti che ne fanno parte" e, sotto altro profilo, come "misura" della sussidiarietà orizzontale (articolo 118, quarto comma, della Costituzione).

 

 

Autonomie territoriali. In ordine al livello sub-statale di governance, il Prof. Manganaro si è soffermato sul coinvolgimento internazionale dei governi locali nella lotta alla povertà, sostenendo che la partecipazione degli enti locali alle politiche internazionali per l'inclusione sociale, attraverso l'associazione con le collettività locali dei paesi in via di sviluppo, non è esclusa dalla legislazione italiana ed è auspicabile per il successo di queste politiche.

 

La tesi è stata condivisa dal Prof. Romano sulla base di due argomentazioni. La prima è che gli enti locali hanno il compito di curare gli interessi delle proprie comunità in tutte le sedi; la seconda è che il territorio  è un elemento identitario, non limitativo, sicché non esiste alcun ostacolo giuridico alla decisione di un ente locale, che ospiti una comunità di cittadini stranieri, di chiudere una scuola situata nel proprio territorio per aprirne un'altra nel paese dal quale provengono i cittadini stranieri.

 

Anche il Prof. Rugge ha espresso consenso sulla tesi di Manganaro, parlando di  collegamento internazionale degli enti locali. Il riferimento al collegamento, e quindi a rapporti di natura orizzontale, esclude la configurabilità dell’approccio botton up nell'analisi delle politiche per l'inclusione sociale. Voglio dire, in termini più distesi, che un ente locale può operare in partenariato con altri enti locali, nella logica della rete, ma non è certo in grado di influenzare un'organizzazione internazionale, donde la conferma della correttezza dell'approccio top down, qui utilizzato.

 

Lo stesso Rugge ha svolto interessanti considerazioni sull'idoneità del diritto amministrativo ad offrire strumenti di analisi per esaminare concetti non giuridici, come la governance o la povertà. Condivido i dubbi di Rugge. Questi temi costituivano infatti un tipico oggetto di studio della cameralistica tedesca del XVII secolo, che era una scienza marcatamente interdisciplinare, comprendendo scienza politica, amministrativa e finanziaria.

 

 

Società civile. L'ultimo livello di governance è quello della società civile, che secondo la Commissione europea[49], comprende le organizzazioni sindacali e le associazioni padronali, le organizzazioni non governative, le associazioni non professionali, le organizzazioni di carità, le organizzazioni di base, le organizzazioni che cointeressano i cittadini  nella vita locale e comunale, con un particolare contributo delle chiese e delle comunità religiose.

 

Quella riportata è forse una nozione troppo ampia di società civile. Ne esiste una più ristretta, tendenzialmente coincidente con quella di "terzo settore". L'espressione ha un significato residuale e comprende i soggetti (associazioni, fondazioni, eccetera) che operano in un ambito diverso sia da quello  pubblico che da quello privato. Il terzo settore si differenzia dal primo, per la natura non pubblica dei soggetti e degli interessi. Si differenzia dal secondo, perché non ha fine di lucro, in quanto svolge attività di utilità sociale[50].

 

In quest'ordine di idee la società civile può essere intesa come rete di associazioni indipendenti, come luogo della partecipazione, del volontarismo, del dialogo, della solidarietà,  della cittadinanza. Società civile significa quindi, come scrive Antiseri, società aperta a più valori, a più visioni del mondo, a più idee, a più ideali diversi e magari contrastanti[51].

 

Tutto vero. Tuttavia la partecipazione della società civile alle decisioni pubbliche, attraverso il metodo della governance, pone problemi, come ha osservato il Prof. Police, di democrazia, di controllo e di responsabilità.

 

Si tratta di perplessità condivise da Dahrendorf che, dopo avere affermato che le associazioni "sono, per molti aspetti, una meravigliosa ricchezza della società", aggiunge che "c'è anche qualcosa di discutibile nel fatto che esse possano esprimersi su affari pubblici sostenendo di rappresentare di volta in volta i bambini inglesi o (…) le minoranze etniche presenti in Gran  Bretagna" [52].

 

Nel mio intervento mi sono avvalso della facoltà di esprimere opinioni personali. Questo mi esporrebbe, in principio, alle ritorsioni dialettiche. Ciò non sarà possibile perché così vuole il rito e perché, comunque, il tempo delle dissertazioni è spirato. Tali circostanze non affievoliscono la mia consapevolezza dell'opinabilità delle tesi espresse.



RAPPORTI TRA PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI E IMPRESE *

 

 

  di Carlo D'Orta,

direttore generale CNIPA

(Centro Nazionale Informatica Pubblica Amministrazione)

 

 

 

Insieme con Francesco Belletti, uno dei vicepresidenti di Confindustria, abbiamo voluto promuovere questo convegno per parlare di un tema che è estremamente delicato ed importante: quello dei rapporti tra P.A. e imprese.

 

Ne parleremo non in astratto ma prendendo spunto da alcune indagini effettuate tra queste ultime per capire il loro punto di vista rispetto alla Pubblica Amministrazione, il loro stato d'animo e le loro valutazioni sul rapporto che con questa hanno e sulla sua evoluzione in questi anni.

 

Mi rifarò ora ad alcune indicazioni di base su questi rapporti.

 

Prima di dare sostanza alle cose che dirò, confortato dai dati emersi, occorre fare una premessa: credo si debba riconoscere un dato di fatto, la Pubblica Amministrazione, una decina di anni fa, nella forma era tradizionalmente legata al modello francese ma, nella sostanza, era tutt'altro che corrispondente all'efficienza di quel modello amministrativo.

 

In quest’ultimo decennio la nostra Pubblica Amministrazione è stata al centro di una serie di riforme ispiratesi anche a modelli anglosassoni che, pur se in qualche modo estranei alla nostra tradizione, tuttavia hanno sicuramente caratterizzato una stagione di riforme amministrative, non solo in Italia, ma un pò dovunque, che vanno sotto il nome di new public management.

 

La linea conduttrice è stata quella di introdurre nel mondo delle pubbliche amministrazioni logiche di efficienza e di efficacia e, quando possibile, anche metodologie derivate dalla cultura d'impresa, pur se con i dovuti adattamenti, in quanto, giova ricordarlo, la P.A. non è un'impresa!

 

Vero è che vi sono state organizzazioni in mano pubblica che erano vere e proprie imprese, ma in questo decennio molte di queste hanno cessato di essere pubbliche amministrazioni per diventare enti pubblici economici, se non società di capitali o, addirittura, S.p.A., assumendo, quindi, la forma e, spesso, il capitale delle imprese private.

 

Vi sono, però, altri comparti che, pur essendo e dovendo rimanere pubbliche amministrazioni, con obiettivi diversi da quelli di un'impresa, non devono, tuttavia, essere inefficienti od operare in logiche conflittuali rispetto a questa: il punto fondamentale è come riuscire ad essere Pubblica Amministrazione e, in contemporanea, come di recente sottilineato dal ministro per la Funzione pubblica, Luigi Mazzella, svolgere il ruolo di centro di composizione di interessi di parte, quindi, per definizione, egoistici e non configuranti il tutto, a favore della collettività.

 

Non ne deve essere, però, penalizzato lo sviluppo economico del Paese: da un’indagine svolta dalla Piccola Industria di Torino, risulta il fatto che il già richiamato modello francese di Pubblica Amministrazione è percepito dalle imprese italiane che con esso hanno avuto a che fare, come un modello tutt'altro che alieno e rinunciatario rispetto allo svolgimento di compiti di regolazione e controllo, ma sono compiti che vengono svolti in un ottica non punitiva, non di penalizzazione bensì di assistenza, di consulenza, di supporto e, quindi, corrispondenti ad esigenze di sviluppo.

 

In conclusione, la parte migliore del mondo delle imprese, pur riconoscendo il ruolo di regolazione e controllo delle P.A., chiede che questo sia svolto non in un modo penalizzante, burocratico ma in maniera costruttiva e positiva, che aiuti lo sviluppo.

 

La mia idea, quindi, non è quella di una difesa della burocrazia in assoluto e nel senso più ottuso, ma di una difesa del ruolo fondamentale delle pubbliche amministrazioni per l'interesse generale, che deve essere svolto in un ottica costruttiva e favorevole allo sviluppo del Paese.

 

Le imprese, da un lato, i cittadini, dall'altro, sono i due grandi utenti dei servizi della Pubblica Amministrazione, che deve muoversi con una logica di orientamento all'utenza, anche se questo non significa sempre accontentarla.

 

L’indagine sopra accennata si è svolta su tre direttive. La prima, su "La qualità dei servizi nella P.A.", ad opera della Piccola Industria della provincia di Torino nel maggio 2002, con un sondaggio tra le imprese associate, piccole e medie, con meno di 250 addetti; la seconda, dedicata agli "Impatti della P.A. sul sistema delle imprese italiano", condotta nel novembre 2002 dalla Fondazione Rosselli insieme al Formez per conto del Dipartimento della Funzione pubblica, su 1000 aziende italiane, a prescindere dalla loro dimensione, ma con alcune con più di 500 addetti; la terza rivolta a "La complessità delle pratiche burocratiche: indagine presso le aziende" della società Alphabet per conto del Dipartimento della funzione pubblica, nel febbraio 2003, su un campione di 800 aziende.

 

Dall’indagine dell’Aphabet scaturisce che le imprese si confrontano in prevalenza con enti quali le Poste, il Comune, la Camera di Commercio, industria ed artigianato, l'INPS e l'INAIL, le ASL, l'Agenzia delle entrate, i Vigili del fuoco e la Regione, elencati nell'ordine di frequenza.

 

Tale ricorso avviene al 100% per i tributi, le imposte e le tasse, all’87% per i certificati, al 64% per le autorizzazioni, al 62% per i permessi, al 52% per le ispezioni, al 38% per contenziosi giudiziari e, infine, al 27% per gli appalti.

 

Qual’è il grado di soddisfazione delle imprese nel loro rapporto con la Pubblica Amministrazione?

 

Vi sono dati positivi e dati critici: riferiamoci, inizialmente, ai primi.

 

L'indagine della Piccola Industria di Torino, ci fa sapere che il 60% delle imprese che hanno risposto giudicano migliorati i servizi della P.A.. In questa percentuale, il 13,2% ritiene che i servizi siano migliorati sensibilmente e, nelle imprese con 50/150 addetti, tale valutazione positiva sale addirittura al 79%.

 

L'innovazione tecnologica, con quasi il 60% delle indicazioni, la disponibilità e cortesia, con il 39%, l’abbreviazione dei tempi, con il 23% si possono ritenere i fattori di miglioramento principali.

 

Anche secondo il sondaggio della Fondazione Rosselli l'amministrazione statale è abbastanza efficiente per il 58% delle imprese e molto efficiente per un altro 5%.

 

Ancora più positiva è la valutazione dell'efficienza dei comuni: l'amministrazione comunale è abbastanza efficiente per il 62% e molto efficiente per il 10% delle imprese, delle quali il 40% ritiene, inoltre, che nel quadriennio '98-2002 l'efficienza dei servizi della P.A. sia migliorata in modo avvertibile e più del 50% giudica migliorata la chiarezza e la semplicità delle procedure, in particolare il livello delle informazioni, la cortesia ed il rispetto dei tempi.

 

Infine, l'indagine Alphabet: il 72% delle imprese giudica le pratiche amministrative nel complesso semplici, con un voto medio di 6,5, in una scala di complessità discendente da 1 a 10. Si tratta, dunque, di un voto positivo, anche se moderatamente. Solo il 27% delle aziende ha giudicato complesse le pratiche amministrative, con una valutazione inferiore a 6.

 

Il maggior livello di semplicità si riscontra nelle pratiche delle Camere di Commercio, dell'Agenzia delle Entrate e dell'INPS; più complesse invece le pratiche delle ASL..

 

Passiamo, ora, all’analisi dei dati critici.

 

Secondo la Piccola Industria di Torino, tali dati sono dovuti per il 65% ai troppi adempimenti amministrativi, per il 46%, alla lunghezza eccessiva delle procedure e, è bene sottolinearlo, soprattutto all’incertezza, che preoccupa ancora di più perché impedisce la programmazione, infine per il 35% alla convinzione che la normativa sia troppo complessa e che il personale non sia customer oriented.

 

Analoghe le valutazioni di Alphabet. Il 27% del totale delle imprese indagate, dando un giudizio di complessità sulle pratiche amministrative, ha segnalato, per il 56%, carenze di informazioni chiare all'avvio della procedura o incoerenza delle informazioni, il che è, quindi, il primo problema da risolvere, per il 37%, tempi troppi lunghi di svolgimento per la conclusione della pratica, infine, per il 25%, modulistica troppo articolata, complessa o poco comprensibile.

 

L’espletamento delle procedure amministrative, secondo la Piccola Industria di Torino, costa in media 13,2 ore annue di lavoro per dipendente, che salgono a 32,8 per le piccole imprese da 1 a 15 dipendenti ma si riducono ad una sola per quelle con più di 250. In termini monetari il costo annuo medio è di 1.674 euro per dipendente per le prime e di 51 euro per le ultime.

 

I dati della Fondazione Rosselli sono sostanzialmente analoghi. Il costo medio annuale degli adempimenti amministrativi per addetto, inclusi i costi interni legati al personale, che sono la voce più rilevante, è di 1.539 euro nelle imprese che impiegano da 10 a 49 dipendenti mentre scende a 160 euro per quelle con più di 500: occorre, però, considerare che, anche se non ci fossero obblighi relativi alla gestione del personale legati al rapporto con le P.A., non di meno l'impresa dovrebbe avere ugualmente un'amministrazione interna! Le differenze con i dati della Piccola Industria di Torino sono, dunque, abbastanza limitate.

 

Le risposte più discordanti si hanno sullo Sportello Unico delle Attività Produttive.

 

Secondo la Fondazione Rosselli meno della metà delle aziende, il 44%, ha avuto a che fare con lo SUAP, nei cui riguardi il giudizio sembra positivo; in particolare, l'80% delle aziende ha riconosciuto che sono stati rispettati i tempi per le pratiche concernenti lo start-up d'impresa.

 

Per la Piccola Industria di Torino il 34% delle imprese auspica un miglioramento nel funzionamento dello SUAP mentre il 6,4% ritiene che il suo funzionamento limitato sia una delle maggiori criticità.

 

Infine l’Alphabet, che ha registrato giudizi più critici, ci dice che il livello di semplicità delle pratiche presso lo Sportello Unico ha un gradimento modesto, pari a 6,6 su 10 che, anche se positivo, in quanto sopra la sufficienza, rimane modesto rispetto a quello delle pratiche riscontrato presso le Camere di commercio, 8,7, e presso l'INPS, 7,5.

 

La cosa più importante, però, che l'indagine Alphabet ci dice è che, secondo le imprese, lo Sportello unico deve ancora cominciare a funzionare nelle modalità e per i fini per i quali è stato istituito e attualmente non è altro che un mero centro di smistamento delle pratiche tra uffici, come a Milano, o non ha ancora conseguito una reale interconnessione delle pratiche tra uffici, come avverrebbe a Roma.

 

In conclusione, secondo questi sondaggi le aspettative riguardano:

 

la sburocratizzazione, quindi più possibilità di autocertificazione, procedure più semplici, riduzione e maggiore certezza dei tempi delle procedure. Da questo punto di vista il paragone con la burocrazia del Regno Unito o degli USA è, evidentemente, a sfavore del nostro paese;

 

la formazione per il personale delle P.A. che, anziché avere un atteggiamento di diffidenza e punitivo, dovrebbe avere più orientamento all'utenza, maggiore competenza, più capacità di assumere un atteggiamento costruttivo e di assistenza, così come avviene in Francia;

 

la facilità di avere più informazioni sulle procedure, modulistica più chiara e semplice, più cortesia, più chiarezza e precisione nelle informazioni;

 

una maggiore innovazione tecnologica, maggiori servizi on-line, soprattutto attraverso Internet, in poche parole un ulteriore e maggiore ammodernamento tecnologico nella P.A..;

 

una maggiore diffusione dello Sportello Unico con operatività effettiva, migliore funzionamento e maggiore capacità di raccordare effettivamente i vari soggetti e fasi della procedura. In questo caso si può, però, affermare che dalla fine del 2001 alla fine del 2002 lo Sportello Unico si è esteso dal 50% all'80% dei comuni e copre ormai il 90% della popolazione italiana, anche se non tutti gli sportelli unici esistenti sulla carta sono stati effettivamente attivati. In ogni caso il numero di quelli operativi è aumentato e, come le stesse imprese ci dicono, là dove funzionano i risultati sono positivi. Naturalmente lo Sportello Unico interessa soprattutto le piccole e medie imprese in quanto centro di una semplificazione delle procedure di cui beneficiano soprattutto quelle imprese per le quali l'apparato amministrativo e le procedure amministrative hanno un peso maggiore.

 

Da questi sondaggi si ricava un dato molto confortante: pur con gli accenti critici che è giusto ci siano, e che, tra l’altro, servono da stimolo a ulteriori miglioramenti, soprattutto per rimanere al passo con gli altri paesi, le imprese ritengono che un miglioramento della P.A. ci sia stato.

 

Secondo Piccola Industria di Torino il 62% delle imprese e, soprattutto, dato significativo, l'83% di quelle con più di 250 addetti, ritiene che la P.A. possa diventare un aiuto per lo sviluppo delle imprese con la semplificazione delle procedure e con un atteggiamento di assistenza, supporto e consulenza in luogo di quello di diffidenza e penalizzazione.

 

Se le imprese hanno ancora fiducia nella possibilità della P.A. di aiutare lo sviluppo, questa fiducia, in qualche modo, è stata determinata dai concreti comportamenti di cambiamento di questi anni. Dobbiamo lavorare tutti insieme, stimolare, sì, con le critiche ma nel contempo dare sostegno riconoscendo quanto di positivo abbia questo processo di evoluzione, consci della diversità dei ruoli ma tenendo, però, presente che la Pubblica Amministrazione è una risorsa essenziale per il sistema Paese.



EMPOWERMENT DELLE AMMINISTRAZIONI.

LA STRATEGIA DI CANTIERI PER UN CAMBIAMENTO TANGIBILE

 

 

  di Pia Marconi,

direttore dell’ufficio per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni

 

 

 

Il Programma CANTIERI è parte fondamentale della strategia con la quale il Dipartimento della Funzione Pubblica si propone come centro di propulsione del cambiamento e del miglioramento delle amministrazioni pubbliche.

 

L’innovazione che CANTIERI promuove configura un cambiamento intenzionale finalizzato a realizzare miglioramenti duraturi nei risultati e negli effetti delle politiche pubbliche, miglioramenti tangibili per i cittadini e le imprese. Un concetto di innovazione che assegna a ciascuna amministrazione la responsabilità di individuare modalità e soluzioni per rispondere alle richieste, sempre più esigenti, di una società che cambia.

 

 

Le cinque priorità

 

Per favorire il prodursi di questo tipo di innovazione sono state individuate cinque priorità che identificano le aree nelle quali ciascuna amministrazione deve intervenire per migliorare la propria capacità di risposta.

 

La prima priorità indica alle amministrazioni la necessità di agire sul fronte dei rapporti con i cittadini. Le amministrazioni devono migliorare il grado di soddisfazione dei cittadini e delle imprese nei confronti dei servizi che esse offrono, quindi devono essere più amichevoli, cioè più vicine, ai cittadini e alle imprese. Questo è il primo aspetto da trattare: bisogna fare in modo che le amministrazioni adottino delle strategie in grado di ridurre gli spostamenti che normalmente sono imposti ai cittadini per ottenere ciò che essi richiedono all’amministrazione. Ciò può avvenire aumentando ovviamente i servizi on-line, e questa è una tendenza inarrestabile, naturalmente da favorire. Ma dobbiamo anche essere consapevoli che non è l’unica realtà sulla quale si debba intervenire, perché taglierebbe fuori fasce significative di utenti. Altre modalità sono, ad esempio, inviare a domicilio i documenti, creare servizi unificati di front office anche tra amministrazioni diverse e disporli logisticamente in zone e in ambiti facilmente accessibili e molto frequentati, come, ad esempio, i centri commerciali. Alcune amministrazioni si sono mosse in questa direzione.

 

In secondo luogo bisogna prevenire il formarsi delle code e gestire le attese, questo si può realizzare, ovviamente, agendo sull’organizzazione interna e suddividendo meglio le attività di front office rispetto a quelle di back office; ma anche ridefinendo i turni di lavoro sulla base dei flussi, in modo da far fronte a situazioni di picco che possono verificarsi agli sportelli, oppure ampliando le mansioni del personale e creando le condizioni per un uso flessibile del personale. È evidente, inoltre, (e questo ce lo insegnano le esperienze di molte amministrazioni e di alcune strutture private che erogano servizi all’utenza) che le condizioni logistiche possono favorire le condizioni dell’attesa, ma anche un personale addestrato a prendersi cura di chi è in attesa, magari fornendo informazioni in modo chiaro e completo, è un modo per risolvere questo tipo di problemi.

 

Un’amministrazione amichevole è, ovviamente, anche quella che parla un linguaggio che i cittadini comprendono, e quindi abbandona lo specialismo amministrativo ed usa il linguaggio corrente. Sempre per restare in questa priorità le amministrazioni devono migliorare le loro capacità di anticipare i bisogni e devono, inoltre, dare ai bisogni delle risposte personalizzate, così come stanno facendo da anni molte aziende private. Anche le amministrazioni cominciano ad adottare logiche di customer care e di personalizzazione dei servizi, ad esempio ricevendo per appuntamento, assistendo i cittadini nel formulare correttamente le loro richieste all’amministrazione o utilizzando le informazioni che sono già in loro possesso per anticipare i bisogni, per preannunciare che il passaporto, piuttosto che la carta di identità è in scadenza e quindi invitare al rinnovo. Un’amministrazione anticipatrice è un’amministrazione che ascolta l’utenza e che misura la sua soddisfazione attraverso questionari di soddisfazione, attraverso focus group, attraverso sondaggi di opinione e attraverso una gestione attiva dei reclami.

 

Infine, per corrispondere alla prima priorità, le amministrazioni devono migliorare anche la loro affidabilità. Per migliorare la soddisfazione degli utenti e ridurre il deficit di fiducia che caratterizza spesso i rapporti dei cittadini nei confronti dell’amministrazione pubblica, ma anche delle istituzioni in generale nel nostro come in altri paesi, le amministrazioni devono aumentare la loro affidabilità accrescendo la trasparenza relativa alle decisioni e all’azione amministrativa e mantenendo gli impegni che prendono, sia per quanto riguarda i tempi, che per gli standard di qualità dei servizi. Da questo punto di vista il rilancio di alcuni istituti fondamentali della legge 241/90 e le carte di servizi sono strumenti importanti.

 

La seconda priorità riguarda il policy making. È importante che le pubbliche amministrazioni, poiché questa costituisce la loro funzione istituzionale fondamentale, migliorino la capacità di elaborare ed attuare politiche pubbliche efficaci. Innanzitutto devono imparare a comprendere meglio e ad anticipare i bisogni della società. Da questo punto di vista è essenziale che la consultazione dei cittadini, delle imprese e anche di soggetti portatori di interessi diffusi, divenga uno strumento fondamentale per assumere decisioni consapevoli e motivate. È necessario inoltre, però, che le amministrazioni imparino a scegliere opportunamente tra le varie opzioni di intervento valutando costi e benefici di ciascuna di esse. Anche nel nostro paese, come si sta facendo con l’analisi d’impatto della regolamentazione, è necessario che venga fatto un uso più esteso dell’analisi dei costi-benefici, prima di intraprendere un’azione di policy, ed è necessario che quest’analisi riguardi anche gli strumenti che vengono utilizzati per l’attuazione delle politiche pubbliche. Il nostro è un paese dove di solito tali politiche vengono attuate facendo ricorso allo strumento regolativo, che impone vincoli e sanzioni ai soggetti oggetto delle regolazioni. Le amministrazioni tendono ad avere un atteggiamento ostile nei confronti delle imprese: non si fidano. Invece potrebbe essere talvolta più efficace, oltre che meno dispendioso, per conseguire determinati obbiettivi di policy, basare la politica sull’adozione da parte dei soggetti interessati di strumenti di autodisciplina, di autoregolazione, come il responsable care. Naturalmente, per chiudere con il policy making, non è importante solo che le politiche pubbliche vengano definite in modo appropriato, ma è anche necessario che le amministrazioni dispongano di strumenti per monitorarne l’attuazione anche in itinere, per verificare, cioè, se gli obiettivi che si intendeva raggiungere e gli impatti che si intendeva determinare si realizzano o se, invece, non si realizzino addirittura conseguenze opposte o non desiderate rispetto a quanto era stato preventivato.

 

La terza priorità indica che per innovare occorre un governo complessivo del sistema organizzativo e quindi l’esercizio di una vera e propria capacità imprenditoriale che assicuri lo sviluppo dei mezzi in funzione degli obiettivi che l’amministrazione intende perseguire. Innanzitutto le amministrazioni devono definire una strategia complessiva che individui quali sono le attività fondamentali, le attività core, e le distingua da quelle non fondamentali per concentrarsi sulle prime. In secondo luogo è necessario che ciascuna amministrazione riveda il funzionamento dei processi di servizio e l’articolazione delle strutture, finalizzando questa revisione alla semplificazione, all’integrazione e al coordinamento, anche quando i processi coinvolgono più soggetti, più amministrazioni, o addirittura anche soggetti esterni, che partecipano ad esempio all’erogazione del servizio. Solo a valle dell’analisi dei processi è possibile, infatti, progettare un assetto organizzativo funzionale a rispondere meglio alle esigenze degli utenti. In terzo luogo, per realizzare concretamente processi di cambiamento e nuove dinamiche, è necessario che le amministrazioni abbiano una gestione delle risorse umane coerente con gli obiettivi che intendono perseguire e che si dotino, quindi, di politiche di direzione del personale e di strutture idonee a condurre tali politiche. Inoltre è importante che le amministrazioni si dotino di sistemi operativi capaci di aiutare i decisori, siano essi il vertice politico o il vertice amministrativo, a coordinare tra loro le politiche, a verificare gli effetti, a fissare obiettivi operativi coerenti con gli obiettivi di policy e a valutare i risultati. Ancora, è importante che le amministrazioni definiscano strategie finanziarie coerenti con le loro politiche, sfruttando le possibilità di accesso alle opportunità offerte dal sistema degli strumenti finanziari che oggi sono disponibili, quali le obbligazioni, la finanza di progetto, la cartolarizzazione dei crediti, la cartolarizzazione immobiliare e i diversi prodotti derivati. È evidente che è molto importante nel governo del cambiamento l’apporto che viene offerto dalle tecnologie. L’introduzione delle tecnologie è una delle principali leve del cambiamento che le amministrazioni possono attivare. In molte amministrazioni il ruolo delle tecnologie sta diventando sempre più pervasivo e le competenze non sono più confinate all’interno delle funzioni tecniche di supporto, ma sono distribuite in tutta l’organizzazione. Su questo fronte è necessario operare ulteriormente, rafforzando le capacità del management di capire le implicazioni dell’utilizzo delle tecnologie e di utilizzarle in chiave strategica. Infine, la comunicazione è anch’essa una risorsa che deve essere utilizzata come leva per il cambiamento. Attraverso strategie di comunicazione adeguate le amministrazioni possono costruire un rapporto di fiducia con i cittadini e le imprese, ma anche attivare azioni di ascolto e acquisire elementi utili per definire gli interventi di policy e le azioni volte a migliorare la qualità dei servizi.

 

La quarta priorità, “fare squadra per trainare il cambiamento”, indica quelle azioni che mirano ad intervenire nei contesti organizzativi interni per sviluppare capacità di leadership, creare un clima favorevole e assicurare un ambiente di lavoro sereno. Si tratta, cioè, di creare condizioni professionali migliori, confrontabili con quelle presenti nelle organizzazioni private, motivando gli operatori e stimolando il senso di appartenenza. È importante sottolineare quanto sia necessario investire sulla motivazione del personale, restituendo valore e dignità al lavoro pubblico e rendendo tutti i livelli dell’organizzazione partecipi dei processi e delle azioni di cambiamento.

 

Infine, la quinta ed ultima priorità segnala che le amministrazioni per innovare hanno bisogno di instaurare un rapporto positivo con l’ambiente esterno tessendo reti di relazioni con i soggetti esterni con cui operano, siano esse amministrazioni o imprese o altri organismi, in grado di aumentare il capitale sociale del territorio. L’innovazione, infatti, è favorita dalla possibilità di sfruttare le opportunità presenti in contesti dinamici dove l’accesso alle risorse è facilitato, i costi di transazione sono bassi e i livelli di fiducia tra gli attori sono elevati.

 

 

Le politiche

 

CANTIERI muove da una tesi di fondo, suggerita dalle raccomandazioni che l’OCSE ha prodotto analizzando dieci anni di politiche di ammodernamento delle pubbliche amministrazioni nei principali paesi industrializzati. La tesi è che, anziché continuare ad introdurre dall’esterno nuove riforme, sia necessario creare all’interno delle amministrazioni le condizioni affinché esse siano in grado di innovare.

 

Abbiamo fatto nostra questa tesi, non solo perché proviene da una fonte autorevole, ma anche perché abbiamo trovato una corrispondenza con l’esperienza che il Dipartimento della Funzione Pubblica ha compiuto negli ultimi anni, sul fronte degli interventi a sostegno del cambiamento delle pubbliche amministrazioni. Perché CANTIERI non nasce dal nulla. Mi riferisco in particolare all’esperienza fatta con i progetti finalizzati, attraverso i quali il Dipartimento della Funzione Pubblica negli ultimi anni è entrato in contatto con moltissime amministrazioni e con oltre quattromila dirigenti e funzionari di amministrazioni statali e territoriali, impegnati in azioni di innovazione. Mi riferisco anche a quella comunità professionale che abbiamo chiamato la “rete degli innovatori”. Ebbene, il percorso fatto insieme alle amministrazioni ci ha fatto rendere conto delle enormi capacità presenti in molte amministrazioni e del potenziale che queste capacità rivestono per l’intero sistema amministrativo. La nostra esperienza ci ha anche fatto comprendere che queste capacità vanno supportate e indirizzate per superare alcune criticità che ovviamente esistono e che il documento “Proposte per il cambiamento nelle pubbliche amministrazioni” individua in modo piuttosto analitico.

 

Su questa base abbiamo definito le politiche per il sostegno al cambiamento che CANTIERI intende realizzare per orientare il cambiamento delle singole amministrazioni, verso alcune specifiche priorità.

 

Esse si muovono in tre direzioni.

 

La prima consiste nello sviluppare e rendere disponibile il know how. In primo luogo, come per le aziende che devono innovare, la R&S è fondamentale per supportare l’introduzione di nuovi prodotti e processi. È necessario che il sistema della ricerca pubblica investa di più in quest’area, per migliorare la comprensione dei fenomeni di cambiamento e per individuare nuovi percorsi e logiche di azione. Il Dipartimento della Funzione Pubblica intende promuovere il rapporto organico con il Mondo della ricerca pubblica in un’ottica pluridisciplinare.

 

In secondo luogo, occorre procedere a sperimentazioni che consentano di verificare fattibilità ed effetti dell’innovazione in situazioni controllate, “da laboratorio” e in assenza di vincoli normativi.

 

In terzo luogo, bisogna sviluppare la capacità intellettuale presente nelle amministrazioni pubbliche, raccogliendo le esperienze di innovazione realizzate, anche premi o altre modalità di sollecitazione a comunicare l’innovazione. È anche necessario assicurare la diffusione delle conoscenze e delle esperienze attraverso percorsi di apprendimento. In questo genere di attività il Dipartimento della Funzione Pubblica ha sviluppato un know how significativo con il programma dei progetti finalizzati realizzato negli ultimi quattro anni e con le diverse edizioni del premio 100 progetti al servizio dei cittadini.

 

Questa attività va proseguita, estesa e resa più sistematica – la rete degli innovatori che abbiamo creato rende possibile una costante alimentazione del flusso delle esperienze. La rete degli innovatori consolida reti professionali che abbiamo costituito, con le nostre diverse iniziative che ci hanno consentito di estendere il nostro campo di conoscenza alle esperienze di molte amministrazioni specie locali e regionali che altrimenti avremmo ignorato e che oggi invece sono il patrimonio di tutti.

 

Il Benchmarking è uno strumento senza dubbio efficace per promuovere lo sviluppo del know how.

 

Il confronto con altre realtà, siano esse riferite ad altre amministrazioni, a imprese e no-profit, è importante per conoscersi e migliorare. Ma il Benchmarking deve essere utilizzato adeguatamente promuovendo esperienze di Benchmarking relative a processi e basate su parametri, che sono ancora limitate nella nostra esperienza nazionale.

 

La seconda linea d’azione consiste nel puntare sulle persone investendo sul capitale umano.

 

Innanzitutto, le politiche di sviluppo del capitale umano devono proporsi l’obiettivo di creare professionalità autonome, capaci di cogliere e dare risposte alle esigenze che si manifestano.

 

In secondo luogo, è necessario riorientare i contenuti della formazione. Rispetto alle priorità indicate da CANTIERI, ad esempio, l’area del policy making e delle modalità di gestione ed erogazione dei servizi non sono adeguatamente presidiate. Eppure rappresentano il core business delle amministrazioni pubbliche.

 

In terzo luogo, bisogna intervenire sulle modalità  di gestione della formazione e introdurre nuove metodologie in grado di sviluppare il capitale umano. Ma qui è sufficiente rinviare alla direttiva del Ministro della Funzione Pubblica. Vale soltanto la pena di aggiungere che il ricorso a metodologie basate sulle comunità di pratica, consente di abbinare i processi di apprendimento allo sviluppo di una identità professionale più solida. Questo approccio sembra particolarmente efficace per quelle professionalità, oggi emergenti nel settore pubblico, come quella dei comunicatori, dei controller, dei direttore del personale. Questa possibilità è oggi favorita dalle tecnologie che arricchiscono i canali di comunicazione e di scambio.

 

Infine, per lo sviluppo del capitale umano è importante promuovere gli scambi di esperienze lavorative attraverso stage e modalità simili, tra amministrazioni, anche di altri paesi, e con le imprese.

 

La terza linea di azione consiste nel creare le condizioni di contesto favorevoli al cambiamento.

 

Sono molte le azioni che possono creare condizioni di contesto favorevole. Innanzitutto, la informazione. Le amministrazioni devono disporre di un canale tempestivo, efficace e dinamico di diffusione delle informazioni. Serve un’informazione istituzionale che non sia limitata ai soli provvedimenti normativi. Bisogna adeguare contenuti e strumenti dell’informazione rivolta agli operatori.

 

In secondo luogo, la comunicazione. È necessario valorizzare i risultati conseguiti dalle amministrazioni attraverso la comunicazione rivolta all’esterno; ma bisogna sostenere con un’adeguata azione di comunicazione rivolta agli operatori gli sforzi da questi compiuti. Il cambiamento si avvantaggia del clima di fiducia sia interno che esterno alle amministrazioni.

 

In terzo luogo, le reti di relazioni. Se è vero che le amministrazioni devono utilizzare il contesto in cui operano come risorsa, sviluppando relazioni positive con i vari soggetti, è altrettanto vero che è possibile favorire la creazione e lo sviluppo di reti tra soggetti pubblici e privati sempre più solide e dense in grado di favorire il formarsi di un capitale sociale di cui le amministrazioni possano avvantaggiarsi.

 

In quarto luogo, l’ambiente normativo. Fare attenzione all’esistenza e quindi rimuovere gli eventuali vincoli di natura normativa che sono di ostacolo al cambiamento. Le pubbliche amministrazioni sono esse stesse oggetto di regolamentazioni rigide, talvolta non necessarie.

 

In quinto luogo, offrire opportunità di finanziamento responsabilizzando i destinatari, anche finanziariamente attraverso il cofinanziamento, in modo da contribuire a formare una vera e propria committenza in grado di definire i propri bisogni.

 

Infine, è importante creare sul territorio nodi per sostenere i processi di cambiamento in ambito locale. Ciò serve sia a dare agli interventi di sostegno un’estensione e una capillarità territoriale che altrimenti non potrebbero avere; sia a riconoscere anche in questo campo alle regioni ed al sistema delle autonomie locali un ruolo coerente con l’evoluzione istituzionale in atto.

 

Le Regioni e le Province, come i comuni metropolitani, sono degli snodi fondamentali nella strategia del Dipartimento.

 

Il Dipartimento intende promuovere attivamente la realizzazione dei nodi territoriali offrendo se necessario assistenza e mettendo a disposizione il know how.

 

In occasione dello scorso Forum PA, CANTIERI ha presentato un primo bilancio delle sue attività: oltre 200 amministrazioni hanno partecipato attivamente alle diverse iniziative nel periodo 2002/2003 (Laboratori di Innovazione, ecc.) attraverso le quali CANTIERI ha prodotto strumenti operativi da mettere a disposizione di tutte le amministrazioni; sono stati realizzati sei manuali (programmazione del cambiamento, benessere organizzativo, finanza innovativa, sponsorizzazioni, customer satisfaction, call center) e un rapporto su donne e leadership che sono stati messi a disposizione delle amministrazioni; oltre 3.000 dirigenti e funzionari pubblici hanno partecipato alla sperimentazione del questionario sul benessere organizzativo, strumento operativo oggi utilizzabile da tutte le amministrazioni; oltre 200 comuni e province hanno condotto l'autovalutazione delle loro condizioni organizzative attraverso il VIC, lo strumento messo a punto da CANTIERI per la Valutazione Integrata del Cambiamento; nell’ambito dell’iniziativa “i Successi di Cantieri”, circa 80 amministrazioni hanno definito ed avviato Piani Integrati di Cambiamento (PIC) che coinvolgono l’intera organizzazione, per un totale di 270 progetti; il portale di CANTIERI ha superato i 13.000 accessi mensili (oltre 500 al giorno) e vanta circa 6.000 iscritti alla newsletter degli innovatori.

 

È ora in corso una nuova serie iniziative, che fanno tesoro delle esperienze raccolte nel primo anno di sperimentazione ed offrono nuove opportunità alle amministrazioni: i Cantieri di Innovazione per le amministrazioni interessate ad adottare soluzioni innovative in ambiti specifici quali customer satisfaction, benessere organizzativo, donne e leadership, sponsorizzazioni; la seconda edizione de I Successi di Cantieri per le amministrazioni che hanno scelto di intraprendere un percorso di innovazione organizzativa integrata; il Campus di Cantieri per la formazione dei manager pubblici.

 

CANTIERI, infine, sviluppa un progetto di knowledge management system, per favorire la gestione integrata e sistematica del patrimonio di conoscenze prodotto in collaborazione con le amministrazioni e per promuovere un processo di apprendimento continuo all’interno della comunità degli innovatori e più in generale all’interno del sistema pubblico.

 

Oltre ai risultati già indicati, lo straordinario successo di adesioni raccolto dai Cantieri di Innovazione, iniziativa lanciata solo il 7 maggio scorso, che hanno raccolto circa 1000 iscrizioni di amministrazioni, dimostra che all’interno delle amministrazioni pubbliche cresce la domanda di innovazione. La stagione delle riforme ha consegnato alle amministrazioni pubbliche un maggiore grado di responsabilità, che richiede un rapido adeguamento della loro capacità strategica e del know-how necessario alla realizzazione delle strategie di cambiamento. Essere dalla parte delle amministrazioni in questa sfida è la missione di CANTIERI, un programma di frontiera per lo sviluppo dell’innovazione nelle amministrazioni pubbliche.



LA COMPETENZA DELLE SEZIONI REGIONALI DI CONTROLLO DELLA CORTE DEI CONTI,

DOPO LA LEGGE N. 131 DEL 2003.

 

 

    di Rosario Scalia,

consigliere della Corte dei conti

 

 

 

Dopo l’entrata in vigore della legge 5 giugno 2003, n. 131, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, si rende assolutamente necessario verificare il complesso delle attribuzioni (competenza) di quella organizzazione “periferica” della Corte dei conti che si occupa della missione del controllo; controllo che continua a presentare i caratteri della indipendenza e della esternalità.

 

L’organizzazione “periferica” della Corte dei conti che si occupa, quindi, di svolgere le (diverse) attività di controllo risulta, innanzitutto, posizionata a livello regionale; così che, indipendentemente dal fatto che la Regione sia a Statuto ordinario o a Statuto speciale, l’insieme delle Sezioni regionali di controllo costituisce, ormai, la “periferia” dell’Istituto addetta a tale missione.

 

L’omogeneità di denominazione dovrebbe assicurare, nella sostanza, un (tendenziale) esercizio uniforme delle attività di controllo, sia di quelle che si esprimono in un giudizio di conformità (ai parametri delle legittimità), sia di quelle che si esprimono in un giudizio di integrazione (ricorso ai parametri dell’efficienza, dell’economicità, dell’efficacia).

 

E questo (tendenziale) esercizio uniforme sul territorio nazionale delle attività di controllo, che per alcuni aspetti risulta procedimentalizzato (nel caso di riscontro della conformità di un atto/provvedimento a legge, quando esso si qualifica come “preventivo”), costituisce un valore da coltivare.

 

Infatti, con esso si afferma che il principio di eguaglianza (ex art. 3 Cost.) può ben coniugarsi con quello dell’unitarietà del diritto (dovendo le burocrazie applicare la legge in maniera uniforme, oltre che imparziale sull’intero territorio nazionale).

 

Rispetto alla legge fondamentale – la legge n. 20 del 1994 – la legge n. 131/2003 assume, solo per alcuni aspetti, i connotati di una normativa integratrice della prima, con tratti che sono anche di modifica dell’impianto normativo originario.

 

Mentre rimane invariato il sistema dei controlli che si possono esercitare sulle amministrazioni statali (politiche pubbliche di competenza), si registrano alcune diversità per ciò che riguarda quello esercitabile sulle amministrazioni regionali/locali.

 

Casella di testo: controllo ex ante
 
 
 
controllo concomitante
 
 
 
controllo ex post
Casella di testo: su atti
(numerus clausus)
 
 
sull’attività amministrativa/sulla
relativa gestione finanziaria
 
 
(legittimità, efficienza, economicità, efficacia, generalità delle politiche pubbliche)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La diversità rispetto all’organizzazione prevista nella seconda metà degli anni ‘90, si presenta nell’allocazione delle competenze (Sezione delle Autonomie Sezioni regionali di controllo); ma essa va individuata anche nella varietà dei campi (settori; materie; politiche pubbliche) su cui il controllo è esercitabile.

 

Le schede che riassumono, quindi, la ripartizione delle competenze tra il sistema organizzativo centrale e il sistema organizzativo periferico sono da leggere in funzione del perseguimento di un obiettivo essenziale: quello di avvicinare l’attività di controllo alle comunità locali, sia ai cittadini sia alle imprese.

 

Ma, come si è già avuto modo di notare, si tratta di competenze che si aggiungono a quelle che la normativa generale, compresa quella di più recente fattura (artt. 23, 24, 28 e 30, legge finanziaria per il 2003)[53], ha inteso intestare alla Corte dei conti, anche in capo alle sue articolazioni periferiche.

 

Ciò che si dimostra apprezzabile è, comunque, l’atteggiamento del legislatore nazionale: si nota, infatti, lo sviluppo di una indifferenziata normazione, per ciò che riguarda il controllo sulla gestione, che disciplina la competenza delle Sezioni regionali operanti nelle Regioni a Statuto speciale e di quelle operanti nelle Regioni a Statuto ordinario.

 

In definitiva, per tale via si è venuta costruendo una normativa del sistema del controllo indipendente esterno, proprio della Corte dei conti, che si dimostra sempre più coerente con quella del sistema dei controlli interni, previsti dal d.lgs. n. 286/1999.


Articoli estratti dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289

 

(omissis)

 

23. Razionalizzazione delle spese e flessibilità del bilancio.

 

1. Per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, le dotazioni iniziali delle unità previsionali di base degli stati di previsione dei Ministeri per l'anno finanziario 2003 concernenti spese per consumi intermedi non aventi natura obbligatoria sono ridotte del 10 per cento. In ciascuno stato di previsione della spesa è istituito un fondo da ripartire nel corso della gestione per provvedere ad eventuali sopravvenute maggiori esigenze di spese per consumi intermedi, la cui dotazione iniziale è costituita dal 10 per cento dei rispettivi stanziamenti come risultanti dall'applicazione del periodo precedente. La ripartizione del fondo è disposta con decreti del Ministro competente, comunicati, anche con evidenze informatiche, al Ministero dell'economia e delle finanze, tramite gli Uffici centrali del bilancio, nonché alle competenti Commissioni parlamentari e alla Corte dei conti.

5. I provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono trasmessi agli organi di controllo ed alla competente procura della Corte dei conti.

 

(omissis)

 

24. Acquisto di beni e servizi.

5. Anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa consente la trattativa privata, le pubbliche amministrazioni possono farvi ricorso solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato, dandone comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti.

 

8. I servizi prestati dalla CONSIP Spa alle società per azioni interamente partecipate dallo Stato ai sensi dell'articolo 32, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, nei confronti delle quali è previsto il controllo della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259, e successive modificazioni, sono remunerati nel rispetto della normativa comunitaria di settore.

 

(omissis)

 

28. Acquisizione di informazioni.

 

6. Il comma 6 dell’articolo 227 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito dal seguente:

«6. Gli enti locali di cui all'articolo 2 inviano telematicamente alle Sezioni enti locali il rendiconto completo di allegati, le informazioni relative al rispetto del patto di stabilità interno, nonché i certificati del conto preventivo e consuntivo. Tempi, modalità e protocollo di comunicazione per la trasmissione telematica dei dati sono stabiliti con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Conferenza Stato, città e autonomie locali e la Corte dei conti.».

 

(omissis)

15. Qualora gli enti territoriali ricorrano all'indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell'articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l'indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione.

 

(omissis)

 


Il sistema organizzativo centrale del

controllo della Corte dei conti.

 

 

 

 

 

 

 

L. n. 20/94

 

 

 

Sezione delle Autonomie

(ex Enti Locali)

 

 

1.  Referto generale sulla finanza locale (Comuni con + 8.000 abitanti/Comuni dissestati)

 

 

natura del controllo: finanziario

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

Parlamento

 

 

2.  Referti specifici su politiche pubbliche gestite da Regioni/Enti Locali/altre istituzioni

 

natura del controllo: controllo sulla gestione

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

 

 

 

Parlamento

L. n. 131/2003

 

 

 

Sezione delle Autonomie

(ex Enti Locali)

 

 

1.  Referto generale sul rispetto dei parametri fissati dal “Patto di stabilità e di crescita” da parte di Regioni/di Enti Locali

 

 

natura del controllo: finanziario

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

 

Parlamento

 

 

2.  Competenza attribuita alle Sezioni regionali di controllo

 

 

natura del controllo: controllo sulla gestione

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

 

 

 

Organi  rappresentativi  della  volontà popolare (Parlamento/Consiglio regionale / Consigli enti locali)


Il sistema organizzativo periferico

del controllo della Corte dei conti.

 

 

 

 

 

 

 

L. n. 20/94

 

Sezione delle Autonomie

(ex Delegazioni regionali)

 

 

 

1.  Referto generale sulla (sana) gestione finanziaria dell’Ente Regione

 

 

 

natura del controllo: finanziario

 

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

 

 

Consiglio regionale

 

L. n. 131/2003

 

Sezioni regionali di controllo

 

 

 

 

1.  Competenza confermata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.  Referti generali/specifici sulla (sana) gestione finanziaria degli Enti Locali

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

 

Consigli provinciali/metropolitani/comunali/ etc.


  Il sistema organizzativo periferico

 del controllo della Corte dei conti.

Il controllo sulla gestione: le competenze

 

 

 

 

 

 

 

L. n. 20/94

 

 

Sezioni regionali di controllo

(ex Delegazioni regionali)

 

 

1.  Referti specifici sulle politiche pubbliche statali

(legislazione gestita da istituzioni operanti sul territorio regionale)

 

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

 

Parlamento

 

2.  Referti specifici sulle politiche pubbliche regionali

 

 

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

 

Consiglio regionale

 

3.  Referti specifici sulle politiche pubbliche provinciali/comunali etc.

 

 

 

 

 


                                                destinatario

 

 

 

Consigli provinciali/comunali etc.

L. n. 131/2003

 

 

Sezioni regionali di controllo

 

 

 

1.  Competenza confermata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.  Competenza confermata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3.  Competenza confermata.

 

 


A questo punto, la nostra attenzione si concentra sulle tipologie del controllo indipendente esterno della Corte; in particolare, su quelle che sono attribuite alle Sezioni regionali di controllo (nelle Regioni a Statuto ordinario). E non ci si può esimere, a questo punto dell’evoluzione normativa, dal sostenere l’importanza che assume la Corte dei conti quando ci si ritrova a dover controllare la gestione delle politiche pubbliche statali, regionali, locali (visione integrata di esse).

 

A tale Organo spetta il compito, infatti, di sottoporre agli organi rappresentativi della volontà popolare l’influenza che i diversi livelli di governo necessariamente esercitano sui cittadini, sulle imprese; una influenza che è fatta di azioni e reazioni sempre più complesse, e la cui lettura deve essere affidata a un corpo magistratuale, quello contabile, che deve spingere il suo giudizio fino a una valutazione (giudizio) dei comportamenti dei gestori, tale che sia in grado di cogliere i benefici in rapporto ai costi sopportati (dalla collettività).

 

Ma, all’orizzonte, si è venuta materializzando un’altra tipologia di controllo, quella che ha natura di vigilanza; controllo che il legislatore ha posto a presidio del rispetto di un obiettivo: contenere i costi nell’acquisizione di beni/di servizi da parte della Pubblica amministrazione (art. 24, 5° c., l. n. 289/2002).

 

Si tratta di una competenza che arricchisce il set di interventi che una Sezione regionale di controllo può mettere in campo per contenere il livello della spesa (di parte corrente).

 

Riassumendo, la missione del controllo indipendente esterno si concretizza nell’espletamento di interventi che possono così configurarsi:

 

 

 

 

controllo ex ante

 

 

 

controllo concomitante

(monitoraggio)

 

 

 

 

 

 

controllo ex post

 

1. su atti

2. su provvedimenti (programmi; progetti)

 

 


1. sulle spese (costo del lavoro; acquisto

beni/servizi)

2. sulle entrate

3. sull’attività amministrativa

 

 

 

 


1. controllo finanziario

2. controllo di gestione (legittimità; efficienza;

economicità; efficacia)

3. valutazione delle politiche pubbliche

(efficacia della legge)

 

 

 

 

 

 

 

gestione finanziaria

 

 

 

 

 

 

controllo sulla gestione


2. Le attribuzioni delle Delegazioni regionali di controllo ® Sezioni regionali di controllo (Regioni a statuto ordinario): dalle amministrazioni statali al resto del sistema delle istituzioni pubbliche.

 

Le attribuzioni delle Delegazioni regionali di controllo (ora, Sezioni regionali di controllo) sono stati definite sempre con legge o con atto normativo di pari rilevanza (decreto legislativo).

 

Negli anni successivi all'entrata in vigore del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, la legislazione nazionale ha intestato, infatti, a tali articolazioni periferiche della Corte alcune attribuzioni:

a) alcune di tipo tradizionale;

b) alcune altre di tipo innovativo, ma pur sempre rientranti nell'ottica del controllo sulla gestione quale definito dall'art. 3, 4°c., della legge n. 20/94.

 

In questo schema ne risultano indicate alcune.

 

 

 

La Sezione regionale di controllo.

I controlli di tipo innovativo intestati

alla struttura periferica per legge.

 

 

POLITICHE

PUBBLICHE

RIFERMENTO

NORMATIVO

 

 

ISTRUZIONE SCOLASTICA

L. 24.12.1993, n. 537 (art. 4, 19° c.)

 

 

INTERVENTI STRAORDINARI PER CALAMITA'

L. 21.1.1995, n. 22 (art. 2, 7° c.)

 

 

LOTTA ALLA TOSSICODIPENDENZA

L. 28.3.1996, n. 86 (art. 1, 14°c.)

 

 

REDDITI DEI DIPENDENTI PUBBLICI

D.lgs. 29.10.1998, n. 387 (art. 14; art. 52, 6° c., d.lgs. n. 29/93) → d.lgs. n. 165/01

 

 

 

 

2.1 Il controllo sulla resa dei conti (rendiconti amministrativi/contabilità speciali) dei funzionari periferici dei Ministeri. Cenni e rinvio.

 

Il controllo sulla resa dei conti, che costituisce uno dei doveri d'ufficio di chi è responsabile, a livello di istituzioni periferiche dei Ministeri, della gestione delle risorse finanziarie assegnategli dal "centro" (a mezzo di ordini di accreditamento), era uno dei compiti “tradizionali” della Delegazione regionale di controllo.

 

Ora, tale compito risulta intestato alla Sezione regionale di controllo istituita anch'essa nelle Regioni a statuto ordinario dalla legge statale n. 131/2003.

 

Il controllo presenta due aspetti:

a) quello squisitamente contabile, inteso a verificare che le scritture contabili (registrazione elettronica) della Corte risultino identiche a quelle tenute dalla Ragioneria generale dello Stato;

b) quello di verifica del corretto utilizzo delle risorse gestite, che si attualizza nella verifica del rispetto della legislazione statale applicabile ai diversi aspetti della gestione (ad es., corresponsione dello "straordinario" al personale; oppure, adeguamento alla legislazione comunitaria in materia di acquisto di beni informatici; oppure, corretta manutenzione di beni immobili/mobili).

 

Allorché si effettua il controllo contabile, è naturale che il settore dalla Sezione regionale che se ne occupa (Centrale dei bilanci) verifichi che sia stato rispettato il termine entro il quale vanno resi i conti, risultando avvisata la Corte dell'avvenuto deposito degli atti contabili e dei c.d. "giustificativi" di spesa presso l'organo di primo livello del riscontro contabile, a mezzo del modello 27 C.G. (comunicazione di avvenuto adempimento di legge).

 

In tal senso, la Sezione è obbligata a svolgere un'azione di vigilanza su tutti i funzionari delegati, nonché su quelli che siano tenuti a rendere il conto a istituzioni diverse dalla Ragioneria Generale dello Stato; queste ultime sono tenute, peraltro, ad assicurare il primo grado di riscontro di regolarità contabile/verifica (controllo di I livello).

 

Naturalmente, il rendiconto va riscontrato "funditus" ove si sia programmata una indagine ad hoc, in quanto la Corte è anche "il controllore dei controlli", dovendo suggerire quelle tecniche e quei metodi utili a migliorare l'attività dell'istituzione che si occupa del mero riscontro contabile (giudizio da esprimere sulla funzionalità dei controlli interni, di natura amministrativo-contabile, ove eseguiti).

 

 

 

La Sezione regionale di controllo.

I controlli di tipo tradizionale: la tenuta

dei registri contabili informatizzati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: d.lgs. 20.4.1994, n. 367 (art. 9, 5° c.)


La giurisprudenza della Corte dei conti

in tema di resa dei conti (rendiconti

amministrativi/contabilità speciali).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: nota di coordinamento del 15.11.1999 del Presidente di sezione preposto al coordinamento del controllo successivo sulla gestione.


La Sezione regionale di controllo

della Corte dei conti.

La vigilanza sui funzionari delegati;

il controllo sulla gestione (a campione)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VIGILANZA

 

1.     iscrizione del 27 C.G. sul registro contabile (informatizzato)

 

2.     verifica del rispetto dei termini di presentazione del conto al controllo dell'organo di riscontro di 1° livello

 

 

 

 

 

 

CONTROLLO

SULLA GESTIONE

 

1.     richiesta dei documenti giustificativi presentati in sede di resa del conto all'organo di riscontro di 1° livello (legittimità; regolarità contabile)

 

2.     analisi della funzionalità dell'organo di riscontro di 1° livello (controllo interno = audit di natura organizzativa)

 

3.     riscontro di atti/provvedimenti su campione definito (parametri: legittimità; efficienza; economicità, efficacia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: nota di coordinamento del 15.11.1999 del Presidente di sezione preposto al coordinamento del controllo successivo sulla gestione.


La Sezione regionale di controllo

della Corte dei conti.

La vigilanza sui funzionari delegati,

obbligati alla resa del conto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: d.P.R. n. 367 del 1994 (artt. 9 e 10)


2.2. L'apporto della Sezione regionale di controllo alla parificazione del Rendiconto generale dello Stato: la registrazione dei decreti di accertamento dei residui passivi.

 

Lo stesso settore della (ex) Delegazione regionale di controllo[54], che si occupa di tenere sotto controllo i funzionari delegati (dirigenti periferici) dei Ministeri (Centrale dei bilanci), è tenuto, secondo le disposizioni vigenti, a controllare che gli stessi emettano – alla fine dell'anno – i relativi decreti con i quali si accerta l'esistenza di somme non spese (residui): i decreti di accertamento dei residui passivi.

 

Tale atto ricognitivo assume un duplice valore:

a)  quello di porre in evidenza le cause che abbiano determinato il formarsi, al 31 dicembre dell'anno, di una certa quale massa finanziaria non utilizzata ancorché impegnata (analisi dei motivi);

b)  quello di porre in condizione il decisore politico di ricalibrare gli interventi finanziari in considerazione della (ri)programmazione annuale che rientra nella sua sfera di competenza (art. 14, 1° c., d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni e integrazioni).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La registrazione dei decreti di accertamento dei residui (controllo ex ante) costituisce uno dei momenti di partecipazione delle articolazioni regionali della Corte al processo di parificazione del Rendiconto generale dello Stato (art. 3, 2° comma, lett. h, legge n. 20/94) di competenza delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale.


La Sezione regionale di controllo.

I controlli di tipo tradizionale.

 

 

 

 

 

 

 

AMMINISTRAZIONI DELLO STATO

 

 

 

Casella di testo: DIRIGENTI
PERIFERICI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: art. 3, 1° c., lett. h, l. 14.1.1994, n. 20


3. Il controllo (ex ante) di legittimità su atti emanati dai dirigenti degli uffici periferici dei Ministeri.

 

Il controllo di legittimità si può esercitare

1.  su atti amministrativi, che di per sé comportano un esborso di pubblico denaro; oppure

2.  su atti contabili, dei quali si effettua il riscontro ai fini della corretta tenuta dei propri registri di carico e scarico (sistema contabile integrato a registrazione informatica RGS – Corte dei conti).

 

La Sezione regionale controlla, secondo lo schema della verifica “ex ante”, la tipologia di atti che risulta prevista dall'art. 3, 1° c., della legge n. 20/94.

 

 

 

 

 

La sezione regionale di controllo.

Gli atti sottoposti a controllo (ex ante) di legittimità (Ministeri).

 

 

 

 

Tipologia di atti

L. 14.1.1994

(art. 3, 1° comma)

 

lettera b)

conferimento di incarico di funzioni dirigenziali (contratto di diritto privato)

lettera f)

provvedimenti di disposizione del demanio e del patrimonio immobiliare

lettera g)

decreti che approvano contratti delle Amministrazioni dello Stato:

1.   attivi, di qualunque importo;

2.   di appalto d'opera, se di importo superiore al valore in ECU stabilito dalle normative comunitarie per l'applicazione delle procedure di aggiudicazione dei contratti stessi;

3.   altri contratti passivi, se di importo superiore di un decimo del valore suindicato.

lettera h)

decreti di accertamento dei residui (DAR)

 

 

 

 

 

Il controllo (ex ante) di legittimità risulta, comunque, circoscritto ad alcune specifiche fattispecie (numerus clausus).

 

Naturalmente, le procedure e i tempi di conclusione della procedura di controllo sono ormai quelli stabiliti dall'art. 27 della legge 24.11.2000, n. 340[55].


3.1. La disciplina valevole per il controllo (ex ante) di legittimità su atti.

 

Per il controllo (ex ante) di legittimità su atti vale ormai la disciplina contenuta nell'art. 27 della legge 24 novembre 2000 , n. 340:

 

a)  la procedura di controllo deve esaurirsi nei 60 giorni successivi a quello di ricezione dell'atto da parte della Sezione[56]

b)  l'Amministrazione, ove le vengano formulate osservazioni/richieste da parte della Sezione (rectius, da parte del magistrato istruttore/del Collegio), è tenuta a rispondere non oltre il 30° giorno dalla ricezione dell'ordinanza istruttoria (ciò costituisce un obbligo di servizio per il responsabile del procedimento, la cui inosservanza va sanzionata a termini di CCNNL);

c)  costituisce obbligo per la Sezione far conoscere l'esito della deliberazione assunta dall'organo collegiale all'Amministrazione interessata entro le ventiquattro ore successive alla fine dell'adunanza;

d)  la Sezione, convocata in collegio, può chiedere informazioni (diverse da quelle che ha richiesto il magistrato istruttore) in modo da avere il quadro di riferimento nei dettagli;

e)  trascorsi i 60 giorni senza che la Sezione (Collegio) si sia pronunciata, l'atto diventa esecutivo.

 

Con nota n. 279 del 29 novembre 2000 (e successivamente con nota n. 284 del 7 dicembre 2000) l'Ufficio del Presidente addetto al coordinamento sul controllo preventivo/successivo ha fatto presente che:

 

1.  «il termine per l'esercizio del controllo, non più diviso in due distinti tempi, l'uno monocratico e l'altro collegiale, è fissato indistintamente in 60 giorni decorrenti dalla ricezione degli atti da parte del competente ufficio della Corte»;

2.  «l'anzidetto termine di 60 giorni viene sospeso in presenza di eventuali richieste istruttorie (quindi anche collegiali) e che la sospensione non può essere superiore a 30 giorni»;

3.  nel caso in cui la dirigenza interessata non risponda, il Collegio può emettere il suo giudizio "allo stato degli atti" e, quindi, non ritenere apponibile il visto e non effettuabile la conseguente registrazione.

 

D'altra parte, in quest'ultima ipotesi, è consentito all'Amministrazione (ufficio dirigenziale) di presentare appello avverso tale decisione alle Sezioni Riunite in sede di controllo, richiedendo il riesame della questione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Il meccanismo di valutazione della decisione assunta dalla magistratura di primo livello (sotto forma di appello all'autorità giudiziaria di livello superiore) risulta disciplinato dalla legislazione relativa all'attività di competenza delle Sezioni regionali di controllo istituite nelle Regioni e Province a statuto speciale.

 

In sostanza si è inteso mutuare il modello di natura (para)giurisdizionale presente, peraltro già da tempo, nel nostro sistema ordinamentale.

 

L’obiettivo del coordinamento tra Sezioni, nell’ambito di quelle operanti nelle quindici Regioni a statuto ordinario, si realizza, invece, attraverso il meccanismo previsto dall’art. 2, 6° c., del regolamento delle funzioni di controllo della Corte dei conti (SS.RR. delib. n. 14/DEL/2000).

 

 

 

 

 

L’unità dell’ordinamento: come lo

realizza la Corte dei conti.

 

 

Art. 2

 

(omissis)

 

 

6. Il presidente della sezione (regionale di controllo, n.d.r.) attribuisce gli incarichi relativi all’istruttoria ai magistrati assegnati ....

 

Ove si renda necessaria la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza, la pronuncia sul visto è deferita alla sezione centrale di controllo di legittimità su atti del governo e della sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, ai sensi dell’art. 24 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 124, commi secondo e quinto, come sostituito dall’art. 1 della legge n 21 marzo 1953, n. 161.

 

 

(omissis)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Corte dei conti (SS.RR. delib. 6 giugno 20009 – Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti (GURI n. 156 del 6/7/2000)


3.2. Le forme e i modi con cui si esprime la Sezione regionale di controllo. I rapporti con l'utenza interessata agli esiti del controllo sulla gestione programmato ed eseguito.

 

Si è avuto modo di osservare che la qualificazione degli atti/dei provvedimenti di competenza dei magistrati addetti al controllo non ha formato finora oggetto di attenzione specifica da parte della stessa magistratura contabile:

 

a)  in particolare, si controverte sul fatto che la lettera che contiene la richiesta dei dati/di informazioni, rivolta al dirigente dell'Ufficio sottoposto a controllo, possa chiamarsi "nota"; mentre altri qualificano tale atto come una vera e propria "ordinanza istruttoria" in considerazione del fatto che da essa scaturisce l'obbligo di attivazione di un procedimento amministrativo (l'inosservanza del termine massimo fissato può comportare la denuncia all'A.G.O. del responsabile del procedimento per "omissione di atti d'ufficio");

b)  inoltre, si controverte sulla opportunità di qualificare come ordinanze istruttorie (di competenza sempre del magistrato istruttore) le richieste di informazioni/di dati contenute in questionari di controllo che vanno necessariamente elaborati ad hoc; in merito, si ritiene di poter condividere la tesi secondo cui, anche in questo caso, l'ordinanza istruttoria costituisca in mora la burocrazia, che è tenuta ad adempiere nel tempo dallo stesso magistrato istruttore fissato;

c)  ancora, gli accertamenti e le ispezioni costituiscono strumenti tipici di lavoro della magistratura penale; in questo caso, è naturale che il magistrato istruttore prende contatto con il Nucleo del Corpo della Guardia di Finanza che, in ogni capoluogo di Regione, assiste normalmente la Procura regionale della Corte stessa[57]. Non è preclusa, comunque, la facoltà di assegnare compiti di tal genere agli operatori in servizio presso organismi centrali o che sono attivi anche a livello locale (Servizio ispettivo centrale; Servizio ispettivo periferico).

 

In ogni caso, l'atto con il quale si approva il set di indagini che si intendono effettuare nell'anno (programma) è stato da tempo denominato "deliberazione". La stessa terminologia viene usata all'atto dell'approvazione delle singole relazioni da parte del Collegio della sezione: ciò può costituire momento di dibattito di una certa quale rilevanza non essendo la qualificazione di un atto istituzionale questione da sottovalutare.

 

Attività (para)giurisdizionale

 

Qualificazione giuridica

dell'atto prodotto

 

 

 

1.     Programma annuale

 

decisione

 

 

 

2.     Richiesta di dati/informazioni

 

ordinanza istruttoria

 

 

 

3.     Verifica di regolarità contabile (a campione)

 

deliberazione

 

 

 

4. Verifica di legittimità di atti/provvedimenti (a campione)

 

deliberazione

 

 

 

5. Nomina consulenti/periti

 

decreto

 

 

 

6. Accertamento delle tre E (efficienza/effica-cia/economicità)

 

deliberazione

 

 

 

7. Valutazione dello stato di perseguimento degli obiettivi di legge (piani/programmi)

 

decisione

 

 

 

8. Verifica delle misure assunte per migliorare l'azione amministrativa/tecnica

 

deliberazione

 


Il controllo indipendente esterno sulle

burocrazie pubbliche.

Come si lavora in una Sezione regionale

di controllo della Corte dei conti.

 

 

 

 

 

Tipologia dell'atto

 

 

Ente interessato

(art. 2, 2° comma)

 

 

Oggetto dell'attività istruttoria

 

 

 

A. Programma annuale Regione/Enti strumentali

 

 

 


Deliberazione collegiale

 

 

 

 

Politiche pubbliche

da indicare

 

 

 

B. Osservazioni in corso di istruttoria

 

 

 


Deliberazione collegiale

 

 

 

1. tempi di realizzazione del programma/del piano

 

2. modi di realizzazione del programma/del piano

 

3. costi di realizzazione del programma/del piano

 

 

 

C. Valutazione

 

 

 


Decisione collegiale

 

 

 

 

perseguimento degli obiettivi di legge individuazione degli utenti (grado di soddisfazione/mutamenti sociali provocati)

 

 

D. Misure assunte

 

 

 


Deliberazione collegiale

 

 

 

verifica di esse in termini di

 

- tempestività (tempi)

 

- utilità

 

- economicità (costi)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: delib. SS.RR. della Corte dei conti del 16.6.2000.


Il controllo indipendente esterno sulle

burocrazie pubbliche.

Come si lavora in una Sezione regionale

di controllo della Corte dei conti.

 

 

 

 

 

Tipologia dell'atto

 

 

Ente interessato

(art. 2, 2° comma)

 

 

Oggetto dell'attività istruttoria

 

 

 

 

A. Programma annuale

     1. Enti locali/Enti strumentali

      2. Altre istituzioni con caratteristiche di

    autonomia

 

 


Deliberazione collegiale

 

Verifica della gestione dell'attività (amministrativa/tecnica/tecnico-amministrativa) di almeno due istituzioni (confronto) sotto il profilo (parametri):

- della legalità

- della efficienza

- della economicità

- della efficacia

 

 

 

B. Osservazioni in corso di istruttoria

 

 


Deliberazione collegiale

 

 

in ordine:

- all’organizzazione

- all'attività svolta (tempi/modi)

- all'attività svolta (costi diretti/indiretti)

- alla soddisfazione degli utenti (efficacia)

 

 

 

C. Valutazione

 

 


Decisione collegiale

 

 

1. indicazione delle misure da assumere

2. valutazione di funzionalità dei controlli interni:

- regolarità amministrativa

- regolarità contabile

- sistema di verifica della gestione

 

 

 

D. Misure assunte

 

 


Deliberazione collegiale

 

 

verifica di esse in termini di:

- tempestività (tempi)

- utilità

- economicità (costi)

 

 

 

 

 

 

Fonte: delib. SS.RR. della Corte dei conti del 16.6.2000.


Il controllo indipendente esterno sulle

burocrazie pubbliche.

Come si lavora in una Sezione regionale

di controllo della Corte dei conti.

 

 

 

 

 

Tipologia dell'atto

 

 

Ente interessato

(art. 2, 3° comma)

 

Oggetto dell'attività istruttoria

 

 

 

 

A. Programma annuale

Strutture periferiche delle amministrazioni statali

 

 


Deliberazione collegiale

 

 

Verifica della gestione dell'attività

 

 

 

 

 

B. Osservazioni in corso di istruttoria

 

 

 


Deliberazione collegiale

 

 

 

in ordine:

- all’organizzazione

- all'attività svolta (tempi/modi)

- all'attività svolta (costi diretti/indiretti)

- alla soddisfazione degli utenti (efficacia)

 

 

 

 

C. Valutazione

 

 

 


Decisione collegiale

 

 

 

3. indicazione delle misure da assumere

4. valutazione di funzionalità dei controlli interni:

- regolarità amministrativa

- regolarità contabile

- sistema di verifica della gestione

 

 

 

 

D. Misure assunte

 

 

 


Deliberazione collegiale

 

 

 

verifica di esse in termini di

- tempestività (tempi)

- utilità (modi)

- economicità (costi)

 

 

 

 

 

 

Fonte: delib. SS.RR. della Corte dei conti del 16.6.2000.


4. Il controllo sulla gestione delle burocrazie periferiche delle Ammini-strazioni dello Stato. La valutazione dei piani e dei programmi di interventi effettuati con risorse finanziarie del bilancio statale.

 

La Sezione regionale di controllo può effettuare il controllo sulla gestione delle strutture periferiche dei Ministeri, a condizione che le relative indagini siano inserite nel programma annuale e ne sia data notizia dell'approvazione (controllo "no surprise").

 

Tuttavia, è consentita l'attivazione di una indagine (che si discosti da quelle programmate) alle condizioni previste e nel rispetto della procedura (comunicazione) di cui all'art. 3, 12 comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 20.

 

Il controllo sulla gestione, secondo la costante giurisprudenza della Sezione controllo Stato (fino al 2000), deve sfociare in un giudizio sui «tempi, costi e modi» della realizzazione degli interventi contenuti in atti di programmazione/pianificazione, che, in genere, sono approvati dal decisore politico (Ministro); e che vanno, necessariamente, attuati sul territorio, avendo essi come destinatari i cittadini che nelle diverse aree risiedono (comunità locale).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: D.lgs. 30.7.1999, n. 286 (G.U.R.I. n. 193 del 18.8.1999).

________________________________

 

* In G.U.R.I. n. 21 del 26.1.2001


Il controllo sulla gestione richiede, in ogni caso, che si valuti la soddisfazione degli utenti dell'ufficio analizzato.

 

E necessariamente di esso devono essere posti in chiari gli elementi che contribuiscono alla elaborazione del prodotto/del servizio: le risorse umane, quelle strumentali (comprese quelle informatiche) e quelle finanziarie di cui la dirigenza dispone, in un determinato periodo (anno/biennio/triennio).

 

Solo una analisi svolta, auspicabilmente in concomitanza, sul funzionamento dell'apparato amministrativo consente di valutare la produttività gestionale (performances) dello stesso.


5. L'analisi delle politiche pubbliche: la valutazione dei piani e dei programmi di competenza delle Regioni.

 

L'analisi delle politiche pubbliche di competenza dell'Ente Regione (legislazione regionale di settore) può riguardare un livello di giudizio più alto investendo i comportamenti dei responsabili (anche politici) della gestione: in questo caso si esprime una valutazione sull'effettivo perseguimento degli obiettivi fissati da leggi di principio (leggi-quadro) e da leggi di programma, approvate dal Consiglio regionale.

 

Tale valutazione è il "prodotto" dell'attività di controllo indipendente esterno, che costituisce esecuzione degli articoli 97, 100, 2° comma, e 119 della Carta Costituzionale del 1948.

 

La Corte dei conti, anche sulla base delle considerazioni espresse dalla sentenza n. 29/95 della Corte Costituzionale[58], ha ritenuto di poter affermare che:

 

1. La Corte dei conti è tenuta a svolgere, secondo quanto previsto dalla legge n. 20/94, una specifica attività di controllo, quella sulla gestione, che si configura, per ciò che riguarda l'ente Regione, come una valutazione dei piani o dei programmi; valutazione che deve consentire di porre in evidenza, utilizzando il complesso degli strumenti di conoscenza della gestione di "materie, settori, interventi" de qua impiantati da ciascuna organizzazione, gli eventuali scostamenti dagli obiettivi prefissati o indicati, più o meno esplicitamente, nella legislazione di settore[59].

 

2. Il documento del programma annuale, in particolare, che viene indicato dalla legislazione di settore (comunitaria, nazionale, regionale) come il risultato di una attività di pianificazione partecipata, costituisce sintesi di un dibattito che tiene conto delle istanze provenienti da più parti. Il documento del programma annuale, che indica l'entità delle risorse finanziarie (nazionali-comunitarie) destinate a soddisfare le esigenze dei diversi segmenti (destinatari) del mercato del lavoro, (n.d.a. si fa riferimento alla politica pubblica della formazione professionale), individua gli obiettivi che auspicabilmente il responsabile politico intende perseguire ai diversi livelli di governo (Stato-Regione-Provincia).

 

3. La valutazione della Corte dei conti in ordine al grado di successo conseguito da ciascun intervento deve essere, quindi, assai mirata, dovendo tenere conto di una ampia serie di pre-condizioni e di vincoli che sono da leggere e riscontrare nel documento di programmazione.

Pertanto, la definizione degli indici, riguardanti i diversi aspetti dell'efficienza, dell'efficacia e della economicità relativi allo stato di esecuzione dei programmi approvati, deve essere curata mettendo a confronto modelli identici o, comunque, situazioni identiche o fortemente similari (individuazione di strutture con identica capacità attuativa).

 

4. Nell'attività di valutazione non può non rientrare la ricerca del ruolo che le istituzioni comunitarie e nazionali, ai vari livelli di governo, riescono a sviluppare nei rapporti con l'ente Regione.

 

5. Naturalmente, l'attività di valutazione che è la frontiera del controllo indipendente esterno, comporta l'evidenziazione dei costi delle varie fasi in cui si articola il programma annuale degli interventi formativi, fermo restando il fatto che un giudizio di congruità della spesa, effettuata rispetto alle esigenze espresse dal mercato del lavoro, può essere assicurato almeno non prima di due anni dalla conclusione dell'intervento formativo realizzato (efficacia dell'azione).

 

6. Ciò significa che la valutazione del programma (annuale/pluriennale) degli interventi formativi può essere realizzata in concomitanza alla sua pratica esecuzione solo per alcuni aspetti (adeguatezza del sistema dei controlli interni; efficienza interna dell'agenzia formativa; economicità dell'attività svolta dall'apparato), ma occorrerà riportarlo sotto analisi a distanza di tempo (n + 1; n. + 2; n + 3, ...), se l'obiettivo del controllo (ad es. l’analisi dell'efficacia della spesa) risulta essere proprio questo.

Siffatta tipologia di analisi assume una rilevanza ben specifica alla luce delle puntuali linee-guida contenute nel Piano d'azione nazionale per l'occupazione 1998, ora riconfermate dallo stesso Piano per il 1999: gli interventi della formazione professionale non devono costituire, infatti, un palliativo per chi ne usufruisce, ma una occasione in più (opportunità) offerta all'individuo per entrare nella vita attiva (si ricordi che queste notazioni sono tratte da un referto sul tema della formazione professionale).

 

7. L'attività di valutazione del programma, d'altra parte, sconta i differenziati tempi d'avvio dei corsi rispetto alla conclusione della procedura di assegnazione delle risorse disponibili relative a un certo anno finanziario; così che nell'anno 1997 possono entrare, ad esempio, in esecuzione corsi che costituiscono parte del programma finanziario dell'anno 1996 o anche di anni precedenti.

Ugualmente, visitando un centro di formazione professionale, nel corso (ad esempio) del 1998, possono ritrovarsi attivati corsi il cui finanziamento si riferisce al programma dell'anno 1996; essendo articolato in un biennio, il primo anno è stato avviato ad esecuzione, il secondo, naturalmente, lo sarà dopo.

 

8. Il controllo sulla gestione, sotto il profilo della valutazione del programma, deve, tuttavia, rivolgere la sua attenzione al sistema amministrativo (centrale/periferico) che del perseguimento dei risultati è responsabile. Di esso, quindi, si deve avere cura di analizzare l'organizzazione e le risorse (umane, finanziarie, strumentali) che al suo funzionamento risultano assegnate.

 

9. I processi decisionali, che sono riferibili ai vari soggetti coinvolti nelle diverse fasi della programmazione, devono essere ugualmente sottoposti a verifica al fine di poter applicare via via ad essi indici che assumano una sempre maggiore significatività (tale, ad es., può essere quello inteso a misurare i tempi di conclusione del relativo procedimento di utilizzo delle risorse).

 

10. Nell'intento di porre in evidenza l'impatto che il sistema delle regole (disciplina), soprattutto quando sia elaborato aliunde (sede comunitaria), possa avere sulla cultura delle istituzioni nazionali (vari livelli di governo), la Corte dei conti ritiene che, sotto il profilo metodologico, sia opportuno far precedere l'analisi dal quadro delle attribuzioni che rientrano nella sfera decisionale dei soggetti (pubblici-privati) interessati alla politica pubblica in questione.

 

11. Occorre notare, a tal proposito, che il sistema normativo di fonte comunitaria ha, nei fatti, ridotto l'incidenza delle disposizioni elaborate dall'ente Regione[60] nei riguardi dei soggetti richiamati.

 

12. L'identificazione degli obiettivi di un programma (compreso quello relativo a determinati interventi formativi) si può qualificare l'atto presupposto necessario per costruire quel sistema di analisi che, nel rispetto della massima obiettività di giudizio conseguibile allo stato delle informazioni raccolte, sia in grado di indicare il grado di scostamento.

 

13. L'attività di valutazione richiede che si pervenga all'esposizione anche degli obiettivi che il Paese, nelle sue articolazioni politiche territoriali (Regioni-Province) ha ritenuto di esplicitare, per ciò che riguarda il ricorso alla formazione professionale come strumento di lotta alla disoccupazione, nei Piani d'azione nazionale per l'occupazione del 1998 e del 1999; obiettivi che vanno letti in relazione alla situazione economico-sociale propria di ciascuna Regione.

 

D'altra parte, nel 1999, si è concluso il processo decisionale, avviato nel 1998, promosso dalla Presidenza del Consiglio (D.P.C.M. 20.4.1999, n. 166), che ha portato alla individuazione di un centro di responsabilità operante a livello di Governo nazionale, con il compito di sottoporre a monitoraggio il complesso delle attività (misure) poste in essere dal Paese per combattere la disoccupazione.

 

14. Rientra nell'attività di controllo sulla gestione, riguardata sotto il profilo della valutazione di un piano/di un programma, lo svolgimento, da parte della Corte dei conti, di una attenta ponderazione dell'adeguatezza delle organizzazioni (audit organizzativo) impegnate ad assicurare adempimento alla diversa tipologia di funzioni che sono da riconnettere ai momenti di messa a punto/attuazione di un programma (annuale/pluriennale).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


15. A monte dell'attività di controllo sulla gestione, che la Corte dei conti ha ritenuto di dover effettuare (indagini specifiche), si avverte l'esigenza di individuare le organizzazioni che sono tenute a svolgere le suindicate funzioni, dalla cui interazione può discendere il corretto perseguimento degli obiettivi predefiniti (solo se essa si realizza, nei fatti, a scadenze prestabilite).

 

Queste riflessioni si dimostrano utili in quanto costituendo giurisprudenza di una certa quale significatività, forniscono la chiave di lettura dell'attività (para)giurisdizionale della Corte dei conti, che ha ad oggetto sempre e comunque, uno o più processi decisionali aventi incidenza diretta/indiretta su bilanci pubblici.


6. L'organizzazione della Sezione regionale di controllo; i rapporti con le Sezioni centrali.

 

La Sezione regionale di controllo, così come ha previsto il "Regolamento 2000", è costituita da:

 

a)  un organo monocratico con compiti di direzione e di impulso, oltre che di coordinamento, dell'attività dei magistrati assegnati alla Sezione (a tempo pieno; in aggiuntiva): il Presidente;

 

b)  un organo collegiale, che è coordinato dal Presidente e composto dai magistrati alla Sezione assegnati: il Collegio;

 

c)  un organo di supporto di natura tecnico-amministrativa: il Servizio. Esso può essere diretto da un funzionario anche con qualifica non dirigenziale.

 

I compiti del Presidente sono quelli propri di un organo con responsabilità direttive: compiti di governo, in generale, dell'attività di competenza della Sezione regionale, alla quale il "Regolamento del 2000" intesta il controllo sulla gestione nei riguardi di alcune istituzioni e la valutazione di piani/di programmi relativi all'esecuzione che le burocrazie devono assicurare alla legislazione che disciplina le diverse politiche pubbliche (stratificazione dei diversi livelli di governo).

 

Il Presidente può decidere (facoltà) di istituire due organi collegiali, a competenza differenziata: uno che si occupi delle questioni relative al controllo ex ante (preventivo di legittimità su atti delle burocrazie periferiche delle Amministrazioni statali); un altro che tratti il controllo ex post (anche quello "in itinere") esercitabile nei riguardi di tutte le Amministrazioni (statali e non) aventi sede nel territorio regionale.

 

Il Presidente ha il compito di assegnare a ciascun magistrato addetto il controllo (anche sotto il profilo della valutazione di un piano/di un programma) di una o più attività svolta/e da istituzioni che si occupano, nel territorio, della gestione di politiche pubbliche (indagini). Tale assegnazione, in effetti, si realizza in concreto attraverso la discussione che del programma annuale si fa, per l'anno successivo, entro il mese di novembre.

 

Dell'assegnazione della indagine/delle indagini, affidata/e a ciascun magistrato addetto alla Sezione a cura del Presidente, sarebbe opportuno tenere informate le competenti Sezioni centrali di controllo. Ciò corrisponde all'esigenza che le strutture indicate hanno: quella di dover svolgere un'azione di coordinamento dell'attività di controllo svolta sul territorio nazionale (per settori; per materie; per politiche pubbliche).

 

Il Presidente, in quanto responsabile del buon andamento dell'ufficio, è chiamato a stabilire, sulla base di analisi di fattibilità (carichi di lavoro valutati “ex ante” sulla base dell'esperienza maturata) curate da ciascun magistrato istruttore, l'entità del personale che è da considerare necessario all'attività investigativa.

 

Naturalmente l'allocazione delle risorse umane (assegnazione) richiede che siano rispettate le norme previste dalla contrattazione collettiva vigente; in genere, occorre dare informazione alla OO.SS. del personale della distribuzione del carico di lavoro così effettuata.

 

Di tale incombenza deve occuparsi il responsabile del Servizio, il quale è tenuto a riferire al Presidente, periodicamente in corso d'anno, del corretto utilizzo delle risorse umane.

 

Il Servizio si deve fare anche carico, a livello locale, dell'aggiornamento professionale del personale amministrativo e tecnico, ed anche del funzionamento della strumentazione tecnologica di cui risulti dotato il personale.

 

Tenuto conto della maggiore o minore rilevanza di ciascuna Sezione (dimensione), che è data in via sintomatica dal numero dei magistrati assegnati e da quello del personale amministrativo e tecnico in servizio, il Regolamento n. 14/2000 ha previsto che il Presidente della Corte possa stabilire quali tra esse debbano essere dirette da personale con qualifica dirigenziale. Si tratta di un processo di ridefinizione delle piante organiche riguardante il personale dirigenziale, che deve trovare una giustificazione logica nel fatto che occorrerà determinare uno spostamento verso la periferia di un certo numero di risorse umane, allo stato concentrate nelle strutture centrali.

 

Una particolare attenzione va posta all'organizzazione della Sezione regionale di controllo, che ha ormai la configurazione di una struttura attiva[61], non più passiva, nel senso che non resta – come lo è stata fino al 1994 – una struttura in attesa di "ricevere" gli atti da controllare[62].

 

E' bene ricordare che ciascun magistrato istruttore, che è anche referente, dovendo gli esiti della sua attività rifluire in una atto (decisione) che va  collegialmente votato, è tenuto ad aprire un "fascicolo di controllo", la cui tenuta (custodia e gestione) deve essere affidata a uno dei collaboratori che costituiscono il suo supporto tecnico-amministrativo (gruppo di lavoro).

 

In ogni caso, il responsabile del Servizio (organo di supporto, con compiti anche di segreteria, previsto dal "Regolamento del 2000") deve corrispondere alle esigenze di natura organizzativa che il magistrato istruttore può prospettargli. Ed esse possono essere soddisfatte solo se si impianta un modello organizzativo che privilegi la conoscenza approfondita dei dati/delle informazioni che sono utili alla funzione svolta (controllo®valutazione).

 

Si intende, infatti, proporre un modello di organizzazione del lavoro che privilegi l'acquisizione ragionata sia di "dati fisici" che di "dati contabili".

 

Pertanto, i "dati fisici" (legislazione di settore/per materia; struttura organizzativa per ogni istituzione; personale; procedure di lavoro) devono confluire in uno spazio della Sezione regionale al quale andrebbe assegnata "naturaliter" la denominazione di "Archivio delle istituzioni".

 

Mentre i "dati contabili", costituenti la documentazione riguardante i bilanci, i rendiconti, le contabilità speciali, devono confluire in uno spazio, sempre della Sezione regionale di controllo, alla quale andrebbe assegnata la denominazione di "Centrale dei bilanci".

 

Tale organizzazione risulta sperimentata da qualche anno (1995) dalla Delegazione regionale di controllo per il Lazio e, poi, (dal 1997) anche dal Collegio regionale di controllo[63].


L'analisi delle politiche pubbliche.

L'organizzazione della Corte dei conti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



L'attività di controllo della Corte dei conti.

Il necessario rapporto di collaborazione

tra "centro" e "periferia".

 

 

 

 

              ANALISI MACRO                                                        ANALISI MESO/MICRO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Sezioni Riunite in sede di controllo: art. 5, 4° comma.

Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato: art. 7, 5° comma.

Sezione Autonomie: art. 9, 3° comma.

Sezione Affari Comunitari/internazionali: art. 10, 4° comma.

 

Fonte: SS.RR. delib. n. 14/DEL/2000; SS.RR. delib. del 3 luglio 2003.


Gli strumenti della funzione di

coordinamento svolta dal “centro”

nei riguardi della “periferia”

 

 

 

Casella di testo: Livelli delle
indagini

 

 Strutture della

Corte dei conti

(posizione sul territorio)

 

 

 

 

 


     A.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


     B. Conferenza dei Presidenti delle Sezioni regionali di controllo (2)

 

 

 

     C.  Seminario permanente dei controlli (3)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


____________________

 

(1) SS.RR. in sede di controllo Delib. n. 4/DEL/2000 (ad. del 13.12.2000).

(2) SS.RR. Delib. n. 14/DEL/2000 (art. 5, 4° comma); abrogata da SS.RR. delib. del 3.7.2003

(3) SS.RR. Delib. n. 2/DEL/1997 (G.U.R.I. n. 145 del 24.6.1997).


7. La collaborazione prestata (dalle articolazioni periferiche) alle altre Sezioni di controllo (1994-2000): il caso della Delegazione regionale di controllo per il Lazio.

 

Come si è avuto modo di osservare, l'impatto della riforma voluta dal legislatore nel 1993 (cinque decreti-legge reiterati) ha trovato le articolazioni periferiche di quel tempo (Delegazioni regionali di controllo) impegnate a vistare (e registrare) migliaia di atti, soprattutto riguardanti le posizioni di carriera del personale della scuola e militare (docenti delle istituzioni scolastiche presenti sul territorio; personale del Ministero della Difesa e dell'Interno).

 

Il personale amministrativo e tecnico, ivi operante, risultava, quindi, poco impegnato nel riscontro della documentazione contabile che le dirigenze delle strutture periferiche erano tenute a trasmettere ai sensi dell'art. 60 del R.D. n. 2440 del 1923, modificato dall’art. 9, 5° comma, del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 367.

 

Tra l'altro il giudizio sui rendiconti/sulle contabilità speciali non risultava "completato" dalla valutazione del tipo di azione amministrativa/tecnica (servizi) posta in essere dalla dirigenza pubblica (analisi economica dell'organizzazione = controllo della produttività) [64]. E ciò nonostante il d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748.

 

Il controllo sui rendiconti costituiva anch'esso un controllo dalle caratteristiche statiche (su atti singoli); esso non era dinamico, cioè non si faceva da parte della Corte dei conti alcuno sforzo elaborativo per calcolare i costi dell'attività amministrativa/tecnica svolta (analisi della produttività = performance).

 

Nonostante le difficoltà incontrate per riconvertire (non solo) culturalmente il personale in servizio presso ciascuna struttura periferica, il personale di magistratura della Delegazione regionale di controllo per il Lazio ha dichiarato sempre una sostanziale disponibilità a prestare la sua collaborazione all'effettuazione di alcune indagini promosse per l'intero territorio nazionale:

 

a) l'indagine intersettoriale riguardante lo stato di esecuzione del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (anni 1994 ® 1995);

 

b) l'indagine intersettoriale in materia di informatica (anni 1998 ® 2000);

 

c) le indagini intersettoriali in materia di opere pubbliche/servizi pubblici (1994 ®).

 

Inoltre, è stata assicurata l'acquisizione di una serie di dati finanziari desumibili dai consuntivi degli enti locali (progetto Sirio); anche se, poi, esso è stato interrotto. Progetto quest’ultimo che dovrà essere ripreso, tenuto conto del fatto che l’art. 7, c. 7, della richiamata legge n. 131/2003 prevede che siano le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti a verificare: a) il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma; b) la sana gestione finanziaria degli enti locali; c) ed i funzionamento dei controlli interni, riferendo sugli esiti di tali verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati.


La Sezione regionale di controllo

(Regioni a statuto ordinario).

La composizione dell'organo

collegiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


O

R

G

A

N

O

 

 


C

O

L

L

Casella di testo:  
almeno 3 magistrati

 

Casella di testo: 1. istruttoria
2. decidente

 

E

G

 I

A

L

E

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: art. 2, 5° c., Delib. n. 14/DEL/2000 (SS.RR. del 16.6.2000).


La Sezione regionale di controllo

(Regioni a statuto ordinario).

La composizione; lo stato

giuridico dei magistrati addetti.

 

 

 

 

 

 

 

 


O

R

Casella di testo:  
Presidente di Sezione

 

G

A

N

O

O

 

 


C

Casella di testo: 1 magistrato (ex Capo Delegazione) collocato fuori ruolo
(art. 7, l. 20.12.1961, n. 1345)
 
1 magistrato (ex Direttore) collocato fuori ruolo
(art. 7, d.lgs. 5.5.1948, n. 589)
 
altri magistrati (nel numero definito dal Consiglio di Presidenza)

 

O

L

L

E

G

 I

A

L

E

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: artt. 2  e 12, 5° c., Delib. 14/DEL/2000 (SS.RR. adunanza del 16.6.2000).

Le due leggi richiamate prevedono la collocazione fuori ruolo dei due magistrati (Capo Delegazione – Direttore) con compiti di coordinamento e di direzione Con deliberazione n. 232/CP/2001 del 25.5.2001 si è deciso che «presso ciascuna Sezione regionale di controllo: due magistrati più anziani in ruolo sono collocati fuori ruolo ai sensi dell'art. 7 della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 e dell'art. 7 del d.lgs. 5 maggio 1948, n. 989».


 

La Sezione regionale di controllo

(Regioni a statuto ordinario).

La composizione; lo stato

giuridico dei magistrati addetti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


O

R

G

Casella di testo: 1 magistrato (ex Capo Delegazione) collocato fuori ruolo
(art. 7, l. 20.12.1961, n. 1345)
 
1 magistrato (ex Direttore) collocato fuori ruolo
(art. 7, d.lgs. 5.5.1948, n. 589)
 
altri magistrati (nel numero definito dal Consiglio di Presidenza)

 

A

N

O

 

C

O

L

L

E

Casella di testo: 2 esterni, equiparati a consigliere, designati uno dal Consiglio Regionale
e uno dal Consiglio delle autonomie locali/dal Presidente del Consiglio
Regionale (in alternativa)

 

G

 I

A

L

E

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: art. 7, c. 9, l. 5 giugno 2003, n. 131.


La Sezione regionale di controllo

(Regioni a statuto ordinario).

La composizione; lo stato giuridico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: art. 2, 5° e 6° c., Delib. n. 14/DEL/2000 (SS.RR. adunanza del 16.6.2000).


La Sezione regionale di controllo

(Regioni a statuto ordinario).

L'organizzazione del lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: Presidente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: controllo di legittimità
 
·       preventivo
·       successivo
relativamente ad atti emanati da istituzioni statali operanti nel territorio regionale
Casella di testo: controllo sulla gestione (valutazione di piani-programmi)
 
·       ex ante
·       concomitante (monitoraggio)
·       ex post
relativamente a istituzioni operanti nel territorio regionale (politiche pubbliche a competenza fisica delimitata)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: art. 2, 6° c., Delib. n. 14/DEL/2000


 

La Sezione regionale di controllo

(Regioni a statuto ordinario).

L'organizzazione del lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: Presidente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: attribuisce le indagini di controllo sulla gestione all'inizio di ciascun anno
Casella di testo: attribuisce gli incarichi relativi all'istruttoria degli atti soggetti a controllo di legittimità

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: art. 2, 5° e 6° c., Delib. n. 14/DEL/2000 (SS.RR. ad. del 16.6.2000)


7.

 

Attuazione dell'articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative.

 

(omissis)

 

7. La Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati. Resta ferma la potestà delle Regioni a statuto speciale, nell'esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità. Per la determinazione dei parametri di gestione relativa al controllo interno, la Corte dei conti si avvale anche degli studi condotti in materia dal Ministero dell'interno.

 

8. Le Regioni possono richiedere ulteriori forme di collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai fini della regolare gestione finanziaria e dell'efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica. Analoghe richieste possono essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito, anche da Comuni, Province e Città metropolitane.

 

9. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti possono essere integrate, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, da due componenti designati, salvo diversa previsione dello statuto della Regione, rispettivamente dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali oppure, ove tale organo non sia stato istituito, dal Presidente del Consiglio regionale su indicazione delle associazioni rappresentative dei Comuni e delle Province a livello regionale. I predetti componenti sono scelti tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche, economiche, finanziarie, giuridiche e contabili; i medesimi durano in carica cinque anni e non sono riconfermabili. Lo status dei predetti componenti è equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell'incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della Regione. La nomina è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, con le modalità previste dal secondo comma dell'articolo unico del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 1977, n. 385. Nella prima applicazione delle disposizioni di cui al presente comma e ai commi 7 e 8, ciascuna sezione regionale di controllo, previe intese con la Regione, può avvalersi di personale della Regione sino ad un massimo di dieci unità, il cui trattamento economico resta a carico dell'amministrazione di appartenenza. Possono essere utilizzati a tal fine, con oneri a carico della Regione, anche segretari comunali e provinciali del ruolo unico previsto dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, previe intese con l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali o con le sue sezioni regionali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: art. 7, L.  5 giugno 2003, n. 131



* Intervento al COM-PA 2003 di Bologna

 

* L’Autore ringrazia per la preziosa opera di collaborazione svolta nella redazione di questo scritto la Dott.ssa Celestina Mellone.

[1] R. BIN, A. MASSERA, C. PINELLI, A guisa di postfazione, nel volume Ordinamento comunitario e pubblica amministrazione, a cura di A MASSERA, edito dal Mulino, 1994, 635.

[2] Cfr., tra gli altri: A. TIZZANO, Note introduttive alla “legge La Pergola”, in Foro it., 1989, IV, 314 s.; A. LA PERGOLA, Il recepimento del diritto comunitario. Nuove prospettive del rapporto tra norme interne e norme comunitarie alla luce della legge 9 marzo 1989, n. 86. La Corte costituzionale tra diritto interno e diritto comunitario, Milano, 1991, 9 s.; M. MORISI, La legge comunitaria in Parlamento, in ASSOCIAZIONE PER GLI STUDI E LE RICERCHE PARLAMENTARI, Quaderno n. 2, Milano, 1992, 209 s.; M. C. PENSOVECCHIO, La legge comunitaria nel quadro dei rapporti tra legislativo ed esecutivo, in Archivio di diritto costituzionale, 1992, n. 2, 259 s.; F. ZAMPINI, L’Italia, en amont du manquement…Un problème de compètences entre l’executif, le parlement et les règions, in Revue trimestrielle de droit européen, 1994, 195 s.; A. CELOTTO, voce Legge comunitaria, in Enc. giur., vol. XVIII, Roma, 1995, 1 s.; M. T. CALABRO’, La legge comunitaria: contenuti, procedimento e controlli parlamentari, in CAMERA DEI DEPUTATI, Il Parlamento della Repubblica. Organi, procedure, apparati, 6, Roma, 1998, 311 s.

[3] Cfr. V. LIPPOLIS, Il parlamento nazional-comunitario, in Quad. cost., 1991, 319 s.

[4] L’attenzione dell’opinione pubblica all’epoca era prevalentemente rivolta soprattutto alle direttive attraverso le quali si veniva a realizzare l’obiettivo del mercato interno, con la libera circolazione di beni, persone, capitali e servizi, che l’Atto unico europeo, siglato nel 1986 ed entrato in vigore l’anno successivo, aveva fissato per il 31 dicembre 1992. Incidentalmente, si può ricordare che alla maggior parte di tali direttive si diede attuazione attraverso una legge per più versi “anomala” e formalmente non soggetta alla disciplina di cui alla legge n. 86/89: il riferimento è alla c.d. mini-comunitaria, contenente-appunto-disposizioni per l’attuazione di una serie di direttive relative al completamento del mercato interno, che ha di fatto preso il posto della legge comunitaria 1992, il cui disegno di legge, decaduto con lo spirare della X legislatura, non è stato più ripresentato in quella successiva (cfr. al riguardo, A. ADINOLFI, “Procedure accelerate” per l’attuazione di direttive comunitarie: il fine giustifica i mezzi?, in Riv. dir. internaz., 1992, 1032 s., G.GRASSO, Alcune osservazioni sulla legge 19 dicembre 1992, n. 489: una “leggina” comunitaria per l’Italia, in Quaderni regionali, 1993, 779 s.).

[5] Cfr. A. MANZELLA, Il Parlamento, II ed., Bologna, 1991, 257.

[6] Cfr. in proposito PERAINO, Il ruolo della Commissione Politiche dell’Unione europea nell’esame del disegno di legge comunitaria: problematiche attuali e prospettive di riforma, Roma, 1997. In senso analogo si esprime anche CALABRO’, La legge comunitaria, contenuti, procedimento e controlli parlamentari, Roma, 1997. Per un interessante contributo su questa materia vedi anche POLVERARI, Il ruolo della commissione Politiche dell’Unione europea nelle procedure parlamentari di partecipazione al processo normativo comunitario, Roma, 1997.

[7] Sullo scarso coordinamento nelle politiche di attuazione del diritto di fonte europea v. A RUGGERI, L’ordinamento della Presidenza del Consiglio in rapporto alle Comunità europee: lineamenti di un assetto incompiutamente definito nel piano della norma e delle oscure, confuse esperienze, in Riv. dir. pubbl. com., 1189, 1994.

[8] Sulle vicende e sul correlativo dibattito intorno alle istituzioni del Ministro senza portafoglio per il coordinamento interno delle politiche comunitarie si può consultare in particolare A. CALAMIA/G. MORVIDUCCI, Istituzione di un ministero per gli affari comunitari? In Riv. dir. int., 1977, 822 ss.; A MASSAI, Il coordinamento interno delle politiche comunitarie, in Quad. cost., 1982, 481 ss.; C. ROMANELLI GRIMALDI, I ministri senza portafoglio nell’ordinamento giuridico italiano, Padova, 1984, 57 ss..

[9] Sul tema dell’organizzazione amministrativa italiana per la gestione dei rapporti con la Comunità europea cfr. e multis M. P. CHITI, Il coordinamento delle politiche comunitarie e la riforma degli apparati di governo, in Associazione per gli Studi e le Ricerche Parlamentari. Quaderno n. 1. Seminari 1989-1990, Milano, 1991, 235 ss.; A RUGGERI, L’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri in rapporto alle Comunità europee: lineamenti in assetto incompiutamente definito sul piano delle norme e dalle oscure, confuse esperienze, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1994, 1189 ss.; G. DELLA CANANEA, Integrazione europea e organizzazione amministrativa: i nuovi rapporti fra i ministri e i loro apparati, in Politici e burocrati al governo dell’amministrazione, a cura di G. D’AURIA e P. BELLUCCI, Bologna, 1995, 149 ss.; S. CASSESE, L’architettura costituzionale della Comunità europea dopo Maastricht e il posto dei poteri locali, ora in Scritti in onore di A. Predieri, Milano, 1996, t. I, 415 ss.; infine, F. ASTONE, Le amministrazioni nazionali nel processo di formazione ed attuazione del diritto comunitario, Giappichelli, 2003, in corso di pubblicazione.

[10] Sul punto cfr. S. CASSESE, La regola e le deroghe. Il sistema politico amministrativo italiano e le direttive comunitarie, in Scritti su le fonti normative e altri temi di vario diritto in onore di V. Crisafulli, Padova, 1985, in particolare 129 ss.

[11] Sul punto M. P. CHITI, L’amministrazione per il coordinamento delle politiche comunitarie nelle recenti riforme, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1991, 11; PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA, La riforma della pubblica amministrazione. Vol. IV. La pubblica amministrazione e l’Europa, Roma, 1994.

[12] Tale partecipazione si distingue, come è noto, in una “fase ascendente”, nel corso della quale gli organi dello Stato italiano collaborano in vario modo alla creazione del diritto da parte degli organi comunitari, ad una “fase discendente”, nel caso della quale essi si adoperano per assicurare l’applicazione delle regole che in tal modo sono state poste. Quanto alla seconda fase è noto come i problemi si pongono in modo differente nel caso dei “regolamenti” adottati dagli organi dell’Unione e nel caso delle “direttive” da essi rivolte agli Stati membri. Mentre infatti nel primo caso si ha un’attività normativa non soggetta a particolari limitazioni di efficacia, nel caso delle direttive una limitazione di origine generale deriva dal fatto che esse si rivolgono agli Stati, cui vengono ad addossare l’obbligo di conseguire il risultato che esse si prescrivono, “salvo restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi” da utilizzare a tal fine (ex art. 189 Trattato CE). Ciò ha indotto, come è noto, la giurisprudenza comunitaria ad escludere che le direttive abbiano effetto “orizzontale”, cioè nei rapporti fra i cittadini, riservando tale effetto ai rapporti fra Stato e Comunità, ma non ha impedito però alla stessa giurisprudenza di ammettere la possibilità che un cittadino possa rivendicare il risarcimento di danni derivategli dalla mancata attuazione di una direttiva da parte dello Stato, né di ammettere che direttive contenenti una disciplina dettagliata di una certa materia possano determinare i loro effetti senza bisogno di norme di attuazione.

[13] Ma vedi il Progetto di Costituzione europea che introduce una notevole semplificazione nel sistema degli atti e delle fonti dell’Unione, raggruppandoli in alcune tipologie fondamentali (art. 32, par.1). Sul punto cfr. F. BASSANINI - G. TIBERI, Una Costituzione per l’Europa, Il Mulino, 2003, 147 ss. e F. ASTONE, Le amministrazioni nazionali……cit., Giappichelli, 2003, in corso di pubblicazione, in specie Parte II, L’Unione europea tra governance e riforma delle Istituzioni.

[14] Cfr. per l’ordinamento francese P. MANIN, La Constitution française et la construction européenne, in Le riforme istituzionali e la partecipazione dell’Italia all’Unione europea, a cura di S. PANUNZIO ed E. SCISO, Giuffrè, 2002, 277 ss; e KARIN OELLERS – FRAHM, The European Integration: Constitutional Aspects in Germany, ivi, 291 ss.

[15] Sul ruolo dei Parlamenti nazionali nel progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa cfr. ora C. MORVIDUCCI, Convenzione europea e Parlamenti nazionali: quale ruolo?, in Riv. it. dir. pubbl. com., 3/4 2003, 551, ss. Si potrebbe, dunque, ipotizzare innanzitutto - sulla falsariga di quanto già avviene in Francia e Germania - una disciplina costituzionale dell'intervento parlamentare nella definizione del diritto comunitario. In particolare, si potrebbe prevedere che il Governo sia obbligato, dopo avere informato le Camere delle proposte di atti normativi comunitari, a tenere conto delle eventuali prese di posizione da esse adottate a seguito di tali comunicazioni. Una simile disposizione garantirebbe peraltro la «copertura» costituzionale delle norme attualmente vigenti che disciplinano la trasmissione dal Governo al Parlamento delle proposte di atti comunitari; norme che non hanno ancora trovato pratica attuazione, per inadempienza del Governo rispetto agli obblighi di trasmissione. Appare comunque necessario un consolidamento organico di tali norme (in particolare l'articolo 14 della legge n. 128 del 1998 e l'articolo 3 della legge n. 209 del 1998), che non sono tra loro coordinate, al fine di garantire che siano trasmessi alle Camere, contestualmente alla loro ricezione da parte del Governo, non solo i progetti di atti normativi e di indirizzo all'esame dei competenti organi ed istituzioni della Comunità europea e le eventuali modifiche, ma anche gli atti preordinati alla formulazione degli stessi che tra i progetti e gli atti di cui al punto precedente siano ricompresi anche quelli relativi ai settori della giustizia e affari interni e della politica estera e di sicurezza; che sia garantita alle Commissioni parlamentari la possibilità di formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. Sotto questo profilo potrebbe essere utile prevedere a carico del Governo l’obbligo di attendere la pronuncia del Parlamento - che dovrebbe essere resa in un tempo determinato con certezza, sulla scorta delle indicazioni del protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali - prima di prendere posizione in sede comunitaria. Se non per tutti gli atti trasmessi al Parlamento, tale obbligo potrebbe essere fatto valere - seguendo il modello inglese della riserva di scrutinio parlamentare - almeno per quelli presi in considerazione dalle Camere, dei quali quindi sia stato avviato l'esame da parte delle competenti Commissioni.

[16] Sull’evoluzione del ruolo delle Regioni e delle autonomie locali nel processo di integrazione vi è una abbondantissima letteratura: per essa cfr. ex multis A. DI BLASE, La partecipazione delle Regioni e delle province autonome al processo di formazione del diritto comunitario, ne Le riforme istituzionali…..cit., a cura di S.P. PANUNZIO e E. SCISO, Giuffrè, 2002, 183 ss. con ampia bibliografia ivi citata; ma anche F. PIZZETTI, Il nuovo ordinamento italiano tra riforme amministrative e riforme costituzionali, Giappichelli, 2002; B. CAROVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato, Regioni, ed autonomie tra Repubblica e Unione europea, Giappichelli, 2002; S. GAMBINO¸ Regionalismo, federalismo, devolution. Confronti europei, Giuffrè, 2003.

[17] In senso cooperativo sembrava appunto andare già l’art. 11 L. n. 86 del 1989, con l’attribuzione al Consiglio dei Ministri della facoltà di trasferire l’esercizio dei poteri sostitutivi in caso di inadempimento regionale in materia comunitaria, ad una Commissione, della quale è previsto faccia parte anche un componente designato dall’ente regionale inadempiente. Sulla legittimità costituzionale di tale disposizione è intervenuta, tra l’altro, la Cc, che, nella sent. 460/89, ha affermato che detta norma non viola l’autonomia regionale, in quanto tende ad ulteriormente rafforzare le garanzie, sia di ordine sostanziale che formale, già presenti nel procedimento di sostituzione statale. Per un interpretazione legittimante i poteri sostitutivi statali nella sfera degli adempimenti regionali degli obblighi comunitari si v. PINELLI, Stato, Regioni ed obblighi comunitari, in specie 826 – 829.

[18] Al voto dell’Assemblea si è giunti dopo il lavoro in sede referente svolto presso la XIV Commissione, con l’apporto consultivo delle Commissione Affari costituzionali, Giustizia, Affari esteri e Bilancio, oltre che dalla Commissione per le questioni regionali e del Comitato per la legislazione.

[19] I progetti in esame presentati nella precedente legislatura tendono ad introdurre una normativa organizzatoria e procedimentale, che riconduce alla sede parlamentare la visione unitaria del processo di adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento comunitario e che, in ogni caso, non esclude la possibilità di attuazioni specifiche di singole direttive con autonomi provvedimenti legislativi nell'esame dei quali il Parlamento assuma in pieno il ruolo di legislatore sostanziale. Nella Relazione che accompagna il disegno  di legge si legge che “le vicende parlamentari che hanno contraddistinto l'approvazione delle ultime leggi comunitarie hanno evidenziato la necessità di un perfezionamento delle previsioni della legge n. 86 del 1989 relative alla definizione del contenuto proprio della legge comunitaria, alle quali lo stesso regolamento della Camera, all'articolo 126-ter, comma 4, fa implicitamente rinvio per circoscrivere il regime di ammissibilità degli emendamenti. Si è, infatti, posta in più occasioni la questione riguardante la possibilità che la legge comunitaria, oltre agli interventi finalizzati all'attuazione di direttive non ancora recepite nell'ordinamento nazionale, contenga disposizioni volte a modificare vigenti norme legislative attuative di direttive purché ciò non comporti la trasformazione della legge comunitaria in un provvedimento omnibus nel quale siano inserite previsioni del tutto sganciate da effettive esigenze di adeguamento all'ordinamento comunitario”. Deve essere, infatti, conservata la natura della legge comunitaria quale legge anzitutto finalizzata in linea di principio all'adempimento di obblighi comunitari non ancora soddisfatti (o soddisfatti solo in modo parziale o inesatto), senza negare, tuttavia, la possibilità che la legge comunitaria rappresenti anche l'occasione per un aggiornamento delle normative di attuazione già esistenti, da effettuarsi in casi di particolare urgenza adeguatamente motivata e sempre che il nuovo intervento non ponga la preesistente disciplina nazionale in contrasto con la normativa comunitaria. Egualmente avvertita è l'opportunità di rimarcare maggiormente nell'impianto della legge La Pergola il nesso funzionale che deve intercorrere tra partecipazione alla fase ascendente delle direttive e loro successiva trasposizione nell'ordinamento nazionale. Una più incisiva partecipazione alla fase ascendente consente, infatti, di evitare che una debole rappresentazione degli interessi nazionali nella fase di elaborazione delle norme comunitarie si ripercuota criticamente sulla fase discendente, convogliando in quest'ultima rivendicazioni e aspettative non soddisfatte dalla normativa europea. Come sottolineato nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla qualità e sui modelli di recepimento delle direttive comunitarie, approvato dalla XIV Commissione l'11 ottobre il problema della qualità e della tempestività dell'attuazione delle norme comunitarie va risolto soprattutto durante la fase ascendente poiché è in questa fase che “si ha la possibilità di influenzare i lavori, per fare in modo che la direttiva abbia il più possibile le qualità per essere facilmente applicabile nell'ordinamento interno”. In tale ottica, ad un miglioramento delle procedure di formazione della posizione italiana nei negoziati comunitari può corrispondere una relativa semplificazione delle procedure di recepimento, attraverso il rafforzamento del potere del Governo di attuare le direttive in via regolamentare e la valorizzazione dei compiti attuativi delle Regioni.

[20] Così nella Relazione della XIV Commissione permanente (Politiche Dell’Unione Europea) presentata alla Presidenza il 16 giugno 2003 sulla proposta di legge n. 3071 (Modifiche alla legge 9 marzo 1989, n. 86, concernenti il rafforzamento della partecipazione dell’Italia al processo di formazione delle decisioni dell’Unione Europea) presentata il 25 luglio 2002; sul disegno di legge n. 3123 (Modifiche ed integrazioni alla legge 9 marzo 1989, n. 86, recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari) presentato il 2 settembre 2002; e sulla proposta di legge n. 3310 (Modifiche alla legge 9 marzo 1989, n. 86, recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari) presentata il 24 ottobre 2002.

[21] Il testo unificato prevede infatti che oltre alla trasmissione – già contemplata dalle disposizioni vigenti – dei progetti di atti normativi comunitari e di indirizzo e delle loro modificazioni, nonché dei progetti e atti relativi alle misure previste dai titoli V e VI del Trattato sull’Unione Europea (rispettivamente politica estera e di sicurezza comune e cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), siano trasmessi alle Camere, alle Regioni ed agli enti locali anche i documenti di consultazione della Commissione europea quali i libri bianchi, libri verdi, e comunicazioni e sia assicurata un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi, curandone il costante aggiornamento. Tale previsione è volta ad integrare l’obbligo posto a carico del Governo – già contenuto nell’articolo 1-bis della legge La Pergola – di informare, al momento della trasmissione degli atti in questione, circa la data presunta della discussione degli atti comunitari e della loro adozione. Accanto a tali previsioni è stata introdotta una specifica procedura tesa a garantire  sia al Parlamento sia alle Regioni di essere tempestivamente informati sulle proposte e sulle materie che risultano inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea. Tale meccanismo è completato dalla previsione in base alla quale il Governo, prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, riferisce alle Camere, illustrando la posizione che il Governo intende assumere nonché, su loro richiesta, ai competenti organi parlamentari prima delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea. Infine, si prevede che entro quindici giorni dallo svolgimento di tali riunioni il Governo informi i competenti organi parlamentari sulle risultanze delle stesse. La procedura delineata, che ricalca quella già utilizzata con successo in alcuni paesi dell’Unione europea,  dovrebbe consentire di poter disporre delle informazioni necessarie nell’ambito di un quadro temporale di riferimento e di poter così intervenire tempestivamente in tale fase, evitando il rischio di dispersione della documentazione e delle informazioni (così la Relazione che accompagna il testo unificato).

[22] Cfr. M. CARTABIA e J.H.H. WEILER, L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, 141 ss.

[23] I due periodo virgolettati sono tratti da P. GAMBALE, “Prima lettura” del Parlamento per le modifiche alla legge “La Pergola”: una nuova cornice normativa per definire la partecipazione del “sistema Italia” nelle politiche U.E.?, in Amministrazione in cammino, Rivista elettronica a cura del centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet” – Luiss Guido Carli, luglio 2003.

[24] Tale previsione è stata inoltre rafforzata stabilendo che, su richiesta delle Commissioni parlamentari, il Governo trasmetta una relazione tecnica che dia conto dello stato dei negoziati, delle eventuali osservazioni espresse da soggetti già consultati nonché dell’impatto sull’ordinamento, sull’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull’attività dei cittadini e delle imprese, informazioni di primaria importanza per poter disporre di un quadro informativo ampio e completo che consenta al Parlamento di elaborare osservazioni ed indirizzi tenendo conto di tutti gli elementi necessari.

[25] Si prevede inoltre che debbano anche indicarsi le iniziative assunte ed i provvedimenti conseguentemente adottati nonché l’elenco e le motivazione dei ricorsi presentati presso la Corte di Giustizia delle Comunità europee avverso decisioni del Consiglio o della Commissione delle Comunità europee. Tali modifiche sono volte a superare i rilievi più volte evidenziati nel corso del relativo esame, in ordine alla necessità che in tale documento sia posta un’attenzione prevalente alla fase ascendente del diritto comunitario e, quindi, agli atti ed alle politiche in corso di definizione nell’ambito dell’Unione – con particolare riferimento al seguito dato agli atti di indirizzo formulati dal Parlamento – nonché alla situazione del contenzioso in atto con un’indicazione puntuale delle procedure che interessano o che hanno interessato, per l’anno di riferimento, l’Italia. Diversamente, infatti, il rischio – più volte evidenziato – è quello che un’illustrazione «a consuntivo» delle attività svolte nell’ambito dell’Unione produca un documento in gran parte superato dai successivi eventi (considerata la discrasia temporale con cui viene esaminata dalle Camere soprattutto quando questo avviene « in seconda lettura ») e, quindi, di dubbia utilità per il Parlamento.

[26] Nella relazione che accompagna il testo unificato si rileva come l’esigenza di riformare lo strumento della legge comunitaria derivi dalla circostanza che l’Italia si trovi tuttora al penultimo posto nella graduatoria per i casi di infrazione della legislazione del mercato interno. Inoltre, per quanto riguarda la situazione del contenzioso, vi è l’esigenza per il Parlamento – più volte evidenziata da questa Commissione – di poter disporre con cadenza periodica di informazioni organiche ed aggiornate sulle varie fasi delle procedure avviate e sugli interventi a tal fine assunti dal Governo italiano: solo in tale modo, infatti, sarebbe in grado di intervenire, per quanto di propria competenza, per sanare le situazioni di incompatibilità rilevate in sede comunitaria. Fondamentale appare infatti riuscire ad individuare meccanismi rapidi ed efficienti sia nella definizione della posizione italiana da sostenere in sede comunitaria sia nella fase di attuazione e di recepimento della normativa comunitaria cercando di evitare in tutti i modi che il nuovo riparto di competenze comporti un aggravio rispetto alla situazione attuale e facendo invece in modo di individuare meccanismi efficaci di coordinamento tra tutte le amministrazioni interessate.

[27] Occorre tuttavia sottolineare come l’applicazione di tale procedura - che si potrebbe definire «legge comunitaria complementare» - dovrà essere prevista per i soli casi di assoluta ed indifferibile urgenza rimanendo in ogni caso la legge comunitaria lo strumento cardine per il recepimento e l’adeguamento agli obblighi comunitari. Tale procedura dovrà infatti consentire di superare eventuali ritardi nella fase attuativa senza che questo dia però luogo ad una frammentazione della procedura vigente per la trasposizione delle direttive comunitarie il cui elemento principale è proprio quello dell’omogeneità e dell’unitarietà della disciplina.

* Relazione conclusiva del Convegno su “Uno sguardo italiano alla Conferenza IIAS di Yaounde “Shared Governance: Combatting poverty and exclusion”, organizzato dall’Istituto Italiano di Scienze amministrative e dall’Università degli studi di Pavia il 14 marzo 2003. Il Convegno aveva lo scopo di stimolare una riflessione della dottrina italiana sul tema della Seconda Conferenza Internazionale Regionale, svoltasi a Yaoundé (Cameroon) il 14-18 luglio 2003 su iniziativa dell’IIAS (International Institute of Administrative Sciences) in collaborazione con il Cameroon Ministry of the Civil Service and Administrative Reform.

 

 

[28] G. De Minico, Dal Libro bianco sulla "Governanza" all'incontro di Laeken del 2001, "Rivista italiana di diritto pubblico comunitario", 2001, p. 877.

[29] La traduzione proposta è di Fausto Capelli (La partecipazione della società civile alla costruzione dell'Unione politica dell'Europa, "Diritto comunitario e degli scambi internazionali", n. 4/2001, p. 652) che la mutua dall'affresco di Ambrogio Lorenzetti, raffigurante l'allegoria del "Buon Governo", contrapposta a quella del "Cattivo Governo",  che si trova nella Sala dei Nove del Palazzo pubblico di Siena.

[30] Una silloge di definizioni (tra le quali quelle citate nel testo) è riportata in M. Demers, La gouvernance de la gouvernance: Faut-il freiner l'engouement?, in Institut International des Sciences Administratives, Gouvernance: concepts et applications - Governance: concepts & applications, edited by J. Corkery, 1999, p. 367. Si v. pure, Undesa - Iias, The Turning World, Globalisation and Governance at the Start of the 21st Century, edited by G. Bertucci and M. Duggett, 2002; Institut International des Sciences Administratives - Institut Hellenique des Sciences Administratives, La conduite de l'action publique au XXIème siècle: nouvelles logiques, nouvelles techniques - Governance and Public Administration in the 21st Century: New Trends and New Techniques, Athènes, Juillet 2001.

[31] F. Pizzetti, Le nuove esigenze di governance in un sistema policentrico "esploso", "Le Regioni", n. 6/2001, p. 1153.

[32] Commissione delle Comunità europee, La Governance europea. Un libro bianco, Bruxelles, 5.8.2001, COM(2001) 428 definitivo/2, p. 8.

[33] R. Dahl, Intervista sul pluralismo, a cura di G. Bosetti, Laterza, 2002, p. 17 e G. Lunati, Il senso della poliarchia. Non tutto è concesso in nome del popolo, "Corriere della Sera", 9.3.2003.

[34] "L'icona del XX secolo è l'atomo,  metafora dell'individualità. Il simbolo del XXI secolo è la rete. La rete non ha centro, né orbita, né certezza; è una ragnatela indefinita di cause; è l'archetipo usato per rappresentare ogni circuito, ogni intelligenza, ogni interdipendenza". K. Kelly, Nuove regole per un nuovo mondo, TEA, 2002, p. 17.

[35] L. Bianchi, Considerazioni introduttive, "Rivista delle Società", n. 41, 1996,  p. 406.

[36] Per indicazioni bibliografiche, v. il citato saggio di Maurice Demers, p. 373 e 375.

[37] E' ciò che fanno l'International Institute of Administrative Sciences e il Cameroon Ministry of the Civil Service and Administrative Reform nel documento di presentazione della Conferenza internazionale. 

[38] Istat, Note rapide, 17 luglio 2002.

[39] Per i dati sulla situazione della povertà in Italia, v. Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Piano nazionale per l'inclusione. 2001, giugno 2001, p. 7 sg.

[40] Nella letteratura internazionale, per politica di inclusione sociale si intende un processo di mobilità sociale ascendente che riguarda interi strati di popolazione marginalizzati per motivi sociali o geografici. In Italia, l’area concettuale dell’espressione è più ristretta, in quanto fa riferimento ad alcune categorie deboli. Studio Cevas (a cura di L. Leone), Rapporto di ricerca Vides, Valutare le politiche per l'inclusione sociale, Roma, 2001, p. 70.

[41] Comunicazione al Convegno The European Union "Institutional Approach" to Poverty: a Review.

[42] R. Dahrendorf, Dopo la democrazia. Intervista a cura di A. Polito, Laterza, 2001, p. 13.

[43] Secondo R.A. Dahl (I dilemmi della democrazia pluralista, Est, 1996, p. 36), l'autonomia delle organizzazioni economiche, in particolare le imprese e i sindacati,  è allo stesso tempo un fatto, un valore e fonte di pericoli. In tema, v.  pure P. Hirst & G. Thompson, Globalization in Question: The International Economy and the Possibilities for Governance, Cambridge, Polity Press, 1999.

[44] R.A. Dahl, I dilemmi della democrazia pluralista, cit., p. 19.

[45]  Le modifiche riguardano le esigenze: (a) di invitare gli Stati  membri a fissare nei loro piani nazionali, obiettivi miranti a ridurre significativamente, entro il 2010, il numero di persone che rischiano la povertà e l'esclusione sociale; (b) di tenere conto nell'attuazione dei piani nazionali delle questioni di genere; (c) di mettere in rilievo l'elevato rischio di povertà  di determinate categorie di uomini e donne. Consiglio dell'Unione europea, Bruxelles, 25 novembre 2002 (29.11) (OR en) - 14164/1/02 - REV 1 - SOC 508,  p. 2.

[46] Commissione europea, Costruire una Europa  inclusiva, COM (2000) 79 finale.

[47] L'articolo 1, comma 1, della legge n. 328 del 2000 stabilisce che la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione.

[48] Il decreto legislativo stabilisce che il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso risorse pubbliche,  livelli essenziali e uniformi di assistenza nel rispetto dei principi della dignità della persona, del bisogno della salute, dell'equità nell'accesso all'assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, dell'economicità nell'impiego delle risorse. N. Dirindin, Lea: Diritti dei cittadini e obblighi delle regioni, "Politiche sanitarie", 3, 1, 2002, p. 1.

[49] Commissione delle Comunità europee, La governance europea, cit., p. 15.

[50] Gli altri requisiti delle associazioni sono:  un grado minimo di istituzionalizzazione (circostanza che le distingue dai raggruppamenti informali), indipendenza dai pubblici poteri e gestione disinteressata. Commissione delle Comunità europee, Sulla promozione del ruolo delle associazioni e delle fondazioni in Europa, Bruxelles, 06.06.1997 COM (97) 241 def. p. 2.

[51] D. Antiseri, Introduzione a K. Popper, Come controllare chi comanda, Ideazione, 1996, p. 13.

[52] R. Dahrendorf, Dopo la democrazia, cit.,  p. 93. Per altre considerazioni critiche, v. G. De Minico, Dal Libro bianco sulla Governanza all’incontro di Laeken del 2001, cit., p. 878.

* Intervento al Forum P.A. 2003 a Roma

[53] E’ la legge 27.12.2002, n. 289, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziarie 2003)”

 

[54] Nelle Regioni a Statuto speciale, l'articolazione periferica della Corte dei conti si è da sempre chiamata "Sezione regionale di controllo" (ad eccezione della Valle d'Aosta) dove per diverso tempo è risultata operativa una specifica Commissione di controllo.

[55] Pubblicata in G.U.R.I. n. 275 del 24.11.2000; essa reca «Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi». Ma era proprio questo il provvedimento legislativo in cui si sarebbe dovuto parlare di controllo indipendente esterno?

[56] Non si interrompe più il periodo che è stato sempre normativamente considerato feriale per le altre magistrature (il periodo 1° agosto – 15 settembre): così è previsto, ormai, dall'art. 27 della legge n. 340/2000. Una disposizione che dovrà essere abrogata al più presto.

[57] Nel corso di indagini svolte da magistrati istruttori della Delegazione regionale di controllo per il Lazio, si è richiesta l'assistenza della Guardia di Finanza per fotografare/riprendere cinematograficamente lo stato dei luoghi di alcuni edifici scolastici, la cui ristrutturazione era avvenuta senza alcun criterio logico (sistemazione di aule senza adeguata preventiva riparazione del tetto sovrastante).

[58] Occorre richiamare anche le sentenze n. 470/97 e n. 181/99.

[59] Le pagine sono tratte da Corte dei conti, Collegio regionale di controllo per il Lazio – Referto al Consiglio Regionale per l'anno 1998, Ed. Corte dei conti, Roma, 1999, pagg. 295-298 e 300. In esse si trovano giudizi in merito alla gestione della politica pubblica della formazione professionale.

[60] La "catena" delle istituzioni pubbliche interessate dalla programmazione si è allungata: la presenza dell'ente Provincia risulta istituzionalizzata, nella Regione Lazio, con la L.R. 6 agosto 1999, n. 14 («Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo»); in particolare, si vedano gli articoli 158 e 159.

[61] Tale organo non si muove "contro" le istituzioni, ma "verso" di esse; solo una perfetta conoscenza degli apparati consente di esprimere un giudizio ricco di osservazioni utili e puntuali per migliorare la gestione di competenza delle burocrazie, la programmazione definita dal decisore politico.

[62] V. Rosario Scalia, Elementi per un progetto di misurazione dell'incremento di produttività del personale amministrativo della Delegazione regionale di controllo per il Lazio, in Politiche pubbliche, gestione, controllo, vol. 4, Ed. Istituto Max  Weber, Roma pagg. 101-119; già pubblicato in Funzione Pubblica n.. 3/1996.

[63] Si veda, a tal riguardo, la deliberazione n. 3/2001 assunta dal Collegio della Sezione regionale di controllo per il Lazio in data 20.3.2001 (riportata in LA DOCUMENTAZIONE del Vol. 4.7, Il Seminario permanente sui controlli: competenze, organizzazione, attività svolta, in Politiche pubbliche, gestione, controllo, Ed. Max Weber, Roma, 2001).

[64] V. Rosario Scalia, sul concetto di "controllo dinamico", in Politiche pubbliche, gestione, controllo – Per la Corte del 2000: Il pensiero del Cavour è sempre attuale, vol. 56, Ed. Istituto Max Weber, Roma, 2001, pagg. 32-47