SINTESI Per l’affidamento degli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa le pubbliche amministrazioni dovranno fare riferimento a quanto previsto dall’articolo 7, comma 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e dall’articolo 110, comma 6 del decreto legislativo n. 267 del 2000, poiché le disposizioni del decreto legislativo n. 276 del 2003 non sono applicabili alle pubbliche amministrazioni. L’amministrazione procederà all’affidamento dell’incarico solo qualora non sia in grado di far fronte a quell’esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno e secondo i principi individuati dalla consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti. Rispetto alle necessità che manifestano un carattere permanente le amministrazioni dovranno provvedere con l’aggiornamento periodico dei profili professionali e anche con apposite iniziative di formazione e aggiornamento del personale in servizio.
Ufficio per il
personale
delle pubbliche
amministrazioni
Servizio per il trattamento
normativo
Prot. n.
Roma,
Al Comune di Frasso Sabino
OGGETTO: richiesta parere in
merito alle collaborazioni coordinate e continuative.
Con riferimento alla nota n. 252 del 23 gennaio 2004, con la quale
codesto Comune richiedeva un parere in merito ai riferimenti normativi da
considerare in sede di affidamento di un incarico di collaborazione coordinata e
continuativa si rappresenta l’avviso dello scrivente
ufficio.
In primo luogo occorre considerare quale sia, al momento attuale, il
quadro normativo di riferimento, all’interno del quale le amministrazioni
procedono, in caso di necessità, all’affidamento di incarichi di consulenza
coordinata e continuativa.
Come noto, il decreto legislativo n. 276 del 2003, in esecuzione della
delega disposta con la legge n. 30 del 2003, all’articolo 1, comma 2, ha
disposto espressamente l’inapplicabilità delle disposizioni ivi contenute alle
pubbliche amministrazioni e nell’articolo 86, comma 8, ha previsto che il
Ministro per la funzione pubblica convochi le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per
esaminare i profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore del
decreto legislativo anche ai fini della eventuale predisposizione di
provvedimenti legislativi nella materia.
Ne consegue che per le autonomie locali le norme di riferimento rimangono
l’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e l’articolo 110,
comma 6 del decreto legislativo n. 267 del 2000, dalla lettura dei quali si
evince che si può ricorrere a rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa solo per prestazioni di elevata professionalità, caratterizzate da
una elevata autonomia nel loro svolgimento tale da caratterizzarle quali
prestazioni di lavoro autonomo.
Come evidenziato da questo
Ufficio in precedenti pareri[1]
l’elemento dell’autonomia dovrà risultare prevalente, poiché in caso contrario
sarebbero aggirate e violate le norme sull’accesso alla PA tramite concorso
pubblico in contrasto con i principi costituzionali (artt. 51 e 97) ribaditi
dalla Corte Costituzionale in alcune recenti sentenze in materia di
riqualificazione, nonché il principio, anch’esso costituzionale, di buon
andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). Tale
necessità è stata ravvisata, in precedenza, anche dalla Corte dei Conti, Sezione
controllo enti, che nella deliberazione n. 33 del 22 luglio 1994, già aveva
rappresentato la necessità di evitare che l’affidamento di incarichi a terzi si
traducesse in forme atipiche di assunzione.
Pertanto, nel valutare la
natura del rapporto da instaurare, il vero criterio distintivo potrebbe essere
individuato nella mancanza del vincolo di subordinazione, come desumibile dalla
lettura degli articoli 2094, 2086 e 2014 del codice civile, disposizioni nelle
quali la dipendenza del lavoratore subordinato dal proprio datore di lavoro
assume un ruolo primario, anche quale limitazione al potere decisionale,
organizzativo etc. del lavoratore subordinato. Viceversa in presenza di lavoro
autonomo il committente potrà verificare e controllare le modalità di esecuzione
delle attività affidate, al solo fine di valutare la rispondenza del risultato
con quanto richiesto e la sua funzionalità rispetto agli obiettivi prefissati.
Sulla natura dei rapporti, se di lavoro autonomo o subordinato, soccorre anche
la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale partendo dalla
considerazione che il solo nomen iuris, quale esplicazione del principio
dell’affidamento delle parti, non consente di individuare completamente la
natura della prestazione, è giunta ad indicare indici per l’individuazione della
natura subordinata della prestazione.[2]
L’affidamento dell’incarico
a terzi potrà avvenire solo nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia in
grado di far fronte a quell’esigenza con le risorse professionali presenti in
quel momento al suo interno. Al riguardo soccorre nuovamente la consolidata
giurisprudenza della Corte dei Conti, la quale ha ribadito l’impossibilità di
affidare, mediante rapporti di collaborazione, i medesimi compiti che sono
svolti dai dipendenti dell’amministrazione.
I principi guida elaborati
dalla Corte, e espressamente richiamati dalla Sezione giurisdizionale per il
Veneto[3],
relativamente alla eventualità di un danno erariale per affidamento di
consulenze e delle correlate responsabilità, possono essere così riassunti quali
condizioni necessarie per il conferimento degli incarichi:
§
Rispondenza dell’incarico
agli obiettivi dell’amministrazione conferente.
§
Impossibilità per
l’amministrazione conferente di procurarsi all’interno della propria
organizzazione le figure professionali idonee allo svolgimento delle prestazioni
oggetto dell’incarico, da verificare attraverso una reale
ricognizione.
§
Specifica indicazione delle
modalità e dei criteri di svolgimento dell’incarico.
§
Temporaneità dell’incarico.
§
Proporzione fra compensi
erogati all’incaricato e le utilità conseguite
dall’amministrazione.
Inoltre deve ritenersi che
tali condizioni debbano tutte ricorrere perché l’incarico possa essere
considerato conferito lecitamente e senza incorrere nell’ipotesi del danno
erariale. Tale necessità, oltre a rispondere alla impostazione delle norme prima
richiamate è stata affermata esplicitamente dalla stessa Corte[4].
E’ opportuno, inoltre,
ricordare in tale sede la necessità e l’onere che ricade sulle amministrazioni
di individuare i fabbisogni duraturi o frequenti nell’ambito di provvedimenti di
analisi e programmazione triennale dei fabbisogni, anche tramite l’aggiornamento
periodico dei profili professionali in relazione ai mutamenti istituzionali e ai
nuovi fabbisogni quando questi assumano un carattere permanente. Tale necessità
emerge anche dalle indicazioni della Corte dei Conti che ha avuto modo di
sottolineare come la proroga del rapporto di incarico a personale esterno debba
essere considerata una fattispecie assolutamente eccezionale [5].
Può essere utile, infine,
nell’ambito della ricognizione delle professionalità esistenti all’interno,
verificare la possibilità e la convenienza di formare o aggiornare personale
interno sottoutilizzato o da riconvertire, in attuazione del principio guida che
discende dalle finalità indicate dall’articolo 1, comma 1 del decreto
legislativo n. 165 del 2001 e in
particolare per “realizzare la migliore utilizzazione delle risorse
umane”.
Tornando alla nuova
tipologia del lavoro a progetto, ed in previsione della futura armonizzazione,
non può non considerarsi che nella costituzione di rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa la pubblica amministrazione committente può sempre
tenere presente, per gli aspetti della configurazione pratica del rapporto e
quali elementi fondamentali, il programma da realizzare o la fase di lavoro da
eseguire ad opera del collaboratore, pur nella tradizionale cornice giuridica
del rapporto.
Il Direttore dell’Ufficio
Francesco
Verbaro
S.d.P.
[1] Si veda il sito http://www.funzionepubblica.it/ alla voce pareri, assunzioni
[2] Si veda la sentenza n. 63 del 1999.
[3] si veda Corte dei Conti Sezione giurisdizionale per il Veneto, 3 novembre 2003, n. 1124/2003 su Giornale di diritto amministrativo n. 1/2004. Sui medesimi principi si rinvia, inoltre, a: Corte dei Conti, Sez. I, 18 gennaio 1994, n7; Sez. I 7 marzo 1994, n. 56; Sezioni Riunite 12 giugno 2988, n. 27; Sez. II 22 aprile 2002, n. 137; Sez. controllo enti, del. N. 33 22 luglio 1994.
[4] Corte dei Conti, Sezioni Unite, 12 giugno 1988, n. 27.
[5] Corte dei Conti, Sez. contr. Enti, 28 aprile 1992, n. 19