Frosinone/Il giovane, dopo essere stato
salvato dalla polizia, è ora ricoverato in ospedale
«Psichiatri, fate davvero tutto?»
Drammatica denuncia della sorella del mancato suicida
E’ il grido di dolore di una sorella che, con un fratello con problemi
psichici, si ritrova sulle spalle la gestione di un caso che la sanità pubblica
le ha drammaticamente "scaricato". Ma lei, Marinella D’Addesse, non demorde e
grida con forza lo scandaloso abbandono in cui sono lasciati i malati psichici.
Suo fratello, 32 anni, l’altro ieri, ha tentato il suicidio minacciando di
gettarsi dal 4° piano di un palazzo di via Aonio Paleario (a Frosinone) e solo
l’intervento della polizia è riuscito a dissuaderlo. Infine, braccato dal
commissario Antonella Chiapparelli e dall’assistente Flavio Chiappini, è stato
portato al Cim (Centro d’Igiene Mentale). Tutto risolto, dunque? Macché: è
proprio qui che inizia il vero dramma di questo malato e di tanti altri giovani
come lui; ma soprattutto delle rispettive famiglie lasciate, da sole, a gestire
casi estremamente delicati. «Questa è la terza volta in quattro anni che mio
fratello, che è schizofrenico, compie un gesto simile -dice la sorella Marinella
D'Addesse -. I vari centri di igiene mentale ai quali mi sono rivolta, non ci
hanno mai aiutato. Ogni volta che ha tentato il suicidio lo hanno ricoverato in
ospedale per qualche giorno e poi l'hanno dimesso. E lui, che non si ritiene
malato (caratteristica tipica di questa patologia) si rifiuta di seguire le cure
mediche. E allora cosa si fa? Lo si lascia morire, perché non si possono violare
i suoi diritti, curandolo contro la sua volontà. Non capisco: ha diritto di
morire, ma non di essere curato. Agli psichiatri ho chiesto di fargli delle
sedute apposite per convincerlo a seguire la cura, ma ciò non è mai stato fatto.
Adesso è all'ospedale di Frosinone, ma credo che lo dimetteranno presto: in
fondo mio fratello continua a dire di star bene ed è facile prevedere che subito
i medici lo faranno uscire. "Non possiamo certo
trattenerlo contro la sua volontà" si giustificano ogni
volta...». Marinella D’Addesse è disperata, ma continua: «Chiedo solo di
salvare la vita a questo ragazzo che ha tanto sofferto. Credo non si sia mai
ripreso dalla morte del padre e dal fatto di aver abbandonato l'Etiopia dove la
mia famiglia viveva. Noi familiari non ce la facciamo più». «Il grido di
allarme della donna è più che giustificato - conferma uno psichiatra in servizio
in Ciociaria, che però, preferisce mantenere l'anonimato - I giorni di ricovero
si sono accorciati notevolmente per una questione di rimborsi regionali dei
giorni di degenza ospedaliera. Personalmente trovo ciò assurdo, visto che i
farmaci che assumono tali pazienti cominciano ad agire dopo 14 giorni, cioè
quando i pazienti sono già stati dimessi. Per quanto riguarda il caso di rifiuto
a seguire la terapia (dal momento che il paziente crede di non essere malato)
l'unica soluzione è ottenere dal sindaco un'ordinanza di ricovero obbligatorio,
convalidata dal giudice. Ma si tratta di una procedura traumatica sia per il
malato che per la famiglia (per l’arrivo dei carabinieri, degli infermieri...)».
E allora? In questo campo la miglior terapia è la comprensione, la
sensibilità e la disponibilità dei sanitari. Caratteristiche di cui spesso sono
carenti proprio le strutture sanitarie. Un esempio? Ieri mattina, alle 12,58,
abbiamo chiesto semplicemente di parlare con la responsabile del Cim di
Frosinone. Ebbene, non solo non ci hanno fornito un recapito, ma nemmeno il
nome. E pensare che si tratta di una struttura pubblica: se questa è
sensibilità....
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