Sanità. Secondo i numeri del
Ministero la popolazione del Lazio sceglie la struttura pubblica
Il
paziente preferisce l’ospedale
La clinica privata va bene per
ricoveri in lungodegenza o per la riabilitazione
di SARINA BIRAGHI
ROMA - Su circa un milione e 120 mila dimissioni, con
7 milioni di giornate di degenza (una media di otto per ricovero, 2,3 nella
fase pre-operatoria), su 213 istituti rilevati, quasi il 90% dei malati
preferisce ricoverarsi negli ospedali pubblici e, possibilmente in quelli
del proprio territorio regionale mentre non disdegnano le strutture private
per lungodegenza o riabilitazione.
Diventa quindi un dato di riconoscimento tutto italiano quello di scegliere
gli ospedali di casa ed evitare di migrare verso altre regioni o addirittura
all’estero.
Insomma, la nostra regione conferma il trend nazionale.
«Quella che viene chiamata migrazione o più propriamente mobilità passiva
costa al Lazio circa 300 miliardi - afferma l’assessore alla sanità della
Pisana Vincenzo Saraceni - Un dato importante che si contrappone però alla
mobilità attiva, gente che viene nelle nostre strutture d’eccellenza,
arrivando ad un saldo di circa 60 miliardi».
Tra le strutture d’eccellenza del Lazio ci sono sicuramente alcuni
ospedali romani, come il «Gemelli», il polo oncologico al «San Raffaele»,
il «Bambino Gesù» e l’«Idi», che richiamano da fuori regione.
«Se riuscissimo a mantenere la quota in attivo che comunque abbiamo e non
avere perdita di 300 miliardi guarderemmo con più tranquillità i nostri
conti - continua l’assessore - L’anno scorso c’è stato un disavanzo
di 1200 miliardi che quest’anno dobbiamo contenere fino a diventare una
regione "virtuosa" con un disavanzo contenuto. Il San Raffaele,
per esempio, dovrà diventare un un centro di riferimento per il centro-sud,
e quindi il Lazio diventare terra di speranza dell’oncologia».
Risposte interne solo per l’oncologia?
«Abbiamo il dovere di dare risposte sul nostro territorio anche nella
cardiologia, cardiochirurgia, nei trapianti proprio per evitare quei viaggi
all’estero».
Ma questo è un problema di tutte le regioni?
«Il dato nazionale lo dimostra. Per questo dovremmo studiare un meccanismo
di regia interregionale, metterci tutti d’accordo su come utilizzare le
proprie strutture e contenere il fenomeno per farlo avvenire in modo
compensato, un accordo sui limiti evitando così di attrarre per ridurre
l’esodo».
Anche la degenza media è in calo: l’obiettivo regionale e nazionale
quindi raggiunto?
«Il calo di degenze significa anche la possibilità di ridurre il numero
dei posti letto mentre bisogna spingere sulla fruibilità generalizzata del
servizio, la possibilità di scegliere tutte le strutture anche quelle
religiose».
I dati su ricoveri, migrazione e scelte dei pazienti, provengono dal
Dipartimento di Programmazione del ministero della Sanità messi a
disposizione del ministro Veronesi che domani presenterà l’ospedale del
terzo millennio, quello elaborato in otto mesi dall’architetto Renzo Piano
e che dovrebbe dimezzare numero di posti letto e giorni di degenza, dagli
8-10 attuali ai 3-4 previsti dalla medicina moderna.
Il nuovo ospedale sarà piccolo, supertecnologico e superspecializzato con
un posto letto che costerà circa 500 milioni. Che poi in Italia per
costruire un ospedale ci si impiega anche più di venti anni con costi
stratosferici è tutta un’altra storia.
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