L'intervista
L'assessore Vincenzo Saraceni illustra il programma di risanamento per
trasformare il disastrato settore in una struttura funzionale
Sanità: ereditato un colabrodo con 7.400 miliardi di "buchi"TERMINATI gli impegni e digeriti gli scontri, anche violenti, che hanno fatto da contorno alla lunga campagna elettorale e ai suoi postumi polemici,
riprende con maggior lena e in tutti i settori la vita operativa dell'amministrazione regionale. Particolarmente nel dipartimento Sanità, la cui immagine è stata a più riprese politicamente avvelenata e denigrata, all'esterno, da voci e illazioni che parlano, a seconda delle volte, di dimissioni e di scarsa operatività di alcuni direttori generali; di dubbi e perplessità sull'apertura del Sant'Andrea e di altre strutture; di una vera e propria lobby che orchestra gli onerosi passaggi di ex cliniche da
Rsa a Rsa qualificate in riabilitativa e di grotteschi, indecifrabili contenziosi avviati con alcune Asl, che a loro volta peccano di scarsa reattività nei confronti di numerosi decreti ingiuntivi infondati. Tutte voci, è vero: ma intanto continuano a circolare, gettando discredito sull'intero settore. Per fare, almeno in parte
il punto della situazione abbiamo sentito il parere dell'assessore Vincenzo Saraceni, responsabile regionale della Sanità che rigetta lontano da sé e dall'assessorato tutto questo polverone e preferisce parlare concretamente di programmi perché la Sanità nel Lazio è quella che tutti hanno sotto gli occhi e i problemi da risolvere sono tanti e difficili.
«Dopo l'indispensabile periodo di studio è adesso giunto il momento di
mettere mano a interventi di carattere strutturale al fine di rendere le risorse
disponibili sufficienti e soprattutto efficaci. A tal proposito occorre fare innanzitutto due cose. La
prima di queste è la legge sull'accreditamento: un'accurata cernita, cioè, degli
edifici per definire quali strutture possono fare parte del sistema sanitario
regionale e quali debbono uscirne. Si tratterà di requisiti non solo di
carattere "strutturale" ma sopratutto di carattere "organizzativo": stabiliremo a tal proposito gli standard di personale, stabiliremo i criteri di qualità, gli indicatori di successo e di trattamento, definendo quelli che chiamiamo gli indicatori dì esito. A questo proposito abbiamo istituito
un'apposita commissione per l'accreditamento che ha già cominciato a lavorare e che tra pochi mesi sarà in grado di fornirci
il quadro completo delle disponibilità, al fine di metterci in condizione di presentare una legge.
L'altro intervento di carattere strutturale è la definizione del piano sanitario regionale, da inserire nel piano sanitario nazionale, realizzabile tramite una nostra proposta, a cui stiamo lavorando, che si svilupperà attraverso una grande consultazione che coinvolgerà forze sociali, forze universitarie e forze ospedaliere con l'obiettivo di dare ai cittadini quello di cui veramente hanno bisogno. Data la situazione, quello che posso anticipare è che dobbiamo ridurre, al termine di un attento monitoraggio, il numero dei posti letto per "malati acuti", ossia quelli in attesa di intervento. Siamo a livelli
eccessivi nella nostra regione, e questo di conseguenza non ci consente ancora di poter quantificare la spesa. Punteremo, comunque, soprattutto su interventi di carattere preventivo, rispetto agli interventi di carattere ospedaliero».
A proposito di piani e di programmi, le sinistre insistono pretestuosamente sulla mancanza di una pianificazione regionale in
fatto di sanità, ancora da formalizzare, che porterebbe a uno "sfondamento della spesa": lei è in grado di affermare che tutto è sotto controllo?
Io posso soltanto dire che proprio la mancanza di programmazione da parte della Giunta precedente ha portato in questo settore nella nostra regione, a un disavanzo di 7.400 miliardi. Un danno enorme, in grado di paralizzare qualunque azione che si voglia intraprendere in fatto di sanità. Abbiamo cominciato a prendere provvedimenti per tentare di rientrare da questo disavanzo e lo stiamo facendo senza togliere una lira di tasca ai cittadini. Certo è che ci siamo trovati di fronte a dei provvedimenti del precedente governo che hanno fatto lievitare i costi sanitari in maniera non indifferente: per esempio, la spesa farmaceutica aumentata del 40 per cento. E per questo rischiamo a fine anno di registrare un "buco" di sei, settecento miliardi.
Comunque, per far fronte alla pesante situazione abbiamo nominato i nuovi direttori
generali, ai quali abbiamo dato indicazioni molto rigorose sul processo di risanamento che deve essere portato avanti per cambiare questo stato di cose. Prima le aziende spendevano senza preoccuparsi, tanto c'era poi chi risanava, anche se spesso non riusciva a risanare: tant'è vero che oggi
il governo non ha alcuna intenzione di risanare tutto il disavanzo che la Regione Lazio ha accumulato. Abbiamo perciò fornito ai direttori generali
obiettivi rigidi, obiettivi dì "salute" e di efficacia oltre che obiettivi di efficienza, da raggiungere nel termine di diciotto mesi
dall'insediamento, quando procederemo a una verifica del lavoro svolto. Chi non li avesse rispettati, quegli obiettivi, sarà rimosso. Siamo, insomma, su
un'impostazione di grande rigore rispetto al passato».
Nel corso del raggiungimento di quegli obiettivi, c'è rischio di conflittualità con la nomina di un assessore comunale alle Politiche sociali con competenza sul sanitario?
«Voglio proprio augurarmi di no. Innanzi tutto perché la salute, la sofferenza non dovrebbero appartenere
a nessuna ideologia. Quindi mi auguro che in questo settore si possa trovare una sintonia di azione. Tra l'altro, come dicevo prima, dobbiamo fare una programmazione sanitaria, e il Comune di Roma ha competenze in materia di programmazione. Occorre trovare una condivisione di questi temi: d'altra parte quando dico che bisogna ridurre il prospetto per malati
"acuti", che bisognerà fare una programmazione anche dei posti letto universitari, dico tutte cose che non possono che essere certamente condivise. Quindi mi auguro che le divergenze tra la Regione Lazio e il Comune di Roma, se dovranno esserci,
siano divergenze che non ci impediscano di portare a termine questa programmazione e soprattutto questo risanamento del servizio sanitario regionale».
Come valuta quella che sembra una concreta proposta di governo per limitare l'uso della sanità privata, privilegiando le strutture pubbliche e questo attraverso il riconoscimento di bonus fiscali?
«Dato l'attuale stato di cose, ritengo che dobbiamo andare verso un'integrazione del servizio sanitario pubblico col servizio sanitario privato: quindi non parlerei di conflitto. Dovrei parlare, piuttosto, di competizione, ma preferisco parlare di integrazione. Il cittadino, insomma, deve essere messo nella condizione di scegliere a quale struttura riferirsi secondo il proprio rapporto di fiducia, ma per arrivare a questo dobbiamo garantirgli di poter scegliere tra analoghe opportunità di qualità. Ecco perché il processo di accertamento dei requisiti per l'accreditamento deve essere un momento accurato e importante: darà, infatti, la garanzia al cittadino di trovare, dovunque si rivolga, gli stessi livelli di qualità, tanto nella struttura pubblica, quanto in quelle privata. Certo, dobbiamo trovare una soluzione in difesa del sistema pubblico, perché il sistema pubblico sarà sempre un sistema più costoso, sarà sempre un sistema che si farà carico di prestazioni di alta complessità. Basti pensare alle emergenze, che sono quasi tutte nel pubblico. E sono le più costose. Di tutto questo, quindi, bisognerà tener conto al fine di trovare fondi e risorse economiche aggiuntive per poter difendere il sistema pubblico, particolarmente nel caso di prestazioni di alta complessità. Per quanto riguarda i
"bonus" poi, credo che potranno essere utilizzati, una volta che avremo stabilito i livelli essenziali di assistenza, per quelle prestazioni che non saranno ritenute all'interno di quei livelli. Dovrebbero quindi rientrare in quella mutualità integrativa verso la quale è stato deciso di andare».
Si parla di una grande struttura riabilitativa a iniziativa privata che dovrebbe sorgere alla Bufalotta a Roma, ma non sarebbe logico, invece, che alcuni nosocomi pubblici solo parzialmente utilizzati, come il San Camillo, lo stesso San Filippo, l'ex
Santa Maria della Pietà, per non parlare ancora del Forlanini, venissero in parte utilizzati in campo riabilitativo proprio per le strutture pubbliche anziché ricorrere alle private?
Insomma, privato lì dove serve ma non dove c'è possibilità dì pubblico: oppure non sarebbe preferibile far assumere il rischio
imprenditoriale privato nell' ambito delle strutture pubbliche?
«Dai dati che ho io, la Regione Lazio, pur manifestando delle sperequazioni per quanto riguarda l'assistenza
riabilitativa tra azienda e azienda, specialmente nella città di Roma e in provincia, come livello complessivo ha già
quasi raggiunto il massimo dei posti letto necessari. Quindi, immaginare l'insediamento di un'altra grande struttura riabilitativa nella città di Roma lo ritengo assurdo.
L'ipotesi, invece, dì dotare qualche struttura pubblica di un nucleo diretto alla riabilitazione mi sembra un'idea
giusta, perché consente di aumentare il turnover, abbassando i tempi della degenza medica nei reparti operativi, e, quindi, di rendere più efficiente l'azienda. Credo che il pubblico, e qualche esempio l'abbiamo avuto recentemente nella nostra regione, potrà dotarsi di una efficiente struttura riabilitativa. Dove questo non è possibile, proprio nell'ambito del criterio di quella integrazione di cui abbiamo par lato prima, interverrà il privato. Attualmente, del resto, la riabilitazione, quasi
per la sua totalità, viene erogata dal privato che il pubblico possa farlo, quindi, credo che sia una cosa giusta».
Per concludere, restando in argomento, l'esempio della collaborazione tra pubblico e privato nella sperimentazione della legge regionale ottobre '93 riservata agli ex Istituto Santo Spirito, lì dove realizzata, ha dato o non ha dato risultati positivi?
«Secondo me, ha dato risultati indubbiamente positivi e credo che su questa strada di collaborazione tra pubblico e privato si debba proseguire. Ritengo, infatti, che nel prossimo futuro potranno esserci anche alcuni reparti ospedalieri pubblici affidati alla gestione di privati, oppure, forse, alla libera professione
organizzata all'interno di strutture pubbliche a gestione privata. E addirittura, infine, progetti di finanza
pubblico privata per la costruzione di nuovi reparti. Una serie, insomma, di strumenti eccezionali misti tra pubblico e privato che non potranno che dare buoni frutti».
L'intervista è finita e, mentre l'assessore Saraceni torna al suo lavoro, gli rivolgiamo un'ultima domanda provocatoria. «Non sarebbe meglio "annientare" il Policlinico Umberto I per sostituirlo con una nuova, grande e moderna realtà nell'immediata periferia e, a tale proposito, il valore delle aree del Policlinico consentirebbe l'ipotesi di un progetto finanziario per questa realizzazione?». «Annientare?», ci risponde con una domanda. E ci saluta, sorridendo dietro gli occhiali.
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