Il paradosso del Lazio: è stata l’unica
regione a raddoppiare il numero dei donatori, ma i pazienti si rivolgono alle
strutture del Nord Cuore, tante donazioni e
pochi trapianti Umberto I e Gemelli fermi,
bisturi in azione solo al San Camillo e al Bambino Gesùdi MARCO GIOVANNELLI
Sempre più donazioni
ma pochi trapianti di cuore. Il Lazio, regione cerniera tra il nord e sud
d’Italia, fatica e non poco a trovare un posto di eccellenza nella
cardiochirurgia nazionale. Al Policlinico Agostino Gemelli aspettano
l’autorizzazione ministeriale per aprire le camere operatorie, al Bambino Gesù
si occupano naturalmente di pazienti fino a 18 anni. I cardiochirurghi del
policlinico Umberto primo sperano di ritornare all’attività a dicembre dopo un
blocco di quasi due anni. E così rimane sono il San Camillo-Forlanini dove però
la sezione trapianti cardiaci è operativa solo dal luglio scorso. «Nel Lazio
stiamo vivendo un paradosso», spiega Francesco Musumeci, direttore del
dipartimento di cardiologia dell’ospedale di Monteverde. «C’è un buon lavoro sul
fronte delle donazioni ma non altrettanta pubblicità sull’offerta degli ospedali
romani. Manca la cultura del trapianto penalizzata in passato dalla carenza
cronica di organi che ha spinto tanti pazienti a rivolgersi soprattutto nei
centri dell’Italia settentrionale». Il cardiochirurgo sostiene la sua tesi con
le cifre: «Il 2001 chiuderà per noi con oltre 1.100 interventi sul cuore,
abbiamo effettuato da luglio quattro trapianti dei quali uno ad un paziente
siciliano e l’altro umbro. Moltissimi malati provengono da fuori regione segno
che la nostra professionalità è riconosciuta di buon livello. E così potrei dire
anche delle altre unità della città. Ma sono proprio i romani che vanno altrove
e non credo per mancanza di fiducia nei nostri confronti. Un incremento di
strutture non risolverebbe il problema, serve un cambio culturale». Intanto al
San Camillo, venerdì prossimo, verrà inaugurata una nuova unità di terapia
intensiva cardiologica. «Il valore della cardiochirurgia romana è elevato -
spiega Carlo Casciani, primario chirurgo del Sant’Eugenio e coordinatore
regionale per i trapianti - e le strutture, là dove ci sono, sono di ottimo
livello. Sono però poche e dopo un boom delle attività negli anni passati,
abbiamo registrato un forte rallentamento soprattutto da quando l’Umberto primo
ha sospeso l’attività per i gravi problemi strutturali del policlinico». E
pensare che proprio in quelle sale operatorie universitarie avvenne nel gennaio
dell’86 il primo trapianto pediatrico di cuore d’Italia. All’Umberto primo il
programma di trapianti dovrebbe riprendere il mese prossimo. Michele Toscano
(direttore dell'istituto di chirurgia del cuore e dei grossi vasi), intanto
replica polemico a Benedetto Marino, primario della prima di divisione di
cardiochirurgia. «Denuncia che non facciamo trapianti e intanto se ne va al
Sant’Andrea. Siamo pronti a riprendere l’attività: una sala operatoria per i
trapianti sarà pronta a dicembre». A parte c’è il Bambino Gesù che si occupa
di trapianti pediatrici. «Dal febbraio dell’86 abbiamo effettuato 122 trapianti
toracici, questi 96 hanno interessato il cuore - spiega Francesco Parisi,
coordinatore del centro trapianti dell’ospedale pediatrico -. Purtroppo la
mortalità complessiva è del 35 per cento perché i nostri piccoli pazienti hanno
maggiori fattori di rischio e le donazioni sono poche. Negli ultimi mesi abbiamo
più organi ma bisogna fare di più e anche in queste ore stiamo lavorando a un
progetto di formazione professionali per i medici rianimatori che si occupano di
bambini». Il Lazio si appresta però ad entrare nell’olimpo dell’eccellenza
per quanto riguarda le donazioni grazie all’opera del centro regionale di
coordinamento. Nel 2001 è stata l’unica regione che ha raddoppiato il numero di
donatori. «Un risultato ottenuto con la collaborazione e la sensibilità dei
medici che in ogni ospedale partecipano al programma dei trapianti - spiega
Maurizio Valeri, uno dei medici del centro di coordinamento regionale -. Queste
persone sono fondamentali sia per garantire tutti gli aspetti tecnici che
avviare il dialogo con i familiari dei pazienti possibili donatori». «Non
bisogna però farsi spaventare dalle liste d’attesa - aggiunge Mariano Feccia del
San Camillo - perché sono tante le variabili e quindi i tempi sono
imprevedibili».
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