Il medico: acquistiamo le sacche al
nord, ma con l’autonomia le Asl hanno ridotto le quantità perché vendere
non conviene di FRANCESCA COPPOLA
«Manca sangue! Le
feste natalizie hanno intorpidito le coscienze e a Frosinone è stato dimenticato
il valore civile della donazione». Recita così il cartello scritto a caratteri
cubitali in bella vista nel reparto ematologia dell'ospedale del capoluogo. Il
primario del reparto, la dottoressa Annino, a riguardo afferma: «Il problema
della carenza di sangue per le trasfusioni è una costante della nostra attività.
Abbiamo esposto i cartelli che avete visto, per dare una mano al centro
trasfusionale dell'ospedale ed invogliare alla donazione i parenti dei degenti».
L'allarme parte infatti dal professor Ceccarelli, primario del centro
trasfusionale, che quantifica la carenza di sacche di sangue nella sola regione
Lazio in 35.000 unità "quelle che mancano per raggiungere una autosufficienza
annuale". La difficoltà di approvvigionamento del sangue, dice il professore, "è
cronica al centro-sud. Il livello di donazione è uno degli indicatori adottati
per misurare l'indice di civiltà di un popolo, che quindi nel nostro territorio
è molto basso". Per ovviare al problema, le Asl laziali acquistano il sangue
dalle aziende ospedaliere del nord Italia dove, soprattutto in Lombardia, Veneto
ed Emilia Romagna, c'è un grado di solidarietà notevole. Cosa ha provocato, ora,
questa preoccupante insufficienza di unità trasfusionali? «La riduzione di
trasferimenti dal nord. Infatti da quando vige l'autonomia delle Asl - ci
risponde Ceccarelli - le varie aziende settentrionali che finora vendevano più
sangue al centro-sud, si sono fatte un po' di conti. Il prezzo per sacca di
sangue è un prezzo politico, imposto nella cifra di 200 mila lire. Ora, quella
cifra non è sufficiente a coprire i costi (per le analisi e per il personale)
che l'azienda sostiene per la produzione di un flacone di sangue. Dunque, la
raccolta di donazioni negli ospedali settentrionali, viene incentivata meno che
in passato, e solo in misura da coprire le trasfusioni interne». Altra causa:
l'inasprimento delle condizioni selettive per i donatori, che non permettono per
esempio oltre una certa età di donare sangue «cosa che restringe il bacino di
raccolta, poiché i giovani sono meno propensi a fare da volontari».
L'allarme-sangue d'altra parte ha una portata regionale. «In alcuni ospedali
della regione ci troviamo nella situazione per cui malati come i talassemici,
che si sottopongono a trasfusione ogni 15 giorni - dichiarano Salvatore
Bonadonna e Romolo Rea, rispettivamente capogruppo e consigliere regionale di
Rifondazione Comunista - devono aspettare la disponibilità di sangue anche 25
giorni, riducendosi in stato di completa anemia. Bisogna che la Regione investa
per aumentare l'assistenza ai centri trasfusionali».
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