Lazio

Martedì 19 Febbraio 2002
La vittima un giovane di 35 anni: la polizia ha sequestrato la siringa con la quale è stata praticata la puntura nello stomaco 24 ore prima del decesso
Bicarbonato contro il cancro: muore dopo l’iniezione
Indagato per omicidio colposo il medico della cura “alternativa” pagata 400 mila lire a visita

di CARLO ROMANO

Da dieci mesi lottava contro il male che lo stava consumando. I medici gli avevano dato poche speranze. Poi, un giorno, per caso, su un sito di Internet, la scoperta di una cura "alternativa", una cura a pagamento (400 mila lire subito per l’inizio della terapia e alcuni milioni dopo il ricovero in una struttura privata): in 24 ore, però, l’iniezione miracolosa, a base di sostanze naturali, che avrebbe dovuto salvarlo lo ha ucciso. E’ la storia di un uomo di 35 anni, malato terminale di cancro e deceduto una decina di giorni fa, all’improvviso, in uno dei centri di assistenza dell’Associazione Antea, che con la sua denuncia ha fatto scattare le indagini. Adesso, dopo i primi accertamenti della polizia, la Procura di Roma indaga per omicidio colposo il medico al quale la famiglia si era affidata, il "presunto" specialista che ha eseguito l’iniezione, forse quella fatale.
Il sospetto è che qualcosa nel suo lavoro sia andato storto, e cioè che l’ago della siringa (una soluzione contenente anche bicarbonato ed acqua minerale), che avrebbe dovuto alleviare i tremendi dolori del malato avviando l’atteso miglioramento, abbia leso l’intestino provocando un’emorragia interna e uccidendolo in poco tempo. L’accusa per il medico è di omicidio colposo, il procedimento penale è appena agli inizi, mentre si attende l’esito dell’esame autoptico effettuato sulla salma all’Istituto di Medicina legale del Gemelli.
E’ una storia che va raccontata dall’inizio: un anno fa il giovane è ancora alle consolle delle radio private e delle discoteche della capitale. E’ un ragazzo sereno e soddisfatto del suo lavoro di dj, ha appena sposato una sua coetanea, con la quale va a vivere nei pressi dell’abitazione dei genitori, alle porte di Roma. In poche settimane, però, il dramma si abbatte da un controllo di routine in ospedale, il verdetto della Tac che non sembra lasciare scampo. «Ha un cancro allo stomaco — spiegano i medici — la massa tumorale è ormai molto estesa. Non si può operare, si può fare ben poco, gli restano da vivere tre mesi al massimo».
Inizia il calvario, comincia la chemioterapia. Il giovane alterna un ricovero all’altro, ma ha una fibra forte, una corporatura robusta, e resiste. Dell’assistenza a domicilio si occupano i volontari dell’associazione Antea, a Villa Aurora, una clinica dell’Aurelio. Passano i mesi, poi agli inizi di febbraio, i familiari dell’uomo scoprono su Internet l’esistenza di uno "studioso" che si presenta come il nuovo Di Bella: la sua è una terapia alternativa alle cure tradizionali e perfino a quella del professore modenese, scambia e-mail con malati di mezza Italia. «Il dottore ha un sito sul Web molto ricco, pagine e pagine, risponde a migliaia di pazienti — spiegano Laura Di Feo e Domenico Trogheo, gli avvocati dei genitori e della sorella della vittima — è insomma una persona che ha un suo seguito, evidentemente sono in molti a dargli credito».
Così, la mattina dell’8 febbraio, l’uomo si presenta a casa del giovane, dopo essere stato contattato proprio dalla moglie di questo. Formula la sua proposta economica, poi visita il paziente, dicendo che la sua è una situazione disperata ma che si può ancora tentare, a condizione di abbandonare subito la terapia basata sugli antidolorifici.
Il medico pratica un’iniezione all’addome, e intasca le prime quattrocentomila lire, chiudendo così l’appuntamento. Dopo due ore, Marcello si sente male, dolori lancinanti allo stomaco. I suoi familiari pensano a una reazione normale dell’organismo all’abolizione degli antidolorifici, poi decidono di riaffidarlo alle cure di Antea. Passano 24 ore e il giovane muore. E’ lo stesso medico che deve constatarne il decesso a mettere il caso nelle mani della Magistratura con una dettagliata denuncia. Viene sequestrata in tempo la siringa usata per l’iniezione, mentre la polizia identifica il medico che l’ha eseguita.