La vittima un giovane di 35 anni: la
polizia ha sequestrato la siringa con la quale è stata praticata la puntura
nello stomaco 24 ore prima del decesso Bicarbonato contro il cancro: muore dopo l’iniezione Indagato per omicidio colposo il medico della cura
“alternativa” pagata 400 mila lire a visitadi CARLO ROMANO
Da dieci mesi lottava
contro il male che lo stava consumando. I medici gli avevano dato poche
speranze. Poi, un giorno, per caso, su un sito di Internet, la scoperta di una
cura "alternativa", una cura a pagamento (400 mila lire subito per l’inizio
della terapia e alcuni milioni dopo il ricovero in una struttura privata): in 24
ore, però, l’iniezione miracolosa, a base di sostanze naturali, che avrebbe
dovuto salvarlo lo ha ucciso. E’ la storia di un uomo di 35 anni, malato
terminale di cancro e deceduto una decina di giorni fa, all’improvviso, in uno
dei centri di assistenza dell’Associazione Antea, che con la sua denuncia ha
fatto scattare le indagini. Adesso, dopo i primi accertamenti della polizia, la
Procura di Roma indaga per omicidio colposo il medico al quale la famiglia si
era affidata, il "presunto" specialista che ha eseguito l’iniezione, forse
quella fatale. Il sospetto è che qualcosa nel suo lavoro sia andato storto,
e cioè che l’ago della siringa (una soluzione contenente anche bicarbonato ed
acqua minerale), che avrebbe dovuto alleviare i tremendi dolori del malato
avviando l’atteso miglioramento, abbia leso l’intestino provocando un’emorragia
interna e uccidendolo in poco tempo. L’accusa per il medico è di omicidio
colposo, il procedimento penale è appena agli inizi, mentre si attende l’esito
dell’esame autoptico effettuato sulla salma all’Istituto di Medicina legale del
Gemelli. E’ una storia che va raccontata dall’inizio: un anno fa il giovane
è ancora alle consolle delle radio private e delle discoteche della capitale. E’
un ragazzo sereno e soddisfatto del suo lavoro di dj, ha appena sposato una sua
coetanea, con la quale va a vivere nei pressi dell’abitazione dei genitori, alle
porte di Roma. In poche settimane, però, il dramma si abbatte da un controllo di
routine in ospedale, il verdetto della Tac che non sembra lasciare scampo. «Ha
un cancro allo stomaco — spiegano i medici — la massa tumorale è ormai molto
estesa. Non si può operare, si può fare ben poco, gli restano da vivere tre mesi
al massimo». Inizia il calvario, comincia la chemioterapia. Il giovane
alterna un ricovero all’altro, ma ha una fibra forte, una corporatura robusta, e
resiste. Dell’assistenza a domicilio si occupano i volontari dell’associazione
Antea, a Villa Aurora, una clinica dell’Aurelio. Passano i mesi, poi agli inizi
di febbraio, i familiari dell’uomo scoprono su Internet l’esistenza di uno
"studioso" che si presenta come il nuovo Di Bella: la sua è una terapia
alternativa alle cure tradizionali e perfino a quella del professore modenese,
scambia e-mail con malati di mezza Italia. «Il dottore ha un sito sul Web molto
ricco, pagine e pagine, risponde a migliaia di pazienti — spiegano Laura Di Feo
e Domenico Trogheo, gli avvocati dei genitori e della sorella della vittima — è
insomma una persona che ha un suo seguito, evidentemente sono in molti a dargli
credito». Così, la mattina dell’8 febbraio, l’uomo si presenta a casa del
giovane, dopo essere stato contattato proprio dalla moglie di questo. Formula la
sua proposta economica, poi visita il paziente, dicendo che la sua è una
situazione disperata ma che si può ancora tentare, a condizione di abbandonare
subito la terapia basata sugli antidolorifici. Il medico pratica
un’iniezione all’addome, e intasca le prime quattrocentomila lire, chiudendo
così l’appuntamento. Dopo due ore, Marcello si sente male, dolori lancinanti
allo stomaco. I suoi familiari pensano a una reazione normale dell’organismo
all’abolizione degli antidolorifici, poi decidono di riaffidarlo alle cure di
Antea. Passano 24 ore e il giovane muore. E’ lo stesso medico che deve
constatarne il decesso a mettere il caso nelle mani della Magistratura con una
dettagliata denuncia. Viene sequestrata in tempo la siringa usata per
l’iniezione, mentre la polizia identifica il medico che l’ha eseguita.
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