NEL LAZIO Ventimila casi di tumore ogni annoOgni anno nel Lazio ventimila persone si ammalano di
tumore. Ogni anno tredicimila persone muoiono di cancro. Spesso abbandonate in
una corsia di ospedale o nel letto di casa con poca, pochissima assistenza
sanitaria. Il malato terminale è ormai una persona che per la società è un
“peso": costa molto, ha bisogno di tante attenzioni. Le idee per sostenerlo ci
sono ma la realtà è assai cruda rispetto ai progetti. Un esempio? I Cad delle
Asl, i centri di assistenza domiciliari. Ma cosa sono i Cad e come
funzionano? «In teoria sono molto belli e rappresentano una risposta davvero
efficace - risponde un medico che lavora per un’associazione di volontariato -
ma nella realtà sono dei fantasmi». Nella pratica un malato terminale dimesso da
un ospedale o che si aggrava ed ha bisogno di cure a casa, viene aiutato da una
struttura che gli assicura sia l’assistenza sanitaria che sociale. Prima
dell’intervento il coordinatore del Cad, insieme al medico ospedaliero e di
famiglia, verificano e concordano tutti gli interventi. I Comuni mettono a
disposizioni degli assistenti per quelle incombenze relative al funzionamento
della famiglia, cioè dalla spesa vera e propria, all’acquisto di medicinali o
per le questioni burocratiche. Allo stesso tempo le unità domiciliari si
occupano del versante sanitario prevedendo l’intervento di un medico specialista
della terapia del dolore, un fisiatra e un infermiere. «Ogni giorno almeno
una di queste figure si reca a casa del paziente - aggiunge il medico -:
provvede a pianificare e somministrare la terapia, si occupa dei prelievi per le
eventuali analisi cliniche. Bello, vero? Ma questo è praticamente un sogno. Ci
sono esempi di buon funzionamento del servizio ma sono talmente rari che
sfuggono alla mia memoria perché l’attivazione del Cad non avviene mai
spontaneamente, i medici degli ospedali non si preoccupano del paziente dopo le
dimissioni ed è tutto un bluff quello che è scritto sui regolamenti». Ma i
problemi non sono solo quelli dell’organizzazione dei servizi, c’è anche una
questione economica che penalizza i medici di famiglia al punto che sono pochi
quelli che si rivolgono alle Asl per i rimborsi. «Per pochi euro bisogna
sottoporsi alla ghigliottina della burocrazia e non ne vale la pena - spiega il
medico che ha chiesto di rimanere anonimo -. Nella sostanza il rimborso è di 19
euro al lordo, circa 9 al netto delle tasse, per ogni visita. In quella cifra
sono comprese le spese di trasporto e dei materiali di consumo. A questo bisogna
aggiungere che a un malato terminale non posso dedicare dieci minuti: ha bisogno
mille controlli, di mille attenzioni per l’aggiustamento della terapia e per i
consigli da dare ai familiari. Insomma, non meno di un’ora che mi viene
retribuita 9 euro. A questo punto preferisco non chiedere nemmeno la prestazione
alla Asl. Mi gratifica di più un grazie e una stretta di mano».
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