Cassino\Confermato il
licenziamento Litigare con il capo si può, ma senza usare parolacce
Litigare con il capo sul posto di lavoro? Si può fare, alzando anche la voce.
Ma non si può mandarlo affan...quel paese e nemmeno dirgli "ma chi ca...volo
credi di essere". Lo ha ribadito ieri mattina la Corte d'Appello di Roma
confermando il licenziamento di B.V., delegato sindacale della Cic S.p.A.: la
società che si occupa della raccolta dei rifiuti a Cassino. Era stato licenziato
in tronco nel mese di febbraio del 1999 al culmine di una trattative con uno
degli amministratori dell'azienda. Tutto era cominciato con una lettera di
contestazione inviata dalla Cic a B.V., rimproverandogli una lavoro eseguito
male. Accompagnato da un altro sindacalista era andato in amministrazione,
voleva spiegare che con l'organizzazione del lavoro impostata in quel periodo
non era possibile fare di meglio. Ma i toni si sono accesi. La voce si è fatta
sempre più alta, da entrambi i lati della scrivania. Fino a quando B.V.
pronuncia il vaf... e il "Chi ca... credi di essere" che gli sono costati il
posto di lavoro. Infatti dopo poche ore gli è stata recapitata la lettera di
licenziamento "per motivi disciplinari". Giudicata valida sia dal giudice del
lavoro di Cassino al termine del primo processo, sia ieri dalla Corte d'Appello.
Il difensore aveva sostenuto che "Durante una trattativa sindacale è lecito
usare dei toni più forti del consueto, c'era stata la provocazione dell'azienda.
E poi il licenziamento è un provvedimento sproporzionato, rispetto
all'infrazione compiuta". Una tesi che non è stata condivisa dai magistrati. I
giudici hanno accolto il principio sottolineato dall'avvocato della Cis S.p.A
Sandro Salera, secondo il quale "Proprio perché la trattativa sindacale è uno
dei più alti momenti di democrazia sul posto di lavoro è lecito che i toni
possano salire e talvolta trascendere, ma mai si può arrivare all'insulto
personale".
Al.Po.
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