Insulti al capo? Sei
licenziato
Protagonista della vicenda un autista
di cinquant’anni alle dipendenze di una ditta di Cassino
di LORIS
FRATARCANGELI
INSULTARE e, addirittura, minacciare il
proprio datore di lavoro può costare caro. Basta chiedere al cinquantenne
autista cassinate (Bruno V.) licenziato in tronco per motivi disciplinari.
Il fatto risale al marzo di due anni e invano il dipendente ha tentato di
farsi riassumere su ordine della magistratura che, anzi, anche in sede di
appello, ha ritenuto legittimo il licenziamento. Bruno V. lavorava come
autista alle dipendenze di una società di Cassino che opera nel settore
della raccolta e smaltimento dei rifiuti. Tutto è cominciato quando
l'amministratore dell'impresa gli comminò una sospensione dal lavoro,
della durata di tre giorni, contestandogli una poco ortodossa condotta.
L'autista, accompagnato al suo rientro da un rappresentante sindacale,
si presentò nell'ufficio del capo per i chiarimenti del caso. Il confronto
assunse presto toni polemici, roventi, tanto da degenerare. Dalle
parole agli insulti il passo fu breve. «Appena mi si presenta l'occasione
buona ti aggiusto io» esclamò minaccioso il dipendente. Che il giorno
dopo ricevette a casa la lettera di licenziamento. Sia il giudice del
lavoro del tribunale di Cassino, che la corte d'appello di Roma hanno dato
ragione all'imprenditore. E' lecito e ampiamente comprensibile alzare i
toni del dibattito nell'esercizio dell'attività sindacale, ma giammai è
ammissibile trascendere fino ad arrivare all'insulto e addirittura alla
minaccia. Questa, in sostanza, la tesi sostenuta in giudizio dall'avvocato
Sandro Salera, legale della società cassinate. L'impostazione è stata
condivisa in primo grado un anno fa e, nei giorni scorsi, consacrata dai
giudici romani, che hanno confermato la legittimità del
licenziamento.
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