Confermata la condanna per due impiegati
dell’ospedale di Loreto. Uno dovrà scontare 40 giorni di carcere
«A pranzo senza timbrare è
truffa» La Cassazione: non si può uscire
“clandestinamente” dal posto di lavorodi CRISTIANA MANGANI
ROMA - Fuggire
dall’ufficio “clandestinamente" per bere un caffè può costare il carcere. Ed è
ancora una volta la Corte di Cassazione ad affermarlo, stabilendo un principio
che non dispiacerà di certo a quei datori di lavoro che hanno sempre visto di
cattivo occhio il break senza autorizzazione. I dipendenti che non timbrano il
cartellino marcatempo durante la pausa per il pranzo rischiano una condanna
penale, soprattutto quando la sosta non è conteggiata nell’orario lavorativo.
L'avvertimento che arriva dagli “ermellini" si è concluso con la conferma della
condanna a 40 giorni di reclusione e 75 euro di multa per due impiegati
dell'ospedale di Loreto. La “fuga" senza timbrare il cartellino era stata
scoperta durante un controllo effettuato dai carabinieri del Nas che avevano
sorpreso i due dipendenti a mangiare fuori dal nosocomio. A richiedere
l’intervento dei militari era stato il coordinatore amministrativo
dell’ospedale, che aveva fatto presente come questo «comportamento illegittimo
tra i dipendenti» fosse grandemente diffuso, con danni patrimoniali per la Asl
che pagava come orario lavorativo anche il tempo passato dagli impiegati a
mangiare e bere caffè. In sostanza, una mattina di ottobre - per la precisione
il 22 ottobre del '92 alle ore 13.10 - nei locali della mensa della struttura
sanitaria, piombarono i carabinieri e ci fu una vera e propria “retata" di
infermieri e impiegati, che si erano tutti “dimenticati" di marcare il
cartellino. I presenti vennero identificati e chi non è stato trovato in regola,
è stato rinviato a giudizio per tentata truffa ai danni della Asl. A finire
davanti alla Corte di Cassazione sono stati Mariella Z., una signora di 50 anni,
e Giorgio B., il suo “compagno di merenda", di 54 anni. Solo per la donna il
carcere è stato commutato in una multa di circa 575 euro, perché ha preferito
chiedere il beneficio della sospensione condizionale della pena. Per l'uomo è
stata confermata la condanna a 40 giorni di reclusione e 75 euro di multa.
Invano i due coimputati, che si erano affrettati a timbrare subito dopo
l'intervento dei Nas, hanno cercato di far leva sulla tesi della “dimenticanza".
Ma la Cassazione ha risposto di non poter prendere in considerazione un simile
argomento perché nella loro condotta il “dolo" è pienamente configurabile, in
quanto «la retribuzione è corrisposta tenendo conto dei dati del marcatempo». In
sostanza quei lavoratori che per contratto hanno escluso dallo stipendio il
tempo della pausa, commettono il reato di truffa nei confronti del datore di
lavoro se non segnano sul loro “timer" il tempo durante il quale non lavorano ma
si rifocillano. Nel caso in questione, comunque, il reato si è configurato
in maniera attenuata, perché l'intervento dei carabinieri ha impedito la
pienezza della truffa. E se la Asl si è dimostrata clemente, rinunciando «a
recuperare il danno nei confronti di Mariella Z., questo comportamento generoso
- ad avviso della Cassazione - non elide, comunque, la rilevanza penale della
condotta», perché mangiare ingannando il marcatempo «provoca una lesione del
patrimonio della Asl».
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