NELLA CLINICA VILLA GINA
I periti del tribunale: feti estratti
vivi Aborti clandestini a Roma, sotto processo
anche due medici di Cassino
Si aggiunge un nuovo agghiacciante capitolo all’inchiesta sugli aborti
clandestini praticati nella clinica romana "Villa Gina", della famiglia
Spallone. Inchiesta in cui sono coinvolti anche due ginecologi di Cassino,
Giuseppe Pavia e Annamaria Panico. Ieri i tre medici incaricati dal giudice
hanno depositato la perizia tecnica da cui emerge che i 19 feti, frutto degli
aborti clandestini, molto probabilmente non erano già morti - come sostiene la
difesa degli imputati - quando vennero espiantati dalle madri, ma vennero uccisi
(o lasciati morite) subito dopo. I 19 corpicini sono stati riesumati dai
medici (tra cui c’è un professore universitario di Bologna e un ginecologo del
Gemelli) e analizzati per stabilire se vivevano e se avevano delle malformazioni
tali da compromettere la vita della madre. Tutto lascia pensare che siano stati
uccisi: sono state riscontrate tracce di attività respiratoria, i bimbi,
difatti, quando sono nel ventre della madre respirano il liquido amniotico per
allenare i polmoni; alcuni avevano gli elastici con cui si blocca il sangue dopo
aver reciso il cordone ombelicale. Altri esami sono stati effettuati sulle
cartelle cliniche. Quindi si tratterebbe di aborti provocati volontariamente ben
oltre il termine di legge dei tre mesi. Alcuni corpicini avevano 30-32
settimane. Intanto il giudice ha diviso il processo, in cui ci sono 16
imputati tra i titolari e il personale medico, in due tronconi. Alcuni medici
hanno optato per il rito abbreviato. Tra questi ci sono anche i due medici di
Cassino accusati di aver indirizzato diverse donne della provincia alla clinica
degli orrori per abortire, lucrando sulla parcella. Gli altri, invece, hanno
scelto il rito ordinario. La requisitoria del pm, Roberto Staffa, ci sarà il 15
novembre, mentre la sentenza è prevista per il 25. Sarà discusso anche il
caso della tossicodipendente di Ceccano, F.P., di 36 anni, rappresentata
dall’avvocato di parte civile Filippo Misserville, che era stata ricoverata due
volte e sottoposta a sedativi. Al padre vennero chiesti 12 milioni e fu
costretto a far ricoverare anche la moglie, sana, per far sì che la clinica
ottenesse i contributi dalla Regione.
F.Ri.
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