Cassino/De Posis Mobbing: nuova condanna per la Asl
Era costretta a lavorare in un locale angusto, da sola. Lontana dai colleghi
del suo reparto e a pochi metri dalla camera mortuaria. Per questo motivo la
Corte d’Appello di Roma ha condannato la Asl di Frosinone per Mobbing. Il
caso scoppiò nel 2000 quando venne esaminata la situazione della caposala E.C.
(47 anni) trasferita d'urgenza in un ufficio sistemato affianco ai cadaveri:
senza scrivania, né telefono, in una stanza lunga poco più d'un metro e larga
due dove non ci sono finestre. La porta accanto al suo posto di lavoro era
quella dell'obitorio al servizio dell'ospedale Gemma de Posis di Cassino. Il
direttore sanitario le aveva spiegato «serve una persona esperta per occuparsi
del nuovo servizio sui farmaci antitumorali». Ma il servizio non è mai stato
attivato e la signora è rimasta per mesi senza fare nulla in quello stanzino, a
due passi dalle salme. Al suo vecchio posto in Direzione Sanitaria intanto
veniva assegnato un altro infermiere. Alla fine ha denunciato tutto al giudice
del Lavoro Massimo Lisi, che ha condannato la Asl per "mobbing" cioè la malattia
che si sviluppa nei dipendenti umiliati e maltrattati sul posto di lavoro. Ma la
Asl non si diede per vinta: si rifiutò di reintegrare la caposala nelle sue
mansioni e presentò ricorso. Ieri la donna, difesa dall’avvocato Giorgio De
Santis, ha ottenuto una seconda vittoria e sarà risarcita. Ora della vicenda
potrebbe interessarsi la Corte dei Conti per il danno erariale dovuto alla
condotta dei dirigenti dell’ospedale.
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