La Cgia di Mestre calcola il futuro assegno previdenziale sia per chi
lascerà il lavoro a 65 anni sia per chi andrà via prima
Pensioni, per i figli il 30% in meno dei padri
Ecco gli effetti del calcolo contributivo sui giovani assunti
dopo il 1995
di PIERO CACCIARELLI
ROMA - Un cinquantenne che sperava nella futura pensione di anzianità
rischia di essere duramente colpito se avrà la sventura di incappare nel
blocco previsto per il 2008 dalla riforma targata Maroni. Ma, anzianità a
parte (anche perché il provvedimento del governo potrebbe essere
profondamente cambiato), i pericoli maggiori in realtà li corrono non
tanto quelli che hanno i capelli grigi o sono afflitti dalla calvizie,
bensì coloro che sfoggiano chiome fluenti, cioè i giovani. L’assetto della
previdenza italiana nei prossimi anni prefigura per i figli un trattamento
ben peggiore di quello riservato ai padri. Lo dimostra uno studio eseguito
dalla Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani sempre attenta ai
temi economici più ”caldi”. Anche nel caso, molto improbabile, che
Berlusconi e la maggioranza che lo sostiene ritirassero il progetto tanto
avversato dai sindacati, basterebbe la vecchia riforma Dini per dare un
robusto colpo di scure ai trattamenti pensionistici. Gli anziani di domani
saranno certamente più poveri di quelli di oggi, con riduzioni degli
assegni mensili che potranno anche superare il 30%.
Coloro che si vedranno calcolata la pensione secondo il sistema
contributivo, così come previsto dalla legge Dini per i lavoratori che
hanno cominciato l’attività dopo il 1995, subiranno una decurtazione della
mensilità, rispetto a chi usufruisce del metodo retributivo, di almeno un
terzo per chi lascerà il lavoro a 57 anni e dell’11% per chi ”resisterà”
fino ai 65. Se poi dovesse entrare in vigore la riforma Maroni
nell’assetto attuale, chi andrà in quiescenza dopo il 2008 dovrà in ogni
modo cumulare 40 anni di versamenti al proprio ente.
L’uffico studi degli artigiani mestrini, per chiarire meglio la portata di
ciò che si prepara, mette opportunamente a confronto le posizioni di un
anziano (un padre) e di un giovane (un figlio), che abbiano lavoro uguale,
stessa retribuzione annua e periodo di attività di pari durata. L’unica,
ma sostanziale, differenza è che per il padre il calcolo della futura
pensione si basa sul sistema retributivo, per il figlio su quello
contributivo. Si fa il caso di un pensionamento con 65 anni di età e 40 di
versamenti utili. Un operaio che percepisca una retribuzione lorda di
20.000 euro l’anno otterrà circa 1.295 euro di pensione lorda al mese.
Invece il figlio, pur allo stesso livello di stipendio, per colpa del
contributivo sfiorerà appena i 1.157 euro mensili. La perdita sarà di
quasi 138 euro, pari all’11%. Per un impiegato con busta paga da 30.000
euro l’anno, salirebbe pure la differenza negativa: 206 euro al mese.
La Cgia, comunque, fa anche il caso di padre e figlio che decidano di
abbandonare il lavoro usufruendo del trattamento di anzianità, ossia
facendo valere 57 anni di età e 40 di contributi. Qui il sacrificio
diventa più gravoso, arrivando a un terzo dell’assegno mensile. Infatti,
partendo dalla retribuzione lorda di 20.000 euro, il figlio incasserebbe
400 euro in meno di pensione: circa 890 al mese, rispetto ai quasi 1.295
del padre. Il divario salirebbe ancora per gli impiegati con stipendio da
30.000 euro. Il giovane otterrebbe 607,15 euro in meno dell’anziano, con
un taglio sempre del 30%. Da notare che a questo risultato gli artigiani
di Mestre sono arrivati ipotizzando un aumento annuo degli stipendi che
rimanga fissato almeno all’1%.