Cronaca di Frosinone

Domenica 19 ottobre 2003

La Cgia di Mestre calcola il futuro assegno previdenziale sia per chi lascerà il lavoro a 65 anni sia per chi andrà via prima
Pensioni, per i figli il 30% in meno dei padri
Ecco gli effetti del calcolo contributivo sui giovani assunti dopo il 1995

di PIERO CACCIARELLI

ROMA - Un cinquantenne che sperava nella futura pensione di anzianità rischia di essere duramente colpito se avrà la sventura di incappare nel blocco previsto per il 2008 dalla riforma targata Maroni. Ma, anzianità a parte (anche perché il provvedimento del governo potrebbe essere profondamente cambiato), i pericoli maggiori in realtà li corrono non tanto quelli che hanno i capelli grigi o sono afflitti dalla calvizie, bensì coloro che sfoggiano chiome fluenti, cioè i giovani. L’assetto della previdenza italiana nei prossimi anni prefigura per i figli un trattamento ben peggiore di quello riservato ai padri. Lo dimostra uno studio eseguito dalla Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani sempre attenta ai temi economici più ”caldi”. Anche nel caso, molto improbabile, che Berlusconi e la maggioranza che lo sostiene ritirassero il progetto tanto avversato dai sindacati, basterebbe la vecchia riforma Dini per dare un robusto colpo di scure ai trattamenti pensionistici. Gli anziani di domani saranno certamente più poveri di quelli di oggi, con riduzioni degli assegni mensili che potranno anche superare il 30%.
Coloro che si vedranno calcolata la pensione secondo il sistema contributivo, così come previsto dalla legge Dini per i lavoratori che hanno cominciato l’attività dopo il 1995, subiranno una decurtazione della mensilità, rispetto a chi usufruisce del metodo retributivo, di almeno un terzo per chi lascerà il lavoro a 57 anni e dell’11% per chi ”resisterà” fino ai 65. Se poi dovesse entrare in vigore la riforma Maroni nell’assetto attuale, chi andrà in quiescenza dopo il 2008 dovrà in ogni modo cumulare 40 anni di versamenti al proprio ente.
L’uffico studi degli artigiani mestrini, per chiarire meglio la portata di ciò che si prepara, mette opportunamente a confronto le posizioni di un anziano (un padre) e di un giovane (un figlio), che abbiano lavoro uguale, stessa retribuzione annua e periodo di attività di pari durata. L’unica, ma sostanziale, differenza è che per il padre il calcolo della futura pensione si basa sul sistema retributivo, per il figlio su quello contributivo. Si fa il caso di un pensionamento con 65 anni di età e 40 di versamenti utili. Un operaio che percepisca una retribuzione lorda di 20.000 euro l’anno otterrà circa 1.295 euro di pensione lorda al mese. Invece il figlio, pur allo stesso livello di stipendio, per colpa del contributivo sfiorerà appena i 1.157 euro mensili. La perdita sarà di quasi 138 euro, pari all’11%. Per un impiegato con busta paga da 30.000 euro l’anno, salirebbe pure la differenza negativa: 206 euro al mese.
La Cgia, comunque, fa anche il caso di padre e figlio che decidano di abbandonare il lavoro usufruendo del trattamento di anzianità, ossia facendo valere 57 anni di età e 40 di contributi. Qui il sacrificio diventa più gravoso, arrivando a un terzo dell’assegno mensile. Infatti, partendo dalla retribuzione lorda di 20.000 euro, il figlio incasserebbe 400 euro in meno di pensione: circa 890 al mese, rispetto ai quasi 1.295 del padre. Il divario salirebbe ancora per gli impiegati con stipendio da 30.000 euro. Il giovane otterrebbe 607,15 euro in meno dell’anziano, con un taglio sempre del 30%. Da notare che a questo risultato gli artigiani di Mestre sono arrivati ipotizzando un aumento annuo degli stipendi che rimanga fissato almeno all’1%.