Sei medici di cardiologia a giudizio
Mezzo reparto di cardiologia dell’ospedale di Frosinone è finito sotto
processo. Lo ha deciso ieri il gip di frosinone, il dottor Lanna, che ha
rinviato a giudizio Alberto Scaccia, 53 anni, Giovanni Faticanti, 61 anni,
Leonardo Genova, 50 anni, Massimo Savona, 41 anni, Elisabeth Alecandelaria,
51, e Luigi Carbonardi (difesi da Mariniello, Cristofari, Trecca,
Gargaruti e Savona, parte civile Ottaviani e Cavalli) con l’accusa di
omicidio colposo. In sostanza sono accusati di aver sottovalutato
l’aneurisma alla aorta che provocò la morte del sessantunenne Antonio
Fabrizi, ex ragioniere del comune di Monte San Giovanni Campano. Il
processo inizierà il 7 maggio.
Nell’inchiesta, scaturita da una denuncia presentata dai famigliari, la
moglie e i due figli, Giuseppe e Massimo, al sostituto procuratore Alberto
Amodio, finirono indagati nove medici, ma tre di essi vennero prosciolti.
«Mio padre si trovava in Comune - racconta il figlio Giuseppe di 36 anni -
Era il suo ultimo giorno di lavoro. Per lui era giunto il momento di
andare in pensione. Fece il discorso di saluto, davanti a tutti i suoi
colleghi e amici, me, mia madre e mio fratello. Poi accusò un forte dolore
al torace, sotto all’orecchio e al collo. Venne soccorso dal medico di
Monte san Giovanno. Gli misurò la pressione e gli prese il battito
cardiaco. Papà sudava e aveva dei conati di vomito». Il medico diagnosticò
una patologia cardiaca e disse che l’uomo doveva essere trasportato subito
in ospedale. All’”Umberto I” di Frosinone vennero effettuati degli esami,
al termine dei quali gli venne diagnosticata una duedonite acuta.
L’indomani venne trasferito all’ospedale ”San Camillo” di Roma. Venne
immediatamente sottoposto ad intervento chirurgico, ma morì a causa
dell’aneurisma.
«Nonostante tutto quello che è successo - afferma il figlio, stringendosi
nelle spalle - continuo ad avere fiducia nella Sanità pubblica. Noi
famigliari non abbiamo presentato quella denuncia per vendetta, tanto mio
padre non ce lo restituirà più nessuno, ma per salvaguardare le
aspettative di chi si rivolge alle strutture pubbliche. Noi ci siamo
fidati e devono continuare a farlo anche gli altri».
F.Ri.
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