Cronaca di Frosinone

Lunedì 2 ottobre 2006
I FURBETTI DEL PRONTO SOCCORSO

di GIUSEPPE DE FILIPPI

NEL totale aumenterà, e di molto, la cosiddetta compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria. Questo è il dato all’ingrosso. Il modo in cui il carico della compartecipazione è diviso dà luogo, come in parte è inevitabile, a qualche ingiustizia e anche, un po’ meno inevitabile, a qualche inefficienza. Cominciamo dal ticket sul pronto soccorso, quello che il ministro Livia Turco vuole presentare una specie di tassa sull’ipocondria e sulla furbizia. L’idea è appunto non quella di imporre un pagamento e basta ma di far cessare una serie di comportamenti scorretti. Il criterio è rigido: chi, dopo la visita al pronto soccorso viene ricoverato non paga niente, chi, invece, viene rimandato a casa paga 28 euro. Si va così contro gli ipocondriaci (ma la loro fissazione in un certo senso, è una malattia, quindi potrebbero avere un po’ di comprensione) e soprattutto si va contro i furbi che usano la corsia preferenziale del pronto soccorso per fare alcuni esami diagnostici per i quali, come vie ordinarie, dovrebbero aspettare giorni e pagare il ticket. Giusto colpire chi si inventa un malore per farsi misurare la pressione, ingiusto invece far pagare 28 euro a chi ha avuto un piccolo trauma e che, buon per lui o per lei, non ha bisogno di ricovero. Bisogna ricordare che, ad esempio, per qualsiasi incidente d’auto, anche piccolo, può essere necessaria la visita al pronto soccorso per chiedere i legittimi rimborsi assicurativi. Non vogliamo neanche immaginare, invece, la possibilità di ricoveri decisi solo per fare lo sconto a qualcuno. Non avrebbe senso e comunque i criteri per il ricovero sono abbastanza rigidi e oggettivi. Il problema che potrebbe derivare da questa stretta sul pronto soccorso è l’aumento della pressione sul sistema dei medici di famiglia. Il governo lo dice esplicitamente che sarà su di essi che si scaricheranno la responsabilità e lo sforzo di diverse prestazioni. Ma è altrettanto certo il ministro che i medici di famiglia siano stati messi in condizione di reggere a quella pressione? E senza scaricare eventuali disservizi sui pazienti? Vengono poi ritoccati al rialzo i ticket sulla diagnostica già esistenti. Anche in quel caso c’è un intento quasi pedagogico: si vuole convincere i cittadini a ricorrere a certe prestazioni con meno frequenza. Anche in questo caso si porta a casa il risultato ma si dà luogo a qualche ingiustizia. Poi ci sono i risparmi attesi dalla compressione delle spese per acquisti di beni. Lodevole l’intento, ma non si deve agire solo con l’obiettivo di frenare la spesa. Se è giusto, ad esempio, mettere un limite alla spesa dei farmaci, si deve anche tenere in considerazione la necessità di qualche margine per consentire alle industrie di investire e di innovare. Il lamento dell’industria farmaceutica va proprio in questa direzione e fa capire che certamente verranno garantiti i livelli di assistenza di oggi, ma che, senza investimenti, sarà sempre più difficile garantire i livelli di assistenza di domani. Insomma si rischia di bloccare l’innovazione. Infine le Regioni. Il processo che dà ad esse il compito di gestire direttamente l’assistenza sanitaria è già partito da anni ma ora si sta completando. Assieme al passaggio di responsabilità le Regioni hanno avuto, in sostanza, il diritto di applicare una tassa specifica. Perché qualora si sfondi il tetto di spesa sanitaria viene applicata la famigerata addizionale Irap. Le Regioni quindi sono fortemente responsabilizzate. Ma è un dubbio più che fondato quello sulla loro capacità di gestire quella responsabilità.